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Speciale Death SS – Children Of The Revolution: Do What Thou Wilt, Panic, Humanomalies

Di Stefano Ricetti - 28 Gennaio 2021 - 13:58
Speciale Death SS – Children Of The Revolution: Do What Thou Wilt, Panic, Humanomalies

Speciale Death SS – Children Of The Revolution: Do What Thou Wilt, Panic, Humanomalies

Perché citare il titolo di un celeberrimo brano dei T.Rex di Marc Bolan del 1972?

Per un motivo fondamentale. Anzi due. Perché “Children Of The Revolution” è il titolo più appropriato che si possa assegnare al trittico Do What Thou Wilt, Panic, Humanomalies, ossia i dischi dei Death SS usciti rispettivamente nel 1997, 2000 e 2002 ma soprattutto in quanto richiama fortissimamente le maggiori influenze musicali del giovane Steve Sylvester, che nei primissimi anni Settanta rimase folgorato su quella  via per la Gran Bretagna lastricata di Sweet (Brian Connolly permane ancora oggi il suo idolo incontrastato), Slade, Gary Glitter e, per l’appunto, i T.Rex.

Inanellare, d’un fiato, i tre dischi summenzionati equivale ad effettuare un “cambio” di band. Mi spiego meglio: così come fatto per la Trinity Of Steele qui recensita in data 3 novembre 2020, la Self ha pubblicato per la prima volta i 33 giri in picture disc opportunamente rimasterizzati per il formato vinile di Do What Thou Wilt, Panic, Humanomalies mantenendo gli usuali standard di elevata qualità realizzativa, grafica e cromatica. Come per i precedenti, anche questi si accompagnano ai manifesti di un metro per settanta centimetri dei tour che sono seguiti all’uscita dei vari lavori. Le ristampe sono limitate a 300 copie e all’interno di ogni prodotto è presente un talloncino speciale. Raccogliendo tutti e dieci i talloncini e spedendoli all’indirizzo di SELF entro il 30 settembre 2021 sarà disponibile richiedere gratuitamente un cofanetto raccoglitore dell’intera collezione oltre alla possibilità di prenotare l’undicesimo ed ultimo super limited picture-disc, un disco extra disponibile esclusivamente tramite Self Distribuzione.

La prima infornata, costituita da …In Death Of Steve Sylvester, Black Mass e Heavy Demons, come già ampiamente scritto, incarnava lo zenit dell’attitudine defender dei Death SS. Dei passaggi epocali e irripetibili totalmente devoti al Sacro Verbo dell’Acciaio: heavy fucking metal sparato alle casse senza redenzione né pietà, vomitato da delle line-up con schierate due chitarre fumiganti in prima linea e degli interpreti totalmente votati alla causa.

Ma, si sa, l’inquietudine artistica del Líder Máximo dei Death SS, Steve Sylvester, non conosce né patria né confini e con Do What Thou Wilt (nomen omen), insieme con i suoi accoliti volò nello Yorkshire e se ne tornò con due manciate di brani che segneranno, ognuno nella propria misura, il passaggio dalle sonorità tradizionaliste espresse su Heavy Demons verso qualcosa di diverso. In questi termini, ma soprattutto addentrandosi nei successivi Panic e ancor di più in Humanomalies, è lecito classificare il trio come rivoluzionario, nei confronti di quanto realizzato prima. Children Of The Revolution non a caso, quindi, ma in virtù di un suono nuovo, accompagnato da un atteggiamento diverso, un logo inedito, l’inserimento in pianta stabile di un tastierista di ruolo e un look in linea con il messaggio sprigionato dai vari album. Il 2001 fu segnato inoltre dall’ingresso, a tutti gli effetti come membro aggiuntivo del gruppo, della performer Dhalila, “The Queen Of Death SS“, che sostituì nel cuore di tutti i fan l’amatissima Alessandra “Lilith” Simeone (Qui sua intervista del 2014), che decise di cambiare vita. Ma attenzione: la “magia” dei Death SS risiede nel fatto di mutare, anche tantissimo, ma saper sempre mantenere quel sottile fil rouge con le radici più tipicamente e tradizionalmente heavy metal del progetto. “Guardian Angel”, “Let The Sabbath Begin” e “Sinful Dove” sono l’esemplificazione in musica del concetto espresso sopra, brani tratti dal trittico oggetto della recensione.

Al fine di fotografare al meglio il clima metallico che si respirava nel ’97, nel 2000 e nel 2002, anni segnati da profondi cambiamenti, qui di seguito vengono riportate le recensioni di Do What Thou Wilt, Panic e Humanomalies così come apparse all’interno della rivista Metal Hammer numero 10/1997, 02/2000, 08/2002. Particolare significativo: nel 2001 venne fondato Truemetal.it e più in generale a partire dal 2000 circa in Italia iniziarono ad affacciarsi altri interlocutori, per coloro i quali erano assetati di Metallo: le webzine e i portali heavy metal. In quel periodo, inevitabilmente, le riviste persero la posizione di uniche tenutarie del “verbo”, sebbene mantennero l’autorevolezza e la credibilità che viceversa sul web venne spesso incrinata da un manipolo di furbacchioni, fondatori di siti per mero tornaconto personale. Poi, come sempre accade, il tempo fu galantuomo e solo le testate web più serie e attendibili rimasero sulla piazza.

Buona lettura

Steven Rich

 

 

DO WHAT THOU WILT

(Lucifer Rising/Self)

1997

Dopo anni di silenzio ecco ritornare sulla scena i Death SS, carichi come sempre di tutto il loro bagaglio orrorifico. Dieci anni fa erano una leggenda basata più sulle parole che sui fatti, ma da ‘In Death Of Steve Sylvester’ hanno cominciato anche loro a fare sul serio e i frutti sono oggi sotto gli occhi di tutti. Dopo il fortunato ‘Heavy Demons’ del 1991 e il seguente live ‘The Cursed Concert’ erano però spariti. L’uscita del progetto solista di Sylvester aveva fatto pensare addirittura allo scioglimento, ma questo ‘Do What Thou Wilt` è proprio qui a ribadire ancora una volta che se in Italia c’è una scena metal loro ne sono la vetta, l’esempio da seguire, i numeri uno incontrastati. Il nuovo album consta, come la band stessa li definisce, di ben dieci capitoli. L’approccio musicale è nettamente diverso da quello del precedente ‘Heavy Demons’, mentre là il metal era ancora puro ed incontaminato, oggi la proposta del gruppo s’è fatta più varia e oggi più che mai incarna quell’ideale di horror metal tanto caro al leader Steve Sylvester. La presenza massiccia delle tastiere e dei campionatori è innegabile, anzi oggi più che mai i Death SS sono una band che ha bisogno della presenza fissa di un tastierista.

 

L’immagine del poster 1 metro x 70 cm contenuto dentro la confezione del picture di Do What Thou Wilt 

 

Il ruolo è ufficialmente vacante (anzi inesistente, visto la convinta insistenza con cui Sylvester continua a ritenere la band perfetta come five piece band), sul disco suona Oleg Smirnoff, sotto la cui maschera si cela il keyboard player dei toscani Eldritch, dal vivo si vedrà, certo è che qualcuno dopo questo album ci dovrà essere per forza. ‘Do What Thou Wilt` è definibile con una sola parola: intenso. Anche se la vena metal del gruppo non s’è ancora esaurita è chiaro un avvicinamento a certe sonorità gothic/dark inglesi che la registrazione agli Academy Studios non fa che aumentare. Cioè che marchia a fuoco l’album come un lavoro dei Death SS è l’ugola al dilaniante di Steve Sylvester, sicuramente al top della forma. Steve non è mai stato un virtuoso delle corde vocali ma ha sempre fatto della personalità la sua arma migliore e oggi più che mai sono i fatti a dargli ragione. Il disco, forse il più violento mai scritto dalla band, contiene al suo interno passaggi anche molto diversi. Si va dall’assalto frontale di pezzi come l’opener ‘The Phoenix Mass’ e della stupenda “The Way Of The Left Hand” alla tribale melodia metallica di “Baron Samedi” sino alla gotica ‘The Serpent Rainbow’. In ‘Do What Thou Wilt’ troverete pane per i vostri denti qualunque siano i vostri gusti. Sprazzi di campionatori industriali che si incrociano con chitarre epiche e speed, ritmi serrati, cori gotici, passaggi in sospensione decisamente prog… molti li hanno sempre accusati di essere più fumo che arrosto… balle, anche senza le maschere, la leggenda e i live show, questo è un album di valore.

Stefano Pera

 

 

PANIC

(Lucifer Rising/Self)

2000

Perfetto. Che parolona! Difficilmente può essere usato un termine simile per descrivere un album, solitamente saltano fuori smagliature che, anche se sottili, contribuiscono a deturpare la linearità dell’intero lavoro. In questo caso, però se ci è concesso, vorremmo utilizzarla per far da base ad un album splendido di una band che, dopo venti anni, si trova ancora racchiusa in quella reggia dorata che spetta alle cult band, a quei gruppi nei confronti dei quali la stima della gente non va mai considerata in proporzione al successo. ‘Panic’ è semplicemente un album perfetto e i Death SS, ancora una volta, sono stati in grado di stupire. A chi continua a sostenere che è impossibile evolversi, modernizzarsi senza snaturare lo spirito di fondo, consigliamo caldamente di andarsi ad ascoltare questo album, di assaporare ogni sua traccia sino a farlo proprio. Come era già successo in occasione di “Do What Thou Wilt”, il malefico Steve e riuscito a coniugare l’aspetto più orrorifico ed inquietante che da sempre è marchio di fabbrica della sua band con soluzioni sonore d’avanguardia. E’ così che la graffiante voce del “vampiro” si troverà più volte a duettare con campionatori e samplers, sempre sapientemente utilizzati ma mai abusati da quel mostro sacro della produzione che risponde al nome di Neil Kernon, dando vita a spunti di rara bellezza e fascino. Ci viene, in questo caso, da pensare all’ammaliante ‘Hermaphrodite’, amata in quel di Mantova in pre ascolto, fatta nostra una volta avuta su disco.

 

L’immagine del poster 1 metro x 70 cm contenuto dentro la confezione del picture di Panic

 

La song è quanto di più strano Steve potesse concepire, una ballata tecnologica dal retrogusto orientale che, nel suo ipnotico incalzare, offre un interessante spunto nel duetto tra l’irriconoscibile cantato dei singer italiano e una dotatissima vocalist. Quanto di più malvagio e innovativo la band potesse proporre, era comunque stato ampiamente sviscerato in precedenza, partendo dalla intro ‘Paraphernalia’ nella quale un recitato di Alejandro Jodorowsky emerge nel mezzo di un collage di citazioni tratte da La Vey e Crowley, sino ad arrivare alla grandiosa ‘Let The Sabbath Begin’, irresistibile anthem giocato su un potentissimo riff e su un coro studiato appositamente per le esibizioni live. I nuovi  Death SS sono però anche quelli della cyber song ‘Hi Tech Jesus’, spirito glam in un vestito computerizzato, di ‘Lady Of Babylon’, una ‘Scarlet Woman’ evoluta all’ennesima potenza e dell’orrorifica ‘Tallow Doll’ fulgido esempio di come si possa mantenere inalterata la carica maligna che ha contraddistinto in tutti questi anni la musica dei Death SS riproponendola però in una veste futuristica. E che dire della fucilata ‘Rabies Is A Killer’, cover degli Agony Bag semplicemente devastante dopo essere passata tra le mani del vampiresco  singer? Sono stati scomodati i vari Marilyn Manson, Nine Inch Nails e Rob Zombie per trovare termini di paragone con i nuovi Death SS, lasciamo invece da parte questi nomi e, sull’onda del suggestivo techno-tribe di ‘Ishtar’, accontentiamoci di sapere che un gruppo tutto nostro è riuscito a realizzare re un album che, senza scandali gratuiti, può fregiarsi del titolo di ‘perfetto’.

