Recensione: Ziuwari

Di Daniele Balestrieri - 28 Settembre 2005 - 0:00
Ziuwari
Band: Menhir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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83

Dopo due anni dall’uscita del potente Thuringia tornano i Menhir, vassalli del Pagan Folk Metal tedesco, con Ziuwari, riconosciuto dalla band stessa come l’album più rappresentativo in assoluto della propria carriera (non a caso la loro homepage prende questo dominio).

Effettivamente l’equazione che viene in mente è abbastanza evidente: a seguito del debutto di Die Ewigen Steine, i Menhir ci hanno offerto il loro lato più introspettivo e malinconico con Buchonia e quello più ruvido e trascinante con Thuringia: il momento era dunque maturo, nel 2002, per presentare l’amalgama finale, l’ennesima crociata nella loro Germania primeva così ricca di storie barbariche ed epiche profondamente radicate nella cultura, nella tradizione e nella mitologia. Una cosa che non è mai cambiata nel loro modo di trattare i concept (così come avviene anche nel side-project, gli Odroerir), è quel senso di appartenenza al ceppo Germanico che sprigiona da ogni traccia proposta: tutto l’album è un viaggio tra valli e foreste, per onorare antichi dei o spiriti che albergano in ruscelli o vallate, il tutto mantenendo quella dose di epos che non nasconde una certa provenienza dai Bathory più commerciali di Blood on Ice e Nordland e da pilastri del pagan come i Mithotyn (ai quali si avvicinano in ben più di un frangente) e i Falkenbach: la Skaldic Art come casa produttrice dice già a sufficienza sulla compatibilità tra i due stili musicali.

Probabilmente proprio la partnership con questa etichetta non ha giovato alla meritata fama dei lavori proposti, e anche se Ziuwari si presenta come un prodotto di tutto rispetto, la sua diffusione non è stata particolarmente notevole. Certo non è la prima band di un certo potenziale a soffrire di scarsa visibilità, ma ogni volta fa un certo effetto. Personalmente ritengo che i Menhir con Ziuwari siano giunti a un punto di maturazione importante, che ha sacrificato però quella freschezza che caratterizzava i loro album precedenti in favore di un tono più pomposo, epico, saturo, che non nasconde una sensazione di ‘già sentito’, quella sensazione molto meno oppressiva in Ewigen Steine o Buchonia. Sicuramente è un figlio di quei tempi in cui il pagan epic stava esplodendo, e ne è conferma la predilizione per quei cori maschili profondi che permeano brani come “Ziuwari” o la spasmodica “Walhalla“. In realtà non tutto è epico alla Ok Nefna Tysvar Ty dei Falkenbach – il nostro quintetto germanico è riuscito a inserire parti spinte, con scream maligno molto vicino al black metal, anche se le tastiere continuano a smorzarne i toni fungendo da congiunzione tra i generi, altrimenti troppo distanti tra loro.

E questo è un punto particolarmente a suo favore: il disco non affoga completamente nell’epico senza compromessi, fatto di vocalismi trascinati, crescendo di chitarre e tastiere magnificenti, ma alterna momenti tirati a momenti più tranquilli, seguendo un filo logico interessante, paragonabile alle ondulazioni di un continente. Mi ha fatto ricordare in un certo senso la progressione della Moldava di Smetana, che con grande ricchezza descrittiva riesce a riprodurre in musica il gorgogliare del fiume dalla tumultuosa sorgente fino alle maestose tranquillità del corso a valle, progredendo nella musica come una barca che dalla sorgente giungesse al mare.

Anche Ziuwari è il corso di un fiume che raccoglie sapientemente le parti tristi e malinconiche di Buchonia in tracce lente, cadenzate, ritmate da chitarre classiche e sottofondi di grande atmosfera come “Herminafrieds Klage” o la struggente “Das Verborgene Reich“, probabilmente la mia preferita insieme alla title track – amalgamandole con le parti più violente di Thuringia come “Die Letzte Schlacht“, furibondo inno in doppiacassa, o “Steinsburg” il cui scream non sfigurerebbe in una true-black band norvegese.

Un album epico anche se non particolarmente innovativo, che sarà acquisto obbligato per chi si è già lasciato coinvolgere dalle ancestrali atmosfere barbare dei precedenti, e che probabilmente piacerà a tutti gli amanti del pagan propriamente detto, ovvero di quel delicato ecosistema in cui convive velocità ed epicità in parti più o meno simili. Non essendo “né carne né pesce” potrebbe infastidire chi cerca musica troppo tirata o chi è abituato a epic assolutista di ben altre risme, ma chi già conosce il campo di battaglia si prepari non solo a gustare una bella vittoria, ma anche a scordarsi la sensazione che si prova a cambiare CD.

Tracklist:

  1. Wotans runenlied
  2. Die letzte Schlacht
  3. Herminafrieds Klage
  4. Das verborgene Reich
  5. Valhalla
  6. Steinsburg
  7. Ziuwari

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