Recensione libro: Franco Mussida, Il Bimbo del Carillon

Il Bimbo del Carillon
di Franco Mussida
400 pagine
Dimensioni: 14.6 x 3 x 21.8 cm
ISBN-10: 8893817594
ISBN-13: 978-8893817592
20 Euro
Il Bimbo del Carillon, griffato Salani Editore, è un’autobiografia assolutamente divergente rispetto a quanto si è usi fruire in ambito hard rock e heavy metal.
La letteratura legata al Metallo, inteso nella sua globalità, quindi ricomprendendo tutti i vari rivoli, tende, da sempre, e sottolineo sacrosantamente, a dar spazio all’iperbole, al fatto bombastico, all’enfasi, così da risultare pienamente in linea con l’anima stessa della siderurgia applicata alla musica dura.
Quindi ampio spazio agli eccessi alcoolici, alle droghe, al sesso, alle litigate, alle risse e in generale alla vita on the road, senza per questo tralasciare il resto, beninteso.
Orbene: niente di tutto quanto elencato è ricompreso nel lavoro oggetto della recensione, il libro scritto da Franco Mussida (qui sua intervista del 2005), classe 1947, musicista, compositore, pittore, scultore, chitarrista e fondatore della PFM, presidente del CPM Music Institute di Milano, da lui stesso allestito nel 1984.
Zona di Viale Zara, periferia di Milano, fine anni ’40. Un bimbo, nella casa di famiglia, gattona attirato da un oggetto misterioso, contenuto dentro un involucro in legno capace di liberare nell’aria una serie di suoni: un carillon. Lo raggiunge e si sente felice. Non ne è ancora consapevole, ma in quel momento ha incontrato quella che per tutta la sua vita permarrà una compagna fedele, la musica. O meglio ancora la Musica, con la maiuscola.
Più o meno settant’anni dopo quello stesso bambino, ormai cresciuto e divenuto nonno, intraprende da solo un viaggio in auto diretto verso un luogo per lui catartico: Sermoneta, in provincia di Latina. Il posto ideale per poter effettuare un cammino a ritroso all’interno del suo vissuto. Fra passeggiate, mangiate, colazioni, semplici meditazioni all’interno di quattro mura l’autore inanella immagini, ricordi, pezzi di memoria e flashback appartenenti al passato. Intuizioni, pensieri che in alcuni casi verranno poi trasformati in Musica.
Quello che ne sgorga è una carrellata lunga 400 pagine, realizzata alla vecchia maniera, quindi totalmente priva di foto, così da scatenare l’immaginazione di chi si pone alla lettura. Una narrazione atipica, che rifugge la via più breve e semplice, capace di lambire i confini del trattato filosofico. Piuttosto ostica all’inizio per poi divenire affascinante nel momento in cui Mussida entra un po’ più nel vivo delle cose lasciando da parte la componente trascendentale. Sublimi i passaggi nei quali viene ripercorsa l’esperienza carceraria in aiuto ai detenuti, i rapporti inevitabili con la malavita milanese degli anni Settanta, le bische clandestine, le frequentazioni con De André e i vari, laceranti, decessi collegati a quelle attività.
Ovviamente Il Bimbo del Carillon parte dagli inizi, quelli di un ragazzino timido e schivo che nella Milano dell’epoca assaggiò anche il sapore acre derivato dalle vessazioni ricevute da quelli un poco più grandi, i tipici bulletti di periferia. Incredibilmente, per uno che ha suonato in mezzo mondo, lo spazio dedicato alla PFM – addirittura spesso riportata, genericamente, come “il gruppo” – ai suoi componenti, ai concerti, alle altre band e ai vari dischi risulta irrisorio proprio perché soverchiato dall’ala intimista del racconto, l’unica e vera chiave del libro, rappresentata da quel sottile fil rouge che attribuisce alla Musica la facoltà di sondare l’anima e tracimare nella poesia.
Stefano “Steven Rich” Ricetti