Recensione: The Darkest Place I’ve Ever Been
I LANDMVRKS giunti al loro quarto disco in studio stanno finalmente facendo quel salto di qualità in termini artistici e di popolarità che ci si aspetta da una band di tale caratura. Nel calderone sovraffollato del metalcore moderno infatti, il quintetto francese è ormai riuscito a distinguersi dalla massa, trovare la propria fetta di pubblico e la loro dimensione, ma soprattutto rendere personale e riconoscibile un genere che troppo spesso in questo ultimo periodo scade nell’anonimato (complice anche delle troppe uscite).
La band nell’estate del 2025 ha suonato in tutti i festival più importanti d’Europa in posizioni per nulla secondarie del bill, tra questi citiamo l’Hellfest, il Graspop e il Wacken, senza contare il tour europeo che intraprenderanno di supporto a dei veri e propri colossi del genere come gli Architects questo inverno (data italiana a Milano inclusa).
I LANDMVRKS riescono a mescolare efficacemente metalcore moderno in linea con band quali Spiritbox, Architects e i Bring Me The Horizon di Sempitenal, assieme ad una vena più Alternative Metal/Nu Metal, ma il fattore che fa fare il vero e proprio salto di qualità alla band (oltre al livello del songwriting), è il proprio vocalist Florent Salfati. La sua voce vi entrerà subito in testa non solo per le sue parti in scream viscerali, ma soprattutto per la sua incredibile abilità nel cantato rappato. Il “flow” e la tecnica dimostrata dal giovane vocalist francese è invidiabile, riuscendoci a rapire con una metrica dinamica e allo stesso tempo iper-veloce e iper-tecnica che in ambito metal è difficile scovare a questo livello. Già, perché il ragazzo più che un cantante metal che rappa, sembra un vero e proprio artista hip-hop non solo per quanto riguarda l’ambito estetico e il vestiario, ma per l’incredibile padronanza nel suo flow che spesso si avventura in territori che potrebbero mettere (quasi) in difficoltà un Eminem o un Kendrick Lamar a caso (ovviamente stiamo esagerando). L’altra particolarità sono le parti in francese, che aggiungono un che di davvero personale e particolare ad un disco presentato da una copertina splendida a dir poco, un opera d’arte che ci introduce a dei temi che scavano nell’intimità umana e nella sfera più personale, riuscendo ad essere efficaci ed eleganti nella loro presentazione. Tanta strada è stata fatta da questa band francese di Marsiglia dai tempi della loro fondazione nel 2014 e The Darkest Place I’Ve Ever Been, rappresenta senz’altro il culmine del loro lavoro, per un disco che riesce ad essere tecnico (non solo per quanto concerne il lato vocale), d’impatto, vario e ben scritto, per un album che nella sua durata complessiva di trentotto minuti si esprime al meglio senza risultare troppo prolisso.
La title-track apre le danze con un pezzo che parte sofferente e minimale, per trasformarsi improvvisamente in un assedio totale dove la malinconia si trasforma in rabbia e un muro di blast-beat ci sotterra sotto un “wall of sound “ impressionante. Ma ecco che improvvisamente il “vibe” cambia nuovamente – Salfati esclama quel “check, check! Landmvrks 2025”- sembra quasi una dichiarazione d’intenti, per una strofa molto in stile Limp Bizkit (se vi ricordate il buon Fred Durst apriva con una linea simile nell’iconico disco Chocolate Starfish & The Hot Dog Flavoured Water del 2001), per un cambio di rotta a 360 gradi. Dalla malinconia, alla rabbia, passando per un atteggiamento più “strafottente”, i LANDMVRKS mettono tutto già nella prima canzone. Questo non è un brano con una struttura convenzionale “intro-strofa-ritornello”, ma una specie di flusso di coscienza che non manca di riff iper-groovy e atmosfere drammatiche.
Creature parte con delle basi puramente hip-hop, dove il nostro Florent ci rappa sopra in francese con una maestria impeccabile. Quel “I AM THE CREATURE” scandito all’improvviso ci stupisce e ci introduce alla parte più heavy del pezzo. Il ritornello è estremamente catchy e ci rimanda come accennato prima a band come Architects e Bring Me The Horizon. L’impatto chitarristico è sempre pungente e tra aperture sinfoniche, breakdown con growl molto basso e gutturale quasi alla Ramos (ho detto quasi!), Florent ci mostra la sua versatilità anche nelle parti in scream.
A Line In The Dust si presenta con delle parti mormorate quasi alla Jonathan Davis dei Korn o alla Anders degli In Flames ed un altro ritornello che ti si stampa in testa, questa volta con un appeal più alternative metal. Tra l’altro questa traccia ha la particolarità di offrire un featuring con il vocalist dei While She Sleeps.
Blood Red è un altro pezzo devastante e una delle highlight del disco. Questa volta il pezzo parte con un approccio più pop, per poi tramutarsi in un brano hip-hop, ancora con parti rap in francese. Ritornello melodico (forse un pochino stucchevole) che si alterna nuovamente ad un flow carico di disperazione. Davvero encomiabile la capacità di questo vocalist di trasmettere le proprie emozioni interiori attraverso la voce, indipendentemente dallo stile vocale usato, che sia rappato, melodico o scream, Florent riesce ad essere sempre il fiore all’occhiello di questa band. In questa pezzo emergono un’alternanza tra riff groovosi e parti rappate alla velocità della luce encomiabili – quel “TAKE ME TO THE DARKEST PLACE I’VE EVER BEEN TO” scandito in maniera così rabbiosa ci spiazza, ma lo fa ancora di più la strofa seguente che risulta essere una delle strofe rappate più veloci che ci è mai capitato di sentire in un disco metal. Impressionante e va ribadita la padronanza e l’efficacia con cui Florent riesce a scandire le parole in maniera così chiara e netta, destreggiandosi in delle strofe che vanno alla velocità della luce. In questo brano c’è anche una bella apertura sorretta dal pianoforte per un disco che è un riflesso perfetto dell’elegante copertina.
Difatti anche se non mancano i riffoni metalcore, le parti catchy, lo scream e tutti quegli elementi più d’impatto, i LANDMVRKS riescono ad offrire all’ascoltatore un viaggio fatto anche di atmosfere malinconiche ed aperture delicate. Un esempio potrebbe essere Sombre 16, un pezzo puramente hip-hop, che funge sia da interludio con il suo minuto e dieci di durata che come pezzo a se stante, ma soprattutto l’incipit de La Valse Du Temps, una vera e propria ballata al pianoforte, quasi un valzer dove il cantato totalmente in francese aggiunge un pathos notevole. Il pezzo ben presto si trasforma in un brano più aggressivo cantato in inglese, ma quella sensazione di rabbia e malinconia rimane. Interessanti gli accenni di elettronica minimale sorretti da delle piccole sezioni in blast-beat.
Il pezzo in questione vorrebbe introdurci in questo mondo senza spazio e senza tempo, in una specie di “valzer del tempo” per l’appunto, dove il soggetto è racchiuso in un luogo adimensionale, schiacciato tra passato e presente e dove ogni riferimento tangibile ad un determinato punto nel nostro sistema spazio-temporale viene a mancare, ogni possibile aggancio è vano e così ci si perde tra le onde dell’ignoto raffigurate nella copertina del disco. Quell’ ”I’ll find my place eventually”, mostra però quella speranza di ritrovare se stessi in questo oceano sconfinato, ed è così che la rabbia si trasforma in malinconia e la malinconia in speranza.
Sulfur è un altro pezzo lanciato come singolo che è diventato un must delle scalette della band. Scratch, chitarroni alt metal, ritornello melodico. Un pezzo davvero di grandissimo valore che non offrirà elementi nuovissimi rispetto a quanto mostrato sin ora, ma con le sue slide guitars e il suo assedio di parti rappate, oltre che il suo breakdown (quasi) deathcore, è davvero un brano che fa centro.
The Great Unknown è un palese tributo ai Linkin Park così tanto evidente che nel riff iniziale i fan dei LP più accaniti potranno riconoscere delle sezioni reminiscenti del meraviglioso pezzo With You tratto da Hybrid Theory del 2000. Anche il cantato in questo brano è diverso e non può che ricordare quello di Chester Bennington come impostazione, mentre il ritornello così come il breakdown sembrano essere stati estrapolati direttamente da Meteora (ci viene in mente un pezzo come From The Inside). Insomma, un palese tributo ad una band che probabilmente li ha formati, ma nonostante questo un altro pezzo assolutamente riuscito.
Deep Inferno è l’ennesimo pezzo spaccaossa che funziona. Quel “you dug a hole that you pushed me in” sussurrato dal vocalist suona marcio e disturbante, quasi un estratto dall’omonimo disco degli Slipknot. Certo bisogna ammettere che un piccolo calo di qualità in questa ultima sezione del disco c’è, in particolare in un pezzo come Requiem. Anche l’ultimo brano che doveva essere una fine trascinante ed emotiva sorretta dal pianoforte e dal suono della pioggia in sottofondo riesce a metà, nonostante la prova incredibilmente sentita e convincente come al solito da parte di Florent. L’idea di chiudere con un pezzo così delicato ed introspettivo risulta vincente sulla carta, ma forse mancava quello “spark” in più per rendere questo brano veramente degno di essere la chiusura di un disco come questo.
In conclusione The Darkest Place I’ve Ever Been rappresenta davvero il culmine di tutto il lavoro profuso dai LANDMVRKS in questi dieci anni e passa di carriera per quello che risulta essere da ogni punto di vista il loro disco più riuscito. Se amate il metalcore moderno con tinte Nu Metal e andate letteralmente in brodo di giuggiole per band come Architects o Spiritbox questo è il vostro anno perché oltre alle nuove uscite dei suddetti gruppi, c’è anche il nuovo platter di questa talentuosissima band francese, che ci mostra come offrire al pubblico un metalcore moderno vario, incredibilmente ben scritto, ben prodotto, ma soprattutto con uno stile personale che ha fatto e farà fare quel salto di qualità ai LANDMVRKS che tutti prima o poi si sarebbero aspettati da loro. Fiore all’occhiello del disco la straordinaria performance dietro al microfono di Florent Salfati, un talento vocale davvero impressionante.
