Recensione: With Whips And Chains

Di Ottaviano Moraca - 15 Giugno 2016 - 8:00
With Whips And Chains
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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55

Ok, il mondo si è fermato… Sono io che sono tornato indietro nel tempo, oppure sono loro che non sono mai andati avanti? Non lo so! Fatto sta che fin dai primi minuti di questo secondo lavoro dei Savage Master ritroviamo un sound che era sparito dalla circolazione da almeno 30 anni. Il materiale è tutto nuovo e originale, solo che Adam Neal, chitarrista e fondatore del gruppo insieme alla cantante Stacey “Savage” Peak, ha deciso di confezionarlo come un prodotto degli albori del metal. Il risultato: piuttosto riuscito se siete dei nostalgici o avete più di 40 anni, completamente anacronistico se amate sonorità ultramoderne nate in super-studi digitali da migliaia di dollari l’ora. Questa formazione completamente made in U.S.A. è completata da Larry Myers all’altra chitarra e dalla sezione ritmica di Brandon “BB Gunz” Brown e Zach Harris, rispettivamente al basso e alla batteria. Quindi ecco cosa ascolteremo in questo CD: nove brani (più una intro) di un veracissimo heavy/speed-metal old-style, che paga un forte tributo al punk per lo più dietro al microfono. Ben suonato e non troppo scontato questo lavoro ci regala poco più di mezz’ora di gradevole intrattenimento senza impegnarci troppo, né mentalmente, né emotivamente. Dai, ogni tanto anche un ascolto “facile” ci vuole!

Il disco scorre, anzi corre, veloce fin dall’intro “Call Of The Master”, che con il suo mood malvagio e il suo incedere marziale ci aiuta ad inquadrare subito le intenzioni bellicose di questo combo statunitense. “Dark Light Of The Moon” è il primo vero brano e la nostra Stecey spadroneggia in lungo e in largo su una traccia tutto sommato trascinante dove anche i chitarristi ci tengono a presentarsi con un bel lavoro incrociato. Ma per i Savage Master è già tempo di title track e la lunga “With Whips And Chains”, non tradisce le aspettative con un ritmo cadenzato e con epiche seconde voci a spalleggiare il cantato sempre punk-oriented. Apprezzabile la struttura non troppo lineare e il lavoro non invasivo delle chitarre anche nella successiva “Path Of The Necromancer”, che risulta comunque più immediata soprattutto per il riffing dal sapore vintage. Ancora una volta notevoli le linee soliste che sembrano sfumare ripetutamente una nell’altra. “Vengeance Is Steel” è l’interpretazione della cavalcata metal di casa Savage Master e sono soprattutto il gusto dell’originale assolo e l’articolazione elaborata del brano a caratterizzare questa prova. Molto meno incisiva invece risulta la fin troppo breve “Looking For A Sacrifice”, salvata dalla banalità solo dal lavoro dei chitarristi. Va meglio con la successiva “Satan’s Crown”, in cui al piatto si aggiunge anche un mood malvagio, chiaramente preannunciato dal titolo, ma comunque intrigante. Ritorna invece nell’anonimato “Burned At The Stake”, che non finisce di convincere soprattutto per la mancanza di spunti originali o caratteristiche di spicco. Non un brano sgradevole comunque per lo più, nemmeno a dirlo, grazie alle parti soliste. Con la traccia più breve del disco i nostri toccano anche il punto più basso di questa produzione. “Black Hooves” non lascia molto più del sentore di un riffing interessante arricchito da qualche pregevole scorribanda personale degli axe-men. Si chiude invece in bellezza con la lunga “Ready To Sin”, che tenta di disorientare l’ascoltatore alternando ritmi tiratissimi ad altri decisamente più lenti. In una parola: fulminante.

In definitiva i Savage Master sfornano un album musicalmente maturo. Il songwriting, soprattutto alle sei corde (che spesso salvano la situazione), è alquanto ispirato e il sound coerente con la proposta. La produzione invece, come si è già detto, merita un discorso a parte perché sicuramente centra il bersaglio prefisso, ovvero quello di riportare l’ascoltatore ai fasti di un passato remoto. Un effetto certamente ricercato e fortemente voluto che però potrebbe anche non piacere… Esattamente come la performance al microfono che risulta spesso “sopra le righe”, non solo per essere troppo invadente, ma anche e soprattutto perché non è mai completamente allineata all’atmosfera dei brani e, in generale, al lavoro degli altri musicisti. In questo contesto potrebbe dunque essere discutibile la scelta di un cantato così “punkeggiante” dove una voce meno monocorde e più dinamica si sarebbe integrata meglio. Attenzione: non che questa frontgirl sia scarsa o carente, anzi, di potenza ed energia ne ha da vendere, ma forse avrebbe potuto risaltare maggiormente in un contesto differente, proprio come i Savage Master avrebbero potuto giovarsi di un vocalist artisticamente più estroso. Ciò detto bisogna anche sottolineare che brani così dinamici e ricchi di carica avrebbero una resa sicuramente migliore dal vivo dove la velocità e l’immediatezza che li contraddistingue potrebbero facilmente sfociare in massacri di pogo davvero… (mettete pure voi l’aggettivo che preferite). Ultima nota, purtroppo negativa, per il capitolo immagine che non solo risulta un po’ squallida e stereotipata, ma che sarebbe più credibile se fosse suffragata almeno da un sito internet, supplito, almeno al momento, dalla ormai immancabile, ma non affatto sufficiente, pagina facebook.

    

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