Rock

Recensione libro: David Bowie, Tutti gli Album

Di Stefano Ricetti - 12 Maggio 2021 - 8:31
Recensione libro: David Bowie, Tutti gli Album

DAVID BOWIE

TUTTI GLI ALBUM

di Francesco Donadio

EAN 13: 9788827602232

Collana: MUSICA

Pagine: 208

IL CASTELLO EDITORE

Euro 24.00

 

Nel 1977, brufoloso e travolto dalle sonorità dure di vario genere, heavy metal in primis, vedasi alla voce Black Sabbath (benché all’epoca la definizione di genere non fosse ancor ben decodificata), poi hard rock, rock’n’roll anni ’50 e revival vari, su tutti Kim & The Cadillacs, a seguire Rockets e, last but not least, il punk, acquistai, fra i vari 45 giri di quell’anno, Punk Rock degli Incesti, solamente perché attratto dalla copertina. Improvvidamente, sentito il risultato una volta poggiata la puntina su quel vinile. Ma soprattutto feci mio “Heroes” di David Bowie. Fra gli amici appassionati ricordo che circolava la leggenda secondo la quale il buon Duca Bianco, per farsi “passare” come punk, ossia alla stregua di Damned, Clash e Sex Pistols, si fosse fatto amputare un dito, così come evidenziato, per l’appunto, civettuolmente, in modalità  vedo non vedo, sulla copertina grigia di “Heroes”. Fantasie e suggestioni di gioventù, che comunque su qualcuno attecchirono e senza dubbio contribuirono ad alimentare il mito, la curiosità, in un’epoca ove bastava poco per sentirsi felici e nella quale un articolo su Bowie, ad esempio, su l’Intrepido o Il Monello valeva l’effetto di un miracolo. Ci si buttava a capofitto nella lettura più e più volte e le poche foto presenti, anche se sgranate e in bianco e nero, venivano scannerizzate con gli occhi. I canali di informazione così come li conosciamo oggi erano fantascienza e ci si arrabattava come si poteva, sulla spinta di una passione sì naif ma infinita.

Il 45 giri di “Heroes”/”V2 Schneider” lo consumai e nel giro di poco colmai alcune lacune a ritroso, sotto forma di Lp:  The Rise and Fall of Ziggy Stardust, Diamond Dogs, Station To Station, per poi seguire Bowie anche negli anni a venire, ma onestamente in maniera un poco ondivaga.

Quello che ho sempre pensato, da persona imbragata al 100% nell’heavy metal, è che David Robert Jones incarnasse un genio capace di risultare vincente a 360°, qualsiasi fosse il genere musicale dal lui trattato.  Uno che se si fosse buttato anima e corpo nel Metallo, durante la sua carriera, se ne sarebbe uscito fuori con un album scintillante, originale e che sarebbe, negli anni, divenuto epocale. Un lavoro probabilmente più legato all’hard rock, benché di matrice dura, che non all’heavy metal tout court, ma tant’è. E ne sono ancora straconvinto oggi. Fine del pistolotto.

Excursus personale ma doveroso, per inquadrare un artista incredibile come David Bowie, al quale la casa editrice Il Castello dedica il libro David Bowie, Tutti Gli Album, un tomo avviluppato in una bella copertina massiccia in cartone dalle misure ragguardevoli: 22 x 28,5 cm. 208 pagine di alta qualità cartacea atte a passare in rassegna la carriera di uno fra i geni della musica di sempre attraverso una disamina discografica album dopo album. A differenza di opere passate, ove il concetto di “scheda”, semplicistico, spesso asettico ma soprattutto spacca-ritmo la faceva da padrone, all’interno del lavoro griffato Francesco Donadio l’analisi delle varie uscite discografiche risulta essere legata da un sottile fil rouge che fornisce slancio e interesse nella lettura pagina dopo pagina. L’idea di ricomprendere, oltre alla discografia scritta nella pietra, anche le uscite live più significative, le edizioni speciali, le antologie e i box set retrospettivi è senza dubbio stata vincente, il classico colpo di reni che aiuta a corroborare tutto il resto.

Di Bowie si è scritto tantissimo e si scriverà ancora tanto, Tutti gli Album comunque riesce, anche in virtù di una varietà notevole di illustrazioni di livello a corredo, a fornire uno strumento avvincente per immergersi ancora una volta dentro i numerosi meandri della vita artistica del Duca, personaggio che non si è mai arreso alla comfort zone, nonostante se lo potesse ampiamente permettere, ma ha rischiato, sperimentato, inventato e si è reinventato più volte anche a livello di estetica. Il fatto che alcuni album siano stati trattati per intero da altri autori, diversi da chi ha poi firmato il libro,  consente inoltre di poter godere di differenti punti di vista e dissimili sfumature nei confronti del musicista britannico. La voglia di tornare a risentirli, appena scartati, annusati e poi appoggiati sul piatto pronti per essere deflorati dalla puntina nasce irrefrenabile, lungo la fruizione dell’opera Donadiana. Ulteriore verve la conferiscono le varie chicche che qua e là emergono, da sempre a costituire la vera spinta propulsiva della letteratura musicale tutta, che altrimenti si ridurrebbe a un freddo elenco di titoli, dichiarazioni, line-up e date.  The Thin White Duke non si fece mancare nulla, in vita: cocaina, alcool,  sesso, esoterismo, “fisse” mentali e poi e poi. Come ricordato dalla moglie Angie, a pagina 93 del libro, riguardo il soggiorno a Berlino Ovest durante le registrazioni presso il Meisterhaal Studio 2:

“Sorreggevo David, in strada, davanti a casa sua, mentre si vomitava sulle scarpe”.

Un aneddoto, fra i tantissimi, presenti nel lavoro de Il Castello.

Tutti gli Album assolve pienamente il proprio obiettivo: raccontare per il tramite della ceralacca nera l’attività di un personaggio unico, non replicabile, che ha lasciato un vuoto incolmabile, esattamente come Lemmy dei Motörhead o Robin Williams in campo cinematografico. E non era così semplice farlo, sebbene non esaustivamente, in “sole” duecento pagine e rotti.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti