Death

Intervista: Gabriele Lazzerini (death metaller da 110 e lode…)

Di Nicola Furlan - 10 Maggio 2020 - 7:00
Intervista: Gabriele Lazzerini (death metaller da 110 e lode…)

Una intervista atipica. Non ci stiamo occupando di una band in procinto di raccogliere gli onori dovuti all’uscita del nuovo atteso disco, ma il punto di vista di un neo laureato in Musicologia. Che c’è di strano? Beh, che la tesi è intitolata “Produrre l’impatto: verso una definizione dell’esperienza d’ascolto del death metal”. Passando dagli Obituary ai Criptopsy dai Death ai Carcass e molti altri, il nostro amico si becca un bel 110 e lode. Oltre alla stima per aver toccato un argomento così atipico dato il panorama culturale accademico nostrano, è chiaro che la curiosità ha avuto la meglio. Eccoci quindi a far quattro chiacchere con Gabriele.

Ciao Nik, grazie mille delle belle parole e dell’interessamento. Sono stati anni impegnativi e intensi, anche sul piano della crescita personale. Musicologia a Cremona è un ambiente davvero stimolante in cui l’80% buono degli iscritti che ho conosciuto aveva già completato il percorso al conservatorio o in istituti d’eccellenza, per non parlare dei professori con cui ti ritrovi a studiare.

Toglimi subito una curiosità: come si approccia ad un relatore di tesi, in un Paese come il nostro, quando l’idea è quella di sviluppare un tema così atipico data l’apparente apertura mentale del mondo accademico?

In effetti l’Italia, per quanto riguarda i Metal Music Studies – che in altri paesi vengono portati avanti da decenni con metodologie accademiche serie e precise – non rimane particolarmente in vista. La cosa migliore da fare, qualora si decida di proporre un lavoro come il mio, è tenere presente sin da subito che conditio sine qua non per la validità delle nostre posizioni è un’adeguata argomentazione, oltre che l’esistenza di premesse che permettono ad essa di stare in piedi. In prima istanza, è necessario ricercare quanto più materiale specialistico possibile (questo comporta anche imparare a distinguere le fonti attendibili dalle “chiacchere” da bar), di modo da avere una panoramica complessiva dell’intero contesto. In seguito si deve cercare di farsi un’idea critica di quello che si è studiato, magari individuando le aree tematiche che in passato hanno suscitato maggiore interesse, così come gli strumenti d’indagine adoperati per trattarle. Bisogna trovare il proprio spazio, con la volontà di contribuire a nuovi sviluppi originali, dimostrandosi disponibili a leggere tanto in lingue che magari si conoscono poco (esattamente come avviene per le altre facoltà), approfondendo anche aspetti che con il metal e con la musica parrebbero avere poco a che vedere. Si deve imparare ad essere flessibili, umili e pazienti (soprattutto con noi stessi): credo che questa sia la chiave non solo per un rapporto ottimale con il proprio relatore, ma anche per l’arricchimento personale in qualsiasi ambito si decida di perseguire. Al di là di tutto, credo che sia importante trovare il coraggio di compiacersi guardando marcire tutti quei “sentito dire” (anche un po’ squallidi) con cui spesso ci si limita a conoscere. Ci si riempie la bocca con il progresso di cui reclamiamo la necessità a gran voce, ma lo siamo davvero progressisti, noialtri?

Come hai gestito le revisioni coi relatori?

Mi sono fidato della loro esperienza, mi sono fatto mettere i bastoni tra le ruote a fin di bene, ho reso via via più solide le mie argomentazioni.

Puoi illustrarci a grandi linee qual’è l’obiettivo della tua tesi e quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a trattare questo tema?

