Recensione: Techtalitarian

Christian Münzner, si sa, è un musicista appassionato e convinto di quello che fa e nel genere technical-death metal ormai è considerato una specie di totem per tutti gli appassionati, vuoi per la sua passata militanza in bands ritenute fondamentali per il genere e non (Necrophagist e Obscura su tutti, ma anche Defeated Sanity, Paradox e i più recenti Alkaloid) e vuoi per essere membro effettivo di bands di primo livello come i Retromorphosis (questi ultimi non altro che gli Spawn of Possession con nome e batterista diversi e tornati recentemente con l’ottimo “Psalmus Mortis”). Inoltre non dimentichiamo le sue partecipazioni come sessionist in numerose altre collaborazioni esterne e il progetto trasversale della power metal band Eternity’s End, in aggiunta a tre album da solista. Dotato di tecnica, creatività e soprattutto indefessa passione per il genere in questione e nonostante sia in cura per distonia focale, il nostro ha accolto la chiamata del chitarrista Josh Berry e del batterista Darren Cesca (già con Deeds of Flesh e Arsis) degli americani Eschaton, fautori in precedenza di due album molto interessanti quali “Sentinel Apocalypse” del 2015 e “Death Obsession” del 2019, e rimasti orfani lo scorso anno di tre membri attivi. Ai tre si sono aggiunti altri due musicisti esperti nel settore e già operativi in altre bands, vale a dire Scott Bradley degli Inanimate Existence al basso e il cantante (ma qui come sessionist) Mac Smith, già con Decrepith Birth, Alterbeast e Krosis e attuale divoratore di microfoni presso Apogean, Abyssalis e Hammer of Dawn. Un supergruppo insomma, che con questa terza fatica ha la possibilità di mettersi maggiormente in mostra e di farsi apprezzare da un pubblico più ampio. Accasatisi presso l’indiana Trascend Obscurity Records, label molto attiva nel settore, la band pubblica 10 canzoni ottimamente prodotte per un totale di 45 minuti di musica.
“Techtalitarian” (mai nome poteva calzare più a pennello, anche se il titolo non si riferisce al genere in questione) trasuda passione e abili soluzioni tecniche, piacere e delizia per ogni appassionato del genere. Le canzoni sono strutturate in segmenti diversi, tecnicamente elaborate e caratterizzate da passaggi velocissimi che vedono la base ritmica impegnata in continui cambi di tempo e di atmosfera, destreggiandosi bene anche in fase solista.
I due chitarristi, come un ragno che tesse la tela, tengono unite le varie sezioni attraverso virtuosismi e trame complicate ma allo stesso tempo ben amalgamate tra loro, in una serie di parti ritmiche e soliste che non hanno pausa dall’inizio alla fine di ogni canzone. In particolare Münzner, lasciato libero di spadroneggiare a destra e a manca, macina trame velocissime e intricate in modo incessante da autentico shredder, molto disinvolto nell’esecuzione delle sue consuete scale neoclassiche e con il suo perfetto stile in fingerpicking, molto a suo agio nonostante il disturbo neurologico, coadiuvato anche dall’ottimo Josh Berry.
Interessanti sono anche i testi dell’album, che aiutano a districarsi nel labirinto musicale degli Eschaton, eseguiti con disinvoltura e brutalità dall’ottimo Mac Smith, che alterna sia un growl profondo e cavernoso in false chord che uno screaming acuto, molto acido e vampiresco, e a tratti anche in speech, denotando le sue ottime abilità tecniche. Così “Devour the Contrarian”, “Blood of the People” e in parte “The Sufferer’s Dichotomy” vedono presenti dei refrain e passaggi groove non facilmente percettibili in quanto inseriti tra strofe completamente diverse tra loro che alla lunga potrebbero risultare troppo dispersive se ci si limita ad un ascolto superficiale, tra ritmiche vorticose, cambi di tempo e chitarre perennemente in fase solista.
“Hellfire’s Woe” si differenzia maggiormente per l’uso delle tastiere, dell’organo iniziale e del pianoforte che la rendono molto interessante e particolare anche se la fanno avvicinare a soluzioni vicine a bands più groove come Shadow of Intent e Lorna Shore. L’opener “Inferior Superior” è veloce ed ha una struttura più snella (se così si può definire), tra refrain urlato e parti soliste molto ben amalgamate, mentre “The Bellicose Duality”, “Econocracy” e “Antimatter” possiedono una struttura più libera e risultando in certo qual modo più complicate ma sono molto interessanti nei testi, incentrati su tematiche sociali (denuncia dell’economia finanziaria fine a sé stessa) ed esistenzialiste. La title-track, canzone che racchiude in sé tutti i canoni del genere e impressionante per tecnica compositiva, denuncia la manipolazione cibernetica da parte delle grandi aziende tecnologiche, definite “amichevolmente” come “mafia tecnologica aziendale”. La conclusiva “Castle Strnad”, una delle migliori, con le sue atmosfere quasi malinconiche e gli assoli in stile neoclassico, sembra quasi una canzone dalla struttura più tradizionale con strofe e refrain maggiormente identificabili e classificabili, risultando la più melodica tra tutte: il pezzo si ispira a Trevor Belmont, il personaggio cacciatore di vampiri protagonista del videogioco “Castlevania III”, dedicata allo scomparso Trevor Strnad (e da qui il titolo).
A mio giudizio, forse una maggiore variatio nello stile e nel songwriting avrebbe potuto beneficiare maggiormente all’economia dell’intero album, perché veramente qua si pesta di brutto quasi dall’inizio alla fine senza pause e alla lunga potrebbe risultare indigesto, soprattutto per chi non mastica technical-death dalla mattina alla sera. Me se vi piace il genere, “Techtalitarian” deve far parte della vostra collezione.