Recensione: Viribus Unitis

Di Daniele D'Adamo - 14 Novembre 2025 - 7:00
Viribus Unitis
Band: 1914
Etichetta: Napalm Records
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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82

Gli eroi della Grande Guerra tornano sul terreno di battaglia a quattro anni di distanza da “Where Fear and Weapons Meet”. La nuova campagna militare si chiama “Viribus Unitis“, le cui tematiche sono ambientate in Italia, quando il conflitto con l’Impero austro-ungarico mieteva enormi perdite da una parte e dall’altra.

I 1914, è bene rammentarlo a ogni occasione, rifuggono totalmente dal concetto bellico, considerandolo solo e soltanto un bagno di sangue totalmente vuoto, inutile. Il fatto che, poi, abbiano una passione per la Storia, e in particolare per la 1° guerra mondiale, è elemento che non ha alcun intento propagandistico.

Detto questo, il full-length è il quarto di una carriera cominciata nel 2014. Carriera incentrata sul death metal, tuttavia incrociato con il doom. Death metal dal sapore cinematografico per via della presenza, nel disco, di contenuti audio dell’epoca: marcette, proclami, conversazioni (stavolta in italiano). Ma anche dall’introduzione di cospicui elementi ambient e inserimenti di tastiere per creare la perfetta atmosfera in cui calarsi per l’ascolto del full-length stesso. Atmospheric death metal, quindi. Su questo, non c’è dubbio.

Rispetto a “Where Fear and Weapons Meet” c’è stato un cambio nella line-up, con il chitarrista Oleksa Fisiuk (K.K. LIR Stanislau Nr.20 Zugsführer) al posto di Liam Fessen (37.Division, Feldartillerie-Regiment Nr.73, Wachtmiester), senza che il sound della compagine ucraina abbia avuto grandi stravolgimenti. Del resto, il vocalist/mastermind Ditmar Kumarberg (2.k.u.k. Galizisches IR Nr.15, Gefreiter) lega tutto a sé, grazie a un’interpretazione vocale di primo piano, impostata sul growling ma che muta a seconda degli scenari da lui stesso narrati.

Sound duro, massiccio, poderoso, a volte devastante; violentissimo quando Rostislaw Potoplacht (K.K. LIR. Lemberg Nr.19 Fähnrich) alza il numero di BPM sino a sfondare letteralmente la barriera infuocata dei blast-beats (“1914 (The Siege of Przemyśl)“). Anche in tali frangenti, quando gli iper-cinetismi si nutrono di potenza, grazie all’aiuto del basso di Armen Howhannisjan (k.u.k. Galizisch-Bukowina’sches IR Nr.24, Feldwebel) l’energia dell’impatto sonoro si mantiene su livelli altissimi sui quali c’è solo la folle allucinazione dell’hyper-speed. Con il contributo, altresì, ma non poteva essere altrimenti, del mostruoso riffing delle chitarre di Fisiuk e Witaly Wyhovsky (5.K.K. LIR Czernowitz Nr.22 Oberleutnant) – abili, anche, a muoversi nelle tonalità più alte per raffinare assoli e orecchiabili armonizzazioni. Tutto quanto genera così ipnotiche visioni di trincee fangose, pullulanti di emaciati ragazzi pronti a uccidersi vicendevolmente a colpi di baionetta, laddove il proiettile fallisce (“1915 (Easter Battle for the Zwinin Ridge)“).

La citata frammistione fra death metal e doom si trova un po’ ovunque, nel platter, seppure non sia così incisiva. Accanto a pezzi di artiglieria tanto pesanti quanto lenti (“1918 Pt 1: WIA (Wounded in Action)“), si scatena più spesso, all’improvviso, la furia degli elementi quasi si trattasse di un’esplosione (“1918 Pt 2: POW (Prisoner of War)“). Un modo vincente di esprimere le proprie idee, questo, poiché genera uno stile praticamente unico al Mondo. In un’era inflazionata da act di tutti i tipi e generi, per via del digitale e di Internet, il quintetto di Lviv riesce a disegnare una foggia musicale tutta sua, riconoscibile con facilità in mezzo alla marea di proposte similari. Il che, già di per sé, è il raggiungimento di un prestigioso traguardo.

Forse è solo una sensazione di chi scrive, ma l’LP mostra qualcosa in più, rispetto al passato. Un tocco, ogni tanto, di melodia. E, nondimeno, un approfondimento emotivo che davvero, stavolta, trova la sua fine in fondo all’anima. Grazie al supporto di musicisti ospiti quali per esempio Aaron Stainthorpe (ex-My Dying Bride, High Parasite), voce in “1918 Pt 3: ADE (A Duty to Escape)“, la tristezza avvolge l’intera opera donandole una marcata personalità.

La guerra è solo morte, in fondo. Soprattutto in quella del ’14-’18, che ha mietuto sedici milioni di vite umane. Così, dolcemente, la forza esplosiva che dà vita ai 1914 declina in “1919 (The Home Where I Died)“, traccia ambient/strumentale retta dalle meste note di un pianoforte e di un violino, assieme alla voce di Jérôme Reuter dei Rome. Musica e canto per rappresentare un dolore senza fine, immerso nelle sabbie mobili di una struggente malinconia che mai cambierà nel suo essere uno dei pilastri portanti della band e, di riflesso, dell’album.

Viribus Unitis” è figlio della raggiunta maturità tecnico/artistica dei 1914, che si candida a essere uno dei migliori lavori dell’anno nel campo del metal estremo. Da ascoltare e riascoltare, per scovare ogni nota, ogni linea vocale, ogni minimo particolare di qualsiasi tipo. La noia, difatti, non è di queste parti.

Daniele “dani66” D’Adamo

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