Obiettivo della mia tesi è cercare di offrire nuove metodologie e chiavi interpretative per il death metal, ma se devo dirti la verità mi piacerebbe che quello che ho proposto per questo genere venisse esteso anche ad altri linguaggi della Popular Music. Purtroppo in Italia una buona parte dell’analisi rivolta a questi repertori (almeno secondo la mia esperienza personale fuori dagli ambienti accademici) tende ancora ad esaurirsi tenendo in considerazione unicamente i parametri melodico/armonici, e al più la forma. Ciò che per molti ne consegue è un’”evidente inferiorità” contenutistica rispetto ai generi più colti, che sotto quel profilo sono sicuramente più affascinanti e ricchi, niente da dire. Ma siamo sicuri che questo approccio risulti universalmente adeguato a tirare fuori il meglio da ogni musica? Voglio dire, molte band che compongono rock, metal, punk, HC, pop, trap, folk, indie ecc non hanno la minima idea di cosa stiano facendo sul piano teorico. Suonano quello che sentono, con degli obiettivi, stop.. e qualche miliardo di dischi è stato venduto e apprezzato ugualmente. Viene allora da domandarsi se la cosa migliore da fare al fine di qualificare artisticamente questo tipo di produzione sia basarsi unicamente su quello che questi gruppi, in un certo senso, talvolta mettono volutamente in secondo piano. Forse c’è qualcos’altro da considerare, a partire per esempio dal fatto che stiamo parlando di musiche nate e concepite nell’era in cui il suono viene abitualmente “fissato”, in cui le dimensioni della registrazione, della produzione e della manipolazione sonora assumono un ruolo di spicco fino a diventare parte integrante di ciò che ascoltiamo. Questo, per farla breve, influenza infinitamente sia i processi compositivi che l’esperienza musicale/artistica in sé (in questo non mi invento niente, c’è un’abbondante bibliografia a riguardo, non solo musicologica….), e l’indagine non può non tenerne conto. Adesso ti faccio un esempio, forse un po’ fuori luogo, ma vuole solo far riflettere: da quando esiste la Set Theory, gran parte della produzione seriale di Webern, per dirne uno, è diventata molto più comprensibile e illuminata (N.B: non voglio e non sto assolutamente paragonando repertori completamente diversi, sto parlando di metodi). Si è arrivati a conoscere meglio il pensiero che c’è dietro la sua opera. Ma prima, quest’ultimo, lo si è dovuto cercare: ci si è dovuti interrogare a fondo anche su ciò che l’autore dichiarava o scriveva, fino a capire che un’espressione di “rottura” non concede il meglio di sé stessa se la si interroga unicamente con la “tradizione”. Da qui i nuovi strumenti, il coronamento della comprensione. Tornando al death metal (domanda retorica), qualcuno si è mai soffermato sulle interviste e sulle dichiarazioni degli artisti di questo genere? Cosa vogliono arrivare ad esprimere con la loro musica? Attraverso cosa? Non ci volevo di certo io per notare che l’obiettivo più diffuso è, letteralmente, prendere l’ascoltatore a mazzate investendolo con quanta più violenza sonora possibile. Noi questo impatto lo avvertiamo bene, ma è anche importante provare a capire da cosa derivi esattamente e saperlo spiegare. Forse c’è qualcos’altro oltre che a una manciata di note e blast beat. A questo proposito credo che diventi più che mai necessario ricercare un tipo di dialogo multidisciplinare.

 

Che lavoro vorresti fare nella vita se qualcuno ora ti dicesse che puoi scegliere, ma devi farlo entro dieci minuti?

Vorrei tanto riuscire a vivere bene suonando ciò che più amo, senza lasciare la didattica. La musicologia e l’ambiente universitario mi hanno letteralmente cambiato la vita e non voglio abbandonarli per nulla al mondo: nei prossimi mesi cercherò un dottorato di ricerca all’estero perché voglio davvero tanto approfondire alcuni aspetti specifici della musica. Da sempre mi affascinano il ritmo, il microtiming e in generale la temporalità. Spero quindi di continuare la mia carriera come chitarrista eternamente studioso consolidando al meglio quella di teorico e docente: se poi a un certo punto dovrò scegliere sarò comunque felice. Dopotutto sarebbe per evitare l’esaurimento nervoso.

Se ti chiedessi cos’è per te la musica di elevata qualità, cosa mi risponderesti?

Musica di alta qualità, per me, è quando la proposta risulta coerente con i fini artistici di chi la compone. I mezzi e i materiali utilizzati devono essere adeguati allo scopo.

Ho spesso grandissime discussioni, di elevato livello ad essere sincero, con Riccardo Angelini, mio carissimo amico, ex valido redattore nonché scrittore e sceneggiatore (questo per dirti che il dibattito è intenso…), sul fatto che la musica la si apprezza maggiormente se si conosce la Storia che vi si cela dietro. Per farti un esempio: la scena floridiana di inizio anni Novanta è stupenda se ho in mente Morbid Angel, Death e Obituary che bazzicano per le strade bollenti ispirandosi a vicenda… “Symbolic” mi piacerebbe comunque, ma ad avere in mente cosa stava succedendo, me lo fa piacere ancora di più. Non significa ovviamente che me la faccio piacere per auto-condizionamento… quale è la tua opinione a riguardo? La conoscenza della Storia aiuta o devia il giudizio e la percezione personale di un disco?

Probabile che sia già emerso, ma conoscere il pensiero musicale dietro all’opera, per l’appunto, per me risulta fondamentale.

Sono curioso del tuo parare. Personalmente, al momento, adoro quanto stanno producendo Behemoth, Blood Incantation e Immolation. Che ne pensi? Hai qualche nome di spessore da consigliare?

