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Recensione libro: Un disco tira l’altro, breve storia delle case discografiche italiane e straniere

Di Stefano Ricetti - 19 Agosto 2025 - 9:08
Recensione libro: Un disco tira l’altro, breve storia delle case discografiche italiane e straniere

Un disco tira l’altro.

Breve storia delle case discografiche italiane e straniere

di Roberto Paravagna

192 pagine     

16,50 Euro

Arcana Edizioni

 

 

Sgombriamo subito il campo delle ipotesi: Un disco tira l’altro, Breve storia delle case discografiche italiane e straniere, il libro oggetto della recensione, non è assolutamente stato concepito né pensato con un taglio hard rock/heavy metal. Va piuttosto inteso come un’opera generalista che abbraccia la musica a 360°. Ciò non toglie che vi siano alcuni riferimenti anche all’ala più dura, ma si tratta fondamentalmente di informazioni strutturali al narrato, non di certo riportate con velleità da protagoniste.

Con il giusto spirito, quindi, va affrontato quest’ultimo parto letterario di Arcana Edizioni, un tomo che ripone nella sua disamina delle case discografiche italiane il proprio asso nella manica. Si può essere metallari tutti d’un pezzo finché si vuole ma fondamentalmente si è amanti della musica e chiunque, anche il più intransigente, molto probabilmente, si è concesso qualche scappatella, più che giustificata, sia ben chiaro, in altri generi.

Quindi passare in rassegna le quasi settanta pagine dedicate alla scena tricolore non può che rappresentare una passeggiata di salute, risvegliando antichi ricordi e ritrovando artisti dei quali si era persa memoria. Al di là dei Vanadium, accasatisi illo tempore alla Durium e citati all’interno del libro, ci può assolutamente stare che non siano riportati gli Skanners nel loro momento d’oro con la CGD così come Kim & The Cadillacs con la Ariston. Va però dato atto a Roberto Paravagna di aver sciorinato gli Area con la mitica Cramps di Gianni Sassi, la PFM con la Numero Uno e Il Balletto di Bronzo con la Polydor Italia, solo per enumerarne tre.

Precedentemente, però, l’autore inquadra al meglio il contesto generale e l’argomento del trattato declinando attraverso capitoli dai titoli eloquenti quali L’invenzione del fonografo, Major e Indie: due facce della stessa medaglia, Lo sviluppo di una major, Lo sviluppo di una Indie, Quando nasce un’industria discografica italiana? I cambiamenti del settore: analisi della situazione, lo scenario che poi diverrà l’attore principale dell’opera.

Si chiude con una panoramica sulle case discografiche straniere e dei contributi a livello di intervista di alcuni addetti ai lavori.

Tornando al panorama nazionale, scorrendo le varie pagine del libro di Paravagna è pressoché impossibile non provare dei moti di vera nostalgia nel momento in cui ci si imbatte, nella stragrande maggioranza dei casi esaminati, in delle fini ingloriose di quelle che per decenni divennero autentiche fucine di talenti, case discografiche che spesso per motivi legati al mancato aggiornamento ai termini di mercato richiesti hanno dovuto chiudere i battenti per sempre, vendute o ancora peggio svendute allo squalo di turno, quando non miseramente fallite anche per inconsistenza manifesta nel passaggio di testimone. Ci si rende conto ancora una volta di più dell’immenso patrimonio del quale disponevamo nel Nostro Paese anni addietro che se ne è andato per sempre in fumo. Un esempio virtuoso su tutti: la Vedette, un’etichetta se si vuole oscura, rispetto ad altre, che però fu la prima a pubblicare i dischi dei Doors in Italia. Triste, poi, osservare che oggi tutto quanto davvero conta a livello economico gira intorno a pochissime lobby discografiche, una sorta di cartello, come peraltro ampiamente evidenziato dall’autore del libro.

Un disco tira l’altro regala però anche autentici momenti di goliardia e sana polemica, come è sacrosanto che sia. Come si fa per capire se una canzone avrà successo? Semplice: basta farla sentire in anteprima ai due addetti del bar della RCA Italiana, a Roma, tali Gino e Mario! Doverosa, poi, la frecciatina ai conduttori televisivi moderni, forzatamente simpatici, al contrario di Carlo Massarini, ad esempio, capace di essere tanto serio quanto ironico, ma soprattutto semplicemente sé stesso. Mister Fantasy docet.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti