Recensione: Charming the Decomposed

I Retching piombano improvvisamente a peso morto sulla scena death, squarciando la tenebra del più irraggiungibile underground con il loro debut-album, “Charming the Decomposed“.
Ma chi sono, costoro?
I nomi dicono poco e tanto. Poco, perché i nickname sono imperscrutabili, così come gli strumenti suonati. Latex si occupa difatti di “Oil drums and low end garrote“, il che potrebbe far pensare a voce/batteria; mentre Mondo, adibito a “Six string razor wire and erotic moans“, sarebbe chitarra/voce. Dicono tanto, invece, dato che il sound del disco non è certo da principianti, anzi. La sua maturità, colta anche dalla Transcending Obscurity Records, induce il sospetto che dietro a delle definizioni così fantasiose ci siano musicisti ben noti nell’ambiente del metal estremo.
Un platter realizzato per il puro gusto di divertirsi, senza troppi impegni e responsabilità? Liberi di scorrazzare qua e là senza sentirsi obbligati a sottostare alle grinfie di qualcun altro, insomma? Può essere. Fatto sta che il duo statunitense interpreta il death metal nella sua emanazione più marcia, putrida, perversa. Sia per quanto riguarda le song, sia per quanto concerne le tematiche. Queste ultime centrate sui soliti cliché che mettono morte, torture, sbudellamenti, frittate di frattaglie e succhi di decomposizione in primo piano.
Lasciando perdere i fiotti di sangue fresco che fuoriescono dalla giugulare, c’è da rimarcare che “Charming the Decomposed” è un prodotto che si rivolge al death metal nella sua forma più antica, ortodossa, modernizzato alle esigenze attuali che riguardano essenzialmente l’aspetto legato alle spaventose accelerazioni che la batteria riesce a generare grazie ai blast-beats (“Foaming“). E, anche, al feroce growling di Latex (“Septic Entombment“), che esplora le più nascoste aree del corpo umano, andando in profondità fra un organo e l’altro.
La/le chitarra/chitarre/, non si sa bene se siano una o due, svolge/svolgono comunque un compito davvero eccellente. La sequenza di accordi che danno vita alla fase ritmica è assolutamente di primo piano, arrivando a costruire un muro di suono di tutto rispetto che, in talune occasioni, diventa insormontabile per via del tremendo attacco frontale scatenato da accordi ribassati, resi fradici da un’accentuata distorsione e manipolazione con la tecnica del palm-muting. Un esempio concreto è “Vulgar Celluloid Trophy” in cui, quando il main-riff parte per la tangente, non si può non cedere alla tentazione di scatenarsi nel più furibondo degli headbanging circolari.
Anche lo stile non è male. La coppia di stanza nel Rhode Island, bene o male, riesce a costruire una struttura dai contorni netti, ben definiti giusto per non incorrere in equivoci sul fatto di chi sia l’act più avariato, o quasi, del globo terracqueo. Certamente non è l’originalità, che si deve cercare nell’LP, ma il suo suono è ben congegnato per dar vita a un mood cupo, oscuro, dalle tinte rossastre, che si adatta alla perfezione ai soggetti trattati nelle singole canzoni.
Soggetti che trovano un aiuto non indifferente da parte dalle parecchie intromissioni ambient di tipo cinematografico, ovviamente horror. Così facendo, i Nostri riescono a realizzare un’opera in cui i singoli brani presentano lo stesso tipo di sentore, di aggressività e di modus operandi compositivo. Il che fa sì che il tutto resti assieme e non si sfilacci nelle pozze di liquido andato a male, comportando quindi oltre mezz’ora di musica coesa, compatta, a tratti devastante, a tratti raggelante.
“Charming the Decomposed” è tutto quanto di già sperimentato da altri e da anni in ambito splatter: sia per le parole, sia per le note. Niente di nuovo sotto il Sole, quindi. La passione dei Retching per il death metal lato gore, tuttavia, è così palpabile e deteriorata che non può essere messa da parte e dimenticata.
Daniele “dani66” D’Adamo