Live Report: Le Radici del Rock

Di Damiano Fiamin - 28 Luglio 2012 - 0:10
Live Report: Le Radici del Rock

Le Radici del Rock – Viterbo 21/07/2012


Report e foto a cura di Damiano Fiamin e Francesco Sorricaro

 

Estate, tempo di festival. Tutti gli appassionati riescono a trovare una rassegna in cui ascoltare il proprio genere preferito. Tutti? Beh, se siete amanti del progressive potreste, in effetti, trovare qualche difficoltà addizionale. Di solito, gli organizzatori preferiscono pianificare singoli concerti, magari inseriti nella cornice di qualche manifestazione più importante. È quindi con grande interesse che abbiamo accolto la notizia della nascita de Le Radici del Rock. La rassegna ha visto la partecipazione di gruppi storici come Banco del Mutuo Soccorso, The Trip e Osanna, cui si sono affiancati UT, Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno e i tedeschi Analogy; gruppi con una discografia meno ricca dei precedenti, ma con una storia che non ha certo nulla da invidiare ai nomi più blasonati in cartellone. La cornice scelta è quella del Golf Club di Viterbo, uno scenario verde e rilassante, proprio alle spalle delle sorgenti termali che rendono celebre la zona. Per chi, come noi, veniva da Roma, la temperatura più mite e il fresco venticello che soffiava nell’area concerto, sono stati una vera e propria benedizione. Sