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5 album folk metal dall’America Latina

Di Elisa Tonini - 7 Maggio 2025 - 10:59
5 album folk metal dall’America Latina

Questa volta vi portiamo nella selvaggia e variegata America Latina, tra foreste pluviali, altissime montagne andine e caldi deserti. Mettetevi comodi.

L’America Latina  è certamente nota per artisti del calibro di Carlos Santana, dei Sepultura e degli Angra,  tuttavia essa cela altre gemme nel suo variegato habitat. Il termine “Latina” anticipa influssi coloniali spagnoli, francesi e portoghesi, tendenze che vengono sovente traghettate pure nella musica. Ecco quindi 5 album folk metal da tale regione. La musica tradizionale dell’America Latina presenta generalmente un ritmo dominato dalle percussioni e dagli strumenti a fiato, su tutti la zampoña ( flauto di pan ). Gli strumenti a corde come per esempio la caipira viola sono stati portati dagli europei ( portoghesi, spagnoli) oppure sono derivati da essi (charango). Tra le armonie, a volte si avverte una tendenza dissonante, almeno nel folk metal.

Una precisazione

I cinque album qui sotto rappresentano per la sottoscritta il meglio che la scena folk metal dell’America Latina possa attualmente offrire. Un vasto territorio significa quindi eterogeneità della proposta musicale e delle culture, avventurandosi, in certi casi, in preziosi idiomi indigeni. Per dare maggior risalto ai gruppi meno noti, ho escluso band come i Sepultura e gli Angra, i cui pezzi per me degni di nota in ambito folk metal, sono posti a fine articolo.
L’ordine scelto è quello alfabetico partendo dal luogo di provenienza, poi per band ed infine l’album. Quando ho inserito più opere di uno stesso artista, ordino invece per data di uscita.

I magnifici 5 album folk metal dall’America Latina

Brasile

Arandu Arakuaa

Nati nel 2008, gli Arandu Arakuaa sono una creatura del chitarrista  Zândhio Huku, nato e cresciuto fino all’età di 24 anni vicino alle tribù Xerente . Fondono elementi indigeni e della musica folk brasiliana con una base perlopiù death metal, groove e thrash in uno stile umorale ed imprevedibile. L’attenzione degli Arandu Arakuaa verso le culture indigene li rende a mio parere una band di punta dell’America Latina tutta e, idealmente, un esempio per tutte le band folk metal.
Fin dalla loro fondazione, il percorso musicale si è dimostrato essenzialmente sempre molto coerente, emergendo con l’ottimo “Wdê Nnãkrda” (2015) e l’eccellente “Mrã Waze”, il terzo full-length.

Wdê Nnãkrda” (2015)

La particolarità della musica degli Arandu Arakuaa è anche quella di combinare voce femminile e maschile. In quest’album domina la versatilità della cantante NáJila Cristina, autrice di feroci prestazioni growl come di tenerissimi clean. A lei si contrappone il canto trasognato, sciamanico di Zândhio Huku, che si lancia altresì in abrasivi growl.
Un’opera da cui emergono per bellezza ed ispirazione l’implacabile “Padi” e l’avventurosa “Ĩwapru”.

Mrã Waze” (2018)

L’entrata di Lís Carvalho alla voce e piffero, offre ai Nostri un animo più innocente e candido, bilanciato equamente dai cori tribali e dalla voce maschile sciamanica oppure abrasiva. E’ il loro album più equilibrato da questo punto di vista, ed anche il più ispirato. Da segnalare, a mio gusto, “Îasy” e “Huku Hêmba” per il cuore entusiasta e “Guâiupîá” per i suoi contrasti ambigui, come madre natura.

 

Cile

Folkheim

Nati nel 2003 i cileni Folkheim propongono essenzialmente un ethnic folk black metal, attraversato, a seconda dei casi, da strumenti tradizionali come trutruca, charango, zampoña e ukelele.
Ad ora hanno prodotto tra EP, demo e singoli, un album in studio, intitolato “Mapu Ñi Tiam” ed è l’opera di nostro interesse.

Mapu Ñi Tiam” (2012)

Composto di sette tracce più tre bonus tracks, “Mapu Ñi Tiam” fonde elementi locali con sonorità metal in linea con Moonsorrow, Ensiferum e Bathory.
Valgono il disco i brani “En Fronteras Ajenas (Quellasuyo)” e “Vaai Honga Kaina”, la prima per l’entusiasmo gioviale ed arioso ma dotata di un temperamento senza compromessi. L’assolo del zampoña è un vero capolavoro. “Vaai Honga Kaina” d’altro canto, ha dalla sua un tripudio guerriero e tribale, forza trainante. Trascurabili invece le tre tracce bonus.