Ti dicessi che sono aggiornato come vorrei sulle ultime uscite mentirei clamorosamente. Negli ultimi due anni, anche per motivi di tempo e lavoro, ho approfondito praticamente solo jazz e country soffermandomi, nel caso dell’estremo, su pochi dischi e nomi. Non riesco ad essere quel tipo di ascoltatore che la vive passivamente dimenticandosi dopo due giorni di tutti i riff che ha sentito in precedenza. Purtroppo le ore sono solo 24: ascoltare 10 nuovi dischi densi di dettagli ogni giorno, solo per dire di averlo fatto, non ha mai fatto parte di me, ma invidio onestamente chi lo fa e riesce nonostante tutto a interiorizzarli e capirli. Quando ho un album tra le mani mi piace consumarlo trascrivendo i brani più significativi, di modo da metabolizzarli e sentirli “miei”, e questo non giova in termini di grandi numeri. Ad ogni modo sono anche io legatissimo ai Behemoth, ma forse i lavori che ho macinato di più sono stati “Upon Desolate Sands” degli Hate Eternal e “Immoto” dei Nero Di Marte: immensi. Anche “Where Shadows Forever Reign” dei Dark Funeral e “Hadeon” dei Pestilence mi sono piaciuti un sacco. Sulla scena italiana consiglio le mie ex band, Electrocution ed Handful Of Hate, proprio perché ho apprezzato davvero tanto gli ultimi lavori, ma anche Modern Age Slavery, Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse.

Riguardo il movimento death metal, quali sono le sostanziali differenze tra la scena nord europea e quella statunitense?

Se parliamo degli anni ’90, le mie orecchie hanno sempre percepito la produzione europea come più “cantabile” e “melodica” rispetto a quella americana, che mi pare aver giocato di più in termini di “inaccessibilità”, forse anche di virtuosismo. Ma non è da estendersi a regola generale, assolutamente. Via via, poi, mi sembra che tutto sia andato standardizzandosi: ci sono band in America che sembrano svedesi e viceversa. La differenze stilistiche sostanziali, all’inizio, le hanno fatte secondo me il Morrisound e il Sunlight Studio, oltre che le scelte di adozione di un certo tipo di strumentazione e gear piuttosto che altre: quando penso alla Svezia,ad esempio, mi si pianta immediatamente nel cervello l’immagine di un bell’HM2. Per chi fosse interessato ad approfondire questi aspetti, comunque, consiglio la lettura della tesi di dottorato di Eric Smialek “Genre and Expression in Extreme Metal Music, ca. 1990–2015 “, molto ben fatta e facilmente reperibile.

E se dovessi usare un solo aggettivo per identificare a 360° le seguenti scene: Swedish Death, Gothenburg Scene, US Death (scena floridiana), British Death Metal, quale useresti per ognuna di esse?

“Oscuro”; “Catchy”; “Feroce”; “Corporale”.

Chi a tuo parere è stato il gruppo o l’artista che ha dato vita al movimento in termini di ispirazione massima e chi, al momento attuale, ne è il più grande interprete ed innovatore?

Led Zeppelin e Black Sabbath come padri assoluti. Per quanto riguarda gli innovatori ti direi che invecchiando sto amando sempre di più chi, in termini di metal, è in grado di creare immagini sonore suggestive giocando con timbro, rumori, spiragli di luce, allucinazioni e dinamiche. Diciamo che ho cominciato a preferire un bel thriller rispetto a “Cannibal Holocaust” e “A Serbian Film”. Ma sono gusti. In termini di eredi la domanda è parecchio pretenziosa e impegnativa. Ammiro di gran lunga il coraggio di Nero di Marte, Igorrr, Gorguts.

So che hai una band. A chi potrebbe piacere ciò che proponete e perché?

Attualmente sto suonando con Il Garage Ermetico assieme a Roberto Diatz, Simone Busatti e Giovanni Palmitesta. Stiamo ultimando l’EP e devo dirti che mi viene difficile classificare esattamente quello che facciamo perché l’obiettivo è stato sin da subito soffermarsi musicalmente su certi aspetti della psiche umana rispettandone la complessità e talvolta le contraddizioni. Ne deriva che stare nei canoni di un unico genere è praticamente impossibile. Roberto è inoltre da sempre un abilissimo pittore, quindi l’idea di suggerire gradazioni di colore/stati esistenziali che si plasmano attraverso il suono è altrettanto centrale. In tanti che ci hanno visti live ci accostano frequentemente a Tool, Katatonia, Red Fang, Alice in Chains, Gojira, Valley Of The Sun, Slo Burn. Spero che presto ce lo possiate dire voi, quello che facciamo! Intanto vi segnalo anche un altro progetto, uscito il primo di maggio, su cui ho avuto modo di incidere le mie chitarre e di cui vado fierissimo: “Fatberg” di Caplaz. Aspetto notizie!

Grazie per chiaccherata. Lascio a te i saluti agli utenti di Truemetal e a tutti quelli che leggeranno la tua intervista…

È stato un piacere. Spero davvero di aver incuriosito qualcun altro motivandolo a intraprendere il mio stesso percorso. Buona musica e grazie dello spazio.