Recensione: The Arsonist

La sterminata produzione artistica dei Sodom, arcinota band punta di diamante del Thrash Metal teutonico, si è ampliata con un album nuovo di zecca: “The Arsonist”. Il diciottesimo full-length del gruppo bombarda le nostre orecchie dopo l’ottimo “Genesis XIX”, pubblicato nel 2020 e recensito molto positivamente su queste pagine. La squadra di fanteria pesante che affianca l’inossidabile Tom Angelripper in “The Arsonist” è la medesima che abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare nel disco precedente. Ritroviamo il veterano Frank Blackfire, già chitarrista dei Sodom ai tempi dei mitici “Persecution Mania” e “Agent Orange”, e i più giovani Toni Merkel e Yorck Segatz, rispettivamente batterista e chitarrista. La presenza di due nuovi membri relativamente giovani in “Genesis XIX” aveva contribuito a svecchiare lo stile del gruppo senza snaturarlo. Il quartetto era riuscito a coniugare magnificamente innovazione e tradizione in un’opera maestosa e ricca di variazioni sul tema. Molti appassionati rimasero piacevolmente sorpresi, ad esempio, dai passaggi in blast beat affidati al talentuoso Toni Merkel. Il suo stile batteristico variegato rappresentava un grande valore aggiunto in un album gradevole come “Genesis XIX”, disco che lasciò a suo tempo tutti i fan dei Sodom con una notevole acquolina in bocca.
Ahimè, la parola più corretta da scrivere a questo punto è ‘involuzione’. Chi si aspettava un seguito riveduto, corretto e potenziato di “Genesis XIX” purtroppo si troverà a storcere un po’ il naso. Lo scrivo subito, a scanso di equivoci: “The Arsonist” non è un disco inadeguato, malriuscito o chissà cosa. I ‘brutti dischi’, cercando di essere ancora più chiari, sono diversi da questo. L’ultimo lavoro della band ritorna ad un Thrash Metal più impetuoso e diretto, senza particolari sperimentazioni né trovate ardite. “Genesis XIX” non mancava di immediatezza e sfrontatezza: la violenza sonora che si abbatteva sugli ascoltatori, però, prendeva ‘strade ferrate’ rimaste fino a quel momento inesplorate dal gruppo di Gelsenkirchen. Sembra quasi che la pubblicazione di “40 Years at War – The Greatest Hell of Sodom” nel 2022 abbia in qualche modo influito sulla vena compositiva di Tom Angelripper e soci. In quel disco i Nostri hanno riproposto con la nuova formazione alcuni dei brani più famosi della loro storia. Affondare nuovamente gli strumenti negli spartiti di grandi classici come “Sepulchral Voice” ed “Electrocution” potrebbe aver spinto i Nostri a fare qualche passo indietro e a lasciare da parte alcune intuizioni innovative presentate in “Genesis XIX”. Gli amanti del Thrash old school, una volta arrivati alla fine della tracklist di “The Arsonist”, rimarranno soddisfatti e ne usciranno con le ossa ragionevolmente rotte: due dei tre singoli selezionati per anticipare l’uscita dell’album promettevano già bene in questo senso. “Trigger Discipline” e la ‘punkeggiante’ “Taphephobia”, in quanto ad aggressività, non hanno deluso i die-hard fans: la prima, in particolare, non si discosta molto dalla ferocia tipica degli Slayer. La band americana viene ricordata a più riprese in “The Arsonist”, non solo per la voce di Angelripper, che in molte occasioni richiama vagamente quella di Tom Araya, ma anche nel solenne incipit del brano “Twilight Void”.
La furia di “The Arsonist” viene arginata in rarissime occasioni: “Scavenger” e “Obliteration of the Aeons” sono gli unici brani capaci di far riprendere un po’ di fiato all’ascoltatore. I testi delle canzoni, non a caso, trattano un tema caro ai Sodom sin dagli albori: la guerra. La prepotenza sonora, secondo una modalità espressiva ormai consolidata, ben si adatta agli orrori bellici evocati dalle liriche di Onkel Tom. La bella copertina dell’artista polacco Zbigniew M. Bielak dà inoltre meravigliosamente corpo ai testi dei brani di “The Arsonist”. L’amatissima mascotte dei Sodom, Knarrenheinz, fa la sua incendiaria comparsa su di un campo di battaglia affollato di scheletri, teschi e giovani soldati che stanno per affrontare il loro ultimo viaggio. In un momento storico come quello che stiamo vivendo è giusto e sacrosanto sottolineare come la guerra non sia esattamente una ‘passeggiata di salute’: i Sodom, con indubbia coerenza, ce lo ricordano ormai da una quarantina d’anni. Quest’argomento pone le basi per una considerazione particolare. Le canzoni “Witchhunter” e “A.W.T.F.” sono a tutti gli effetti brani celebrativi con cui la band omaggia due illustri colleghi caduti. Il primo titolo corrisponde al ‘cognome d’arte’ di Chris Witchhunter, titolare della postazione dietro alle pelli sino a “Tapping the Vein” del 1992 e mancato nel 2008. Nell’acronimo di “A.W.T.F.”, invece, appaiono le lettere A.W.; si tratta delle iniziali di Algy Ward, apprezzatissimo cantante inglese deceduto nel 2023 e noto per aver fondato una nelle band più influenti nel panorama NWOBHM: i Tank.
Uno degli aspetti positivi di “The Arsonist” è senza dubbio la produzione musicale. Tom Angelripper, non senza una certa dose di orgoglio, ha dichiarato che le parti di batteria del nuovo disco sono state registrate usando un registratore su nastro analogico a 24 tracce. Il risultato? ‘No plastic!’…ed effettivamente gli si deve dare ragione. Il cantante dei Sodom fa bene ad elogiare il modo in cui ‘suona’ il prodotto finito. Peccato che quest’idea sia arrivata un po’ in ritardo; se “Genesis XIX” avesse potuto contare sulla produzione di “The Arsonist” l’effetto sarebbe stato ancora più dirompente. Si torna sempre sul ragionamento iniziale: “Genesis XIX” aveva aggiornato in modo favorevole lo stile musicale di una band che, inaspettatamente, ha preferito ritornare in una ‘zona di comfort’ artistica tranquilla e priva di rischi. “The Arsonist” si lascia ascoltare abbastanza volentieri ed è in grado di offrire momenti di sano e distruttivo divertimento: brani come “Taphephobia” e “Return to God in Parts” verranno ascoltati in loop da molti appassionati e promettono di far faville dal vivo. Da una formazione di così alto livello era però lecito aspettarsi qualcosa di più che non un semplice, buon disco di mestiere. Rimane un po’ di amaro in bocca quando ci si rende conto che la strada tracciata dall’album precedente è stata pressoché abbandonata. Questo confronto tra le due ultime opere dei Sodom non deve comunque distogliere il Lettore curioso dall’obiettivo principale di ogni recensore: convincere chi è arrivato fin qui a fare un ulteriore passo in avanti per recuperare il disco in questione. Ognuno ha diritto di farsi un’opinione personale e dedicare un po’ del proprio tempo libero ai Sodom è e sarà per sempre cosa buona e giusta. Buon ascolto!