Recensione: Las Megas
Con la pubblicazione di “Las Megas”, il gruppo Punk romano Super Dog Party, propone un album che si configura come libertà espressiva. Il lavoro si sviluppa come un’onda d’urto, realizzando un tentativo di generare un sound originale e dinamico ridefinendo i limiti convenzionali del genere più Rock che Punk/Post Punk.
L’esordio con “Isolation” è innegabilmente incisivo, le chitarre fortemente distorte e la batteria martellante costituiscono una base sonora di potenza grezza e incalzante, supportata da una vocalità aggressiva che culmina in ritornelli di notevole presa. La successiva “Full Stop” mantiene un elevato voltaggio energetico, distinguendosi per una pulsazione ipnotica.
Più articolato è il brano “Shut Siren” in cui il basso assume un ruolo preponderante, introducendo un inedito ibrido Funky-Rock. La traccia esplora una dimensione in cui il groove dinamico e l’energia si fondono, ampliando il raggio sonoro della band oltre l’onda d’urto strettamente Post Punk. A mio avviso, il brano più interessante di tutto il disco.
“Kill The First” crea un suono volutamente arido, caratterizzato da chitarre sporche e da ritmiche che evocano cadenze quasi tribali, il brano offre una variazione atmosferica densa.
I brani “Search and Destroy” e “The Blackmail” sono esecuzioni senza freno, sature di furia e incisività stilistica, trattandosi di composizioni brevi e selvagge, concepite con lo spirito che da sempre caratterizza l’animo dello stile Punk.
Il picco di originalità concettuale è raggiunto con “Kick Out The Jams”. In questa traccia, i Super Dog Party decostruiscono gli schemi del rock classico per riassemblarli attraverso l’innesto di elettronica cruda e potente. Il risultato è un brano che si trasforma in un rito sonoro collettivo, liberatorio e di forte carica emotiva.
“Las Megas” non è niente che non si sia già ascoltato dato che il combo romano attinge un po’ eccessivamente al suono dei Red Hot Chilly Peppers e Foo Fighters ma, se da un lato è qualcosa di già assaporato, lascio il merito per il caos creativo nell’interpretazione di un Post Punk non nostalgico ma bensì istintivo.