Messico

Cemican

I Cemican (che significa “Tutta la Vita” in Náhuatl) si formarono 2008, grazie a Tlipoca (batteria) e Tecuhtli (voce/chitarra). Fondono una ricercata base perlopiù thrash metal, heavy e power con elementi e suggestioni tribali degli aztechi e dei maya. Ricchissimo l’uso di vari strumenti a fiato e percussioni, inoltre cantano in spagnolo con inserti in lingua náhuatl. Ad ora hanno pubblicato tre full-length e vari singoli, ma è il buon album “In Ohtli Teoyohtica In Miquiztli (2019), il lavoro di nostro interesse.

In Ohtli Teoyohtica In Miquiztli” (2019)

Sicuramente l’album meglio prodotto della loro discografia, il più compatto, pur conservando una qualità grezza. Atmosfere oscure e spettrali si abbinano a dinamiche complesse, all’occorrenza dissonanti ed epiche. Tra tutte le tracce, quelle ad emergere possiedono maggiormente quest’ultima qualità, l’epicità. Impossibile non essere conquistati dall’affascinante “Luna desmembrada”, con una voce femminile che contribuisce a espandere un’atmosfera magica e sacra. Speciale anche “Donde nace el viento (Ehecatl)”, quasi costruita intorno ad uno strumento a fiato paragonabile ad un’ocarina.

Perù

Chaska

Formati nel 2002, i Chaska propongono una base death metal trainata da strumenti e melodie della tradizione andina come charango, quena e zampoña. Cantano in inglese e raramente in spagnolo. Hanno prodotto ad ora un full-length, tre EP e svariati singoli, da cui emerge l’ottimo EP “Rites of June”.

Rites of June” ( 2024)

Un’opera che cresce pian piano nel suo cuore intimista ed al contempo esplosivo, tra prog di gran classe e death metal granitico. Traspare una crescita ed un’ulteriore definizione in termini di personalità, sostenuta da una maggiore qualità della produzione.
Gli strumenti a fiato sono generalmente utilizzati con grande intelligenza, e vengono esaltati al meglio nelle favolose “Winter Night Heights” e “Sweet Lover” ( un capolavoro gli assoli incrociati dei strumenti a fiato). L’unico pezzo meno convincente, a livello compositivo è “Imperio Caído”.

“Rites of June” include in gran parte brani già presenti in “Pururauca” , tra cui una versione leggermente modificata di “Winter Night Heights”. Se fosse stata presente anche la title-track di quel disco, l’EP avrebbe raggiunto un livello ancora superiore.

Conclusioni

Questi di sopra sono gli album/EP che più preferisco della scena folk metal dell’America Latina. Una scena che merita  rispetto ed è degna di essere scoperta nelle sue sfaccettature. Vi lascio comunque altre tracce per me degne di nota, in ordine alfabetico per Paese e poi per band.

Argentina

Neyen Mapu – “Paso de Indios“. La particolarità del brano è il malinconico trutruca, innestata in un heavy metal marziale. Un connubio riuscitissimo.

Bolivia

Los Kjarkas –Llorando se fue“, “Imillitay” e “Negrita“. Certamente non metal però queste canzoni, specie le ultime due, presentano un tiro notevole. La prima è un sali e scendi struggente mentre “Imillitay” e “Negrita” travolgono con le armonizzazioni taglienti della zampoña e delle linee vocali.

Brasile

Angra – “Carolina IV” definibile una sintesi tra atmosfere tribali brasiliane e quelle coloniali europee, dall’atmosfera antica, regale e colta.
Arandu Arakuaa – “Sekwa“.  Questo singolo, uscito a gennaio 2025, coinvolge per il suo fare orecchiabile eppure non convenzionale, per poi proseguire imprevedibile nella sua dinamicità. Alla voce femminile figura Andressa Barbosa, cantante e bassista del gruppo dal 2018.
Sepultura – “Roots“. Impossibile non nominarla, un tiro che non perdona, disperata ma combattiva al punto giusto. Direi una sorta di “One Road to Asa Bay” del Sud America.
Shaman – “For Tomorrow“: ipnotica nella sua progressione tra flauti e percussioni, fusi ad una malinconica struttura metal che sfuma nel spirituale.

Cile

Inti Illimani – “La festa de San Benito“. Non metal di certo ma questo  folk-rock  ha il suo carattere ed un tiro non indifferente

Perù

Chaska – “Pururauca“. Impossibile non includere questa fantastica title-track, di più di 14 minuti di durata, tra brutalità e poesia.

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Elisa “SoulMysteries” Tonini