Hard Rock

Recensione libro: Nothin’ but a Good Time, la Storia non censurata dell’Hard Rock degli anni ’80

Di Stefano Ricetti - 2 Febbraio 2023 - 8:43
Recensione libro: Nothin’ but a Good Time, la Storia non censurata dell’Hard Rock degli anni ’80

Nothin’ but a Good Time

La Storia non censurata dell’Hard Rock degli anni ’80

di Tom Beaujour e Richard Bienstock

Ean13: 9788827603390

Collana: MUSICA

Pagine: 576

25 Euro

Editore: CASTELLO

 

Nothin’ but a Good Time, La Storia non censurata dell’Hard Rock anni ’80 è un bestione dalle dimensioni assimilabili a quelle dei dizionari che erano in uso qualche lustro fa, oggetti sicuramente molto meno utilizzati e richiesti oggi, tempi nei quali smartphone e rete spadroneggiano incontrastati. Più concretamente 576 pagine più sedici di foto a colori per un risultato finale di 15 centimetri di larghezza, 21 di altezza e ben 5 di profondità. Un vero e proprio parallelepipedo di carta che prende però nettamente le distanze dal “mattone” letterario che potrebbe richiamare sulla base del proprio ingombro.

Tom Beaujour e Richard Bienstock hanno costruito un’opera di cotanta portata pressoché totalmente sulle dichiarazioni dei vari addetti ai lavori attraverso oltre duecento interviste. Ovviamente stabilendo un filo conduttore sul quale poi si sono intrecciati i ricordi di musicisti, manager, giornalisti, fotografi, agenti, promoter, deejay, discografici, produttori, ingegneri del suono, trafficoni e paraculo assortiti così da ricostruire nel modo più fedele possibile l’epopea dell’hard rock colorato della Los Angeles anni ’80 e di quello americano in senso più ampio.

Quello che ne è fuoriuscito è uno spaccato fedele di quel passaggio irripetibile, quando il Sunset Strip era infestato giorno e notte da una moltitudine di ragazzi aspiranti musicisti e non con i capelli ricoperti di lacca sparati verso il cielo e ai concerti non mancavano battaglioni di sventole di varia foggia e natura in minigonna e tacchi a spillo.

Probabilmente, in ambito hard rock USA, è stato l’unico momento della storia nel quale si è materializzato e vi erano le condizioni per poter parlare realmente di “sogno americano” tout court. Lo scorrere del tempo tende ad ammantare di colori pastello il passato sulla scia di un malcelato sentimento nostalgico. Fa parte del gioco e della vita. Nothin’ but a Good Time riporta le cose al proprio posto. Senza filtri di sorta né improbabili impalcature deontologiche rimembra al mondo come molte delle successive rockstar fecero la fame nera, dormendo accatastate in pericolose topaie infestate da scarafaggi e sporcizia assortita. Senza farsi mancare i tiri mancini, la concorrenza spietata, i tradimenti, i boicottaggi, l’assenza di buon gusto, basti passare in rassegna la situazione imbarazzante generatasi fra George Lynch e Jake E. Lee per giocarsi il posto di chitarrista nella band di Ozzy Osbourne. La logica del mors tua vita mea dettava lo scorrere di quelle nottate infinite.

 

Nessuno faceva il tifo per Kevin DuBrow, quando i Quiet Riot hanno abbattuto le barriere per tutti noi! All’epoca era tutto una concorrenza spietata, puoi scommetterci. Qualcun altro ottiene un contratto discografico? Tutti addosso: “Fanculo quegli stronzi!”. Invidia totale. Era tutto molto molto aggressivo e competitivo.

Ron Keel, cantante degli Steeler e dei Keel

 

Per arrivare alla firma di un contratto si dovevano affrontare delle fatiche erculee, altro che lustrini, champagne e paillettes. Quelli arrivarono dopo, in dosi industriali, accompagnati da pin-up di alto rango.

Vengono setacciate le vicissitudini, in vari capitoli, di Dokken, Great White, L.A. Guns, Mötley Crüe, Poison, Guns N’ Roses, W.A.S.P., Skid Row, Bon Jovi, Faster Pussycat, Van Halen, Ratt, Twisted Sister, Winger, Warrant, Cinderella, Quiet Riot, Lita Ford e molti altri.

Chiaramente in un libro come Nothin’ but a Good Time l’aneddotica la fa da padrona, come è lecito attendersi. Alcune chicche sparse:

Un giorno mi sono presentato sul presto alle prove, sono entrato nella sala e Robbin Crosby (chitarrista dei Ratt) si stava masturbando. Fa ridere pensare che, mentre io mi sono subito sentito imbarazzato e anche un po’ disgustato, Robbin fosse invece del tutto disinvolto. Della serie: “Ehi, Jake, sei in anticipo!”

Jake E.Lee, chitarrista Ratt e Ozzy Osbourne

 

Ero in topless, con ‘sta cosa in pelle su misura che mi copriva dalla vita in giù. Un tantino misogino, va detto. Blackie (Lawless, divoratore di vermi vivi, cantante e leader degli W.A.S.P.) simulava di tagliarmi la gola e c’era quest’aggeggio studiato in modo che, al momento opportuno, io soffiassi attraverso un tubo che conteneva dei sacchetti di sangue finto. Mordevo i sacchetti e allora il sangue mi scorreva lungo la gola e aaaarrrrgggghhhh!

Laura Reinjohn, performer W.A.S.P.

 

Perlustravano i bidoni della spazzatura (i Mötley Crüe, agli inizi) in cerca di qualsiasi cosa di commestibile tra gli scarafaggi, oppure setacciavano i posacenere a caccia di mozziconi di sigaretta da finire. Anche la mia scrivania era buona per gli avanzi del pranzo o della cena. Presi l’abitudine di non consumare più tutto il mio pasto per potergliene lasciare un po’. Pian piano mi hanno anche portato via tutti gli elenchi telefonici. Dissi: “che cavolo ci fate con i miei elenchi telefonici?”. E Tommy (Lee, batterista dei Mötley Crüe) rispose: “E’ che ci manca la carta igienica!”.

Deedee Keel, agente di booking del Whisky a Go Go

 

Era solo un’idea strampalata: “Prendi dei topini, tiraglieli sulle gambe e rendi il tutto un po’ inquietante”. Così lo abbiamo fatto. E Tawny (Kitaen, modella, poi divenuta moglie di David Coverdale e splendida protagonista nei video di ere I Go Again, Still Of The Night, Is This Love e The Deeper The Love, purtroppo mancata nel 2021), pur essendo un po’ schizzinosetta, ha accettato di buon grado.

Stephen Pearcy, cantante dei Ratt

 

Entrambi i proprietari del club erano ubriachi fradici. Talmente pieni che hanno iniziato una rissa con la band. Come se non bastasse, Bret (Michaels, cantante dei Poison) ha pensato bene di fare i suoi bisognini a lato del palco, con una gran disinvoltura, peraltro. E giù botte da orbi.

Howie Hubberman, manager dei Poison

 

 

Fuoco e fiamme per anni, poi la decadenza, dai tratti comuni un po’ per tutti, d’altro canto il conto, quando si esagera nella vita a un certo momento arriva ed è sempre molto salato, sia esso la risultante di droghe, AIDS, alcool, sesso promiscuo e dissolutezze assortite. L’hard rock americano paga inevitabilmente dazio in termini di decessi, mancanza di ispirazione, proliferazioni di cloni, scazzi per donne, ego da sostanze (Bret Michaels, Poison, cit. pag. 528) e chi più ne ha più ne metta, con l’ingombrante ombra creata dal Grunge che si sta delineando all’orizzonte.

Da un lato preghi per avere successo. Dall’altro già pensi: com’è che andrà a puttane?

Jay Jay French, Twisted Sister, pag. 530

 

Nothin’ but a Good Time, contrariamente a quanto si possa immaginare, non si chiude però malinconicamente sulle macerie dell’hard rock di quel periodo, ma va a solleticare i vari protagonisti tornati in auge in questi ultimi anni, fornendo un interessante spaccato di band ancora attive e in grado di mietere successo, a testimoniare tangibilmente che certune sonorità, tanto criticate da più parti, sono divenute ormai classiche e, in certi casi, addirittura immortali. Conta poco se ormai dei componenti storici ve ne siano magari solamente un paio, in formazione, spesso ne basta uno, quello che conta è portare il giro il moniker e attorniarsi di musicisti sufficientemente credibili, soprattutto a livello di physique du rôle, atteggiamento e look.

Traduzione del tomo originale USA a cura di Barbara Caserta, che brillantemente e simpaticamente ha optato in più occasioni per l’utilizzo del sostantivo “Cristone”, direttamente dallo slang italico, per definire quello che probabilmente veniva identificato come “Bad Ass”, o più prosaicamente, “Smart Ass”. Il tipico “sacramentùn” della situazione, per intenderci, in dialetto lombardo. Refusi presenti ma al minimo sindacale, considerando l’elevato numero di pagine.

Il libro è stato elegantemente dedicato da parte del gruppo editoriale Il Castello e dal marchio Chinaski Edizioni a Giorgio “Joe Sixx” Buttinoni, loro collaboratore oltre che musicista, uno che s’è sempre sbattuto per l’hard rock e che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, nel novembre dello scorso anno.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti