Recensione: The Emperor of Loss

Di Valeria Campagnale - 2 Dicembre 2025 - 12:00
The Emperor of Loss
Band: Appalooza
Etichetta: Ripple Music
Genere: Heavy 
Anno: 2025
Nazione:
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60

Con il loro ultimo lavoro, “The Emperor of Loss”, il trio francese Appalooza si cimenta in un’impresa concettuale ambiziosa, esplorando le dinamiche psicologiche della prigionia e del trauma. L’album affronta temi grevi come la violenza e la perdita d’identità attraverso una narrazione ciclica che mira a intrappolare l’ascoltatore nello stesso senso di angoscia e di assenza di risoluzione.

Sebbene l’intento sia profondo, l’esecuzione musicale, pur potente, non sempre riesce a sostenere il peso di tali premesse. Il sound degli Appalooza è indiscutibilmente pesante, affondando le radici in un Heavy Rock massiccio che si nutre delle influenze grunge. La band incorpora anche elementi atipici, come percussioni tribali e dissonanze psichedeliche, nel tentativo di creare un’atmosfera disorientante.

L’apertura dell’album con brani come “Grieve” e “Magnolia” stabilisce un tono febbrile e implacabile. “Stockholm” in particolare si basa su un riff fuzzy e una ritmica insistente che comunica efficacemente il senso di minaccia incombente, con il crooning del cantante Wild Horse che aggiunge un elemento di inquietudine. Tuttavia, l’uso reiterato di questa densità ritmica, sebbene voluto per fini narrativi, è a tratti monotono. L’abilità compositiva degli Appalooza si manifesta nei momenti in cui la band osa variare la formula. “From the Cradle to the Grave” funge da punto di relativo distacco, pur mantenendo un tono cupo. Qui, il riffing si fa più sludge e ossessivo, richiamando la pesantezza emotiva dei Mastodon, sebbene l’eccessiva dilatazione di alcune sezioni sembri servire più l’intenzione tematica che l’urgenza musicale.

Il culmine narrativo, la traccia “Emperor”, tenta la catarsi. L’introduzione acustica e sommessa è un’efficace pausa di sospensione, preparando l’esplosione elettrica successiva. Sebbene il brano mostri il talento della band nel bilanciare rabbia e melodia, l’impatto complessivo, se decontestualizzato dal concept, risulta meno travolgente di quanto le premesse lascerebbero intendere. Dopo i brani più duri, come “Tarantula”, l’album si chiude con “Adios Marie” (nella versione vinile), un gesto inaspettato. L’introduzione di influenze spagnole è coraggiosa e dimostra una versatilità notevole, ma il suo posizionamento, in contrasto così netto con la pesantezza dei brani precedenti, rischia di apparire come un episodio isolato anziché come una vera e propria risoluzione narrativa, spezzando in modo abrupto l’atmosfera costruita.

“The Emperor of Loss” è indubbiamente un album che richiede all’ascoltatore un impegno emotivo significativo. Il trio ha affinato il proprio sound e la produzione è di alta qualità. Tuttavia, l’adesione intransigente al concept e alla ripetitività delle atmosfere pesanti rende l’ascolto a tratti eccessivamente ostico e poco vario per il fruitore occasionale. È un disco destinato principalmente ai puristi dello stoner/doom più introspettivo e a coloro che apprezzano la musica concept a discapito della fruibilità immediata. Un progetto complesso e valido, ma che forse sacrifica la dinamica in nome della fedeltà al suo messaggio di perdita.

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