Fabio Magliano

 

 

 

HUMANOMALIES

(Noize Factor/ Self)

2002

Venghino signori venghino, nel circo dell’assurdo e del l’orrore. Venghino signori venghino nell’unico posto dove ciò che sembra, non è, dove anche la più splendida delle creature nasconde un’anima dannata ed il più bello dei sogni maschera il più orribile degli incubi. Venghino signori venghino nel circo di Steve Sylvester, arrivato questa sera in città per voi e pronto o turbarvi con i suoi freaks raccolti nei meandri più oscuri dell’animo umano e gettati sulla pista a danzare al suono di quella nenia già colonna sonora dei nostri incubi da bambini. Se l’obiettivo del vampiresco cantante ero quello di portare in scena quel circo del cattivo gusto solamente abbozzato in passato da altri nomi illustri dello shock rock come Alice Cooper, prima (c’è molto dello zio Alice, non solo nell’artwork, in questo Humanomalies), Kiss e Marilyn Manson, poi, beh, sia dannato se non ci è riuscito in pieno! Tutto ciò che di più deforme e contorto è oggi raffigurabile prende forma nelle quattordici tracce che compongono l’attesissimo ‘Humanomalies’ che partendo da sonorità schizzate e lancinanti, deviate e contorte si materializza in testi morbosamente malati. Il sound, si era detto; coerentemente con quanto già mostrato in ‘Do What Thou Wilt’ prima e nel grande ‘Panic’ poi, ripercorre la strada dei modernismo e della sperimentazione, raggiungendo livelli estremi difficilmente ipotizzabili prima d’ora per la band fiorentina. Ecco quindi che al new gothic che aveva caratterizzato gli ultimi lavori di Sylvester e soci vanno ad aggiungersi infiltrazioni industrial, pulsazioni techno, scariche elettroniche, che sfigurano il sound dei Death SS pur mantenendone intatta l’identità musicale. Un mix sonoro forse difficilmente accettabile da chi ha ancora nelle orecchie gli echi di ‘Black Mass’ o l’irruenza di ‘Heavy Demons’, sicuramente in grado di aprire alla band porte sino ad oggi impensabili.

 

L’immagine del poster 1 metro x 70 cm contenuto dentro la confezione del picture di Humanomalies

 

Ogni brano è infatti dotato di una melodia unica ed irresistibile, destinata puntualmente ad aprirsi in anthemici cori prima di sprofondare nuovamente in un oscuro intreccio di suoni, loop e campionature come testimonia la strepitosa ‘Sinful Dove’, senza dubbio uno degli apici compositivi di ‘Humanomalies’ assieme alla malata ‘Feast Of Fools’, un rock’n’roll dell’anno 2050 che proietta la band in una dimensione parallela dove regna la paura e la perversione, alla schizofrenica ‘Weird World’ e all’inquietante ‘The Sleep Of Reason’, una suadente ballata che ascolto dopo ascolto va ad assumere sempre più i connotati di una oscura litania sciorinata da un folle rannicchiato nell’angolo dello sua cella imbottita. Discorso a parte va fatto per il primo singolo, ‘Pain’, senza dubbio lo traccia più strana contenuta nel disco con il suo martellante incedere, quasi a voler fare da colonna sonora al più grande sabba del nuovo Millennio. Chi avrà il coraggio di avvicinarsi o questo lavoro senza paraocchi né pregiudizi si troverà di fronte un disco immenso, in grado di competere senza remore con le più blasonate produzioni statunitensi. Chi invece avrà paura di osare, potrà starsene comodamente a crogiolarsi nella convinzione che il vero orrore sia un po’ di sangue al gusto di fragola ed un paio di canini appuntiti. Venghino signori venghino, i posti in prima fila sono liberi, ancora pochi minuti e il vostro incubo andrà in scena unicamente per voi!

Fabio Magliano

 

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti