Recensione: Chaos and Catastrophes

Formatisi nel 2018, i Ravine solo ora riescono a dare alle stampe il primo full-length. Una lunga attività live unitamente a diversi cambi di formazione ne spiegano il perché. Che è una situazione simile a tanti act che, prima di arrivare al debut-album, necessitano di parecchio tempo per rodare i motori.
I Ravine, di Portland (USA), propongono nelle intenzioni uno sludge piuttosto variegato grazie alla velata presenza – a detta loro – dell’hardcore, del doom e, addirittura, del blues. Non ci si aspetti, però, un sound sfilacciato, privo di senso logico. Al contrario, le idee chiare ci sono e sono bene in evidenza. “Chaos and Catastrophes“, questo il nome del primogenito, è potenza allo stato puro, rabbiosa, cruda. Tale da rendere identificabile abbastanza facilmente lo stile che i Ravine creano dalle proprie mani.
Le song sono parecchio più lunghe della media, arrivando a sorpassare i dieci minuti di durata. Preme affermare che, malgrado ciò, la noia non è di queste parti. Anche quando i riffoni delle chitarre si ripetono uguali a se stessi per minuti, il ritmo è comunque sempre sciolto e piacevole da ascoltare. C’è poi da considerare che la voce Paul Dudziak non si placa mai, sviluppando le proprie linee vocali su piani diversi. Giusto per instillare un po’ di varietà nei singoli brani.
Inoltre, la chitarra solista ricama in continuazione arcigne e dissonanti partiture, sorvolando agilmente sopra una ritmica in certi momenti doomosa, nella quale il sapore del fango si percepisce con forza. Segno particolare: il basso. Dylan Wills bombarda gli accordi in sottofondo, dando alla musica uno spessore complessivo di non poco conto. Ne è esempio la poderosa, possente “Conjure“, ove i riff distorti delle asce da guerra si comportano alla maniera thrashy. Accordatura ribassata, però, e massima compressione per l’utilizzo della tecnica del palm-muting.
Chi si aspetta un solo tipo di ritmo cade in errore, poiché Matt Amott sa come diversificare i pattern non concedendo loro, tuttavia, di uscire dai limiti disegnati dallo stile del gruppo (“Deliver“). Con che, viene fuori dal cilindro uno stile emotivamente profondo, dai toni cupi, a tratti lisergico, connotato da un chiaro marchio di fabbrica sì da renderlo unico.
Chi scrive non vede poi molto, degli altri generi più su citati, – se non una breve dissertazione blues in “Prophecy” che sa tanto di bettola polverosa e avvolta nella semioscurità, in cui la birra scorre a fiumi. Evidentemente ciò dipende dalle personali percezioni sensoriali e dal singolo background culturale costruito nel tempo. Alla fin fine non importa, poiché se si afferma che i Ravine suonano sludge non è poi un’eresia. Certo, in song come “Ennui“, il battito del cuore è talmente basso, come frequenza, che è difficile non pensare al doom. Pensiero che svanisce non appena l’andamento sale di velocità (per modo di dire).
“Chaos and Catastrophes“, restando in argomento, è un LP che, seppur seguendo fedelmente i dettami dettati da Paul Dudziak & Co., manifesta una ferma volontà di lavorare accuratamente alle canzoni nelle canzoni e alle… canzoni. Provocando, così, una sorta di magnetismo che attrae con forza e decisione gli appassionati del genere.
In un ambito in cui non si sa cosa sia la melodia, il combo dell’Oregon ha saputo comunque realizzare un’opera cui, a poco a poco, si affonda così come accade per le sabbie mobili. Affondare per attivare ogni possibile senso allo scopo di non perdersi nemmeno un granello di sabbia. Il che, in estrema sostanza, altro non è che una più che buona capacità compositiva.
“Chaos and Catastrophes“, nella sua crepuscolare interpretazione di un genere ostico da digerire, può servire ai neofiti per l’iniziazione a una delle fogge più intriganti che ci siano nel metal.
Daniele “dani66” D’Adamo