Recensione: Siltskin
Com’è che dicono? Non ascolto spesso i Blood Red Throne, ma quando lo faccio, lo fanno anche i miei vicini. Volume a palla e tutto quello che succede intorno deve accontentarsi di quelle frazioni di secondo di tregua che fanno capolino tra la fine di un brano e l’inizio di quello successivo. Esattamente come accadeva per il precedente Nonagon pubblicato appena un anno fa e che segnava l’esordio per la Soulseller Records. Lo stesso dicasi per ciascuno dei 12 dischi pubblicati dal 2001 ad oggi.
Già, un impegno discografico non da poco che ha visto il chitarrista e mastermind Daniel “Død” Olaisen avvicendare numerosi cambi di lineup, senza per questo motivo perdere la direzione imposta da un sound sistematosi a dovere in uno scaffale del death metal più violento e crudo che possiate trovare e desiderare. Uno dei punti di forza – ancora una volta – è il modo in cui il sound dei Blood Red Throne esce dalle casse. Sulle prime può quasi sembrare pastoso, ma in realtà è proprio il plus che conferisce quel tocco analogico che tanto piace ai nostalgici, quel sapore più ruvido che viene al contempo valorizzato e portato in pompa magna da una sezione ritmica assillante come un martello pneumatico che vi sveglia la mattina alle 8.
Siltskin non è soltanto ossigeno puro per i timpani dei metallari, ma un lavoro che non si perde in troppi gingilli. Non ha nessun interesse nello stupire, magari perdendosi per strada come accade per altri commilitoni più concentrati sui numeri che sul livello qualitativo di un nuovo album. No, esso prende la propria onesta prevedibilità e la mette a disposizione di un songwriting che fa quello per cui lasci che il potenziometro resti ben saldo sul 10, dal primo all’ultimo dei circa 45 minuti di mattanza sonora.
Tutte e 9 le tracce sono ottimi episodi perfettamente spendibili come portabandiera di un lavoro che a tratti raggiunge picchi di coinvolgimento assoluto. E se avrei preferito un incipit contrario alla tracklist scelta dalla band, perlomeno sfruttando all’inizio due pezzoni come i conclusivi On These Bones e Marrow Of The Earth, ogni pezzo funziona come gli ingranaggi di una macchina ben rodata, a prescindere dai continui avvicendamenti dietro ai vari strumenti. Ciò che per alcuni potrebbe inspiegabilmente apparire come un difetto rappresenta per il sottoscritto la carta che contraddistingue il sound dei Blood Red Throne. Un mixaggio che esalta sonorità asciutte, un tocco di death vecchia scuola che celebra i fasti dell’alba di un genere spesso abusato, non sempre nel senso buono del termine e testi ormai marchio di fabbrica in quanto a tematiche estreme. Datemi retta, se state ancora pensando a un regalo per un amico appassionato, Siltskin sotto l’albero e nello stereo farà sicuramente un figurone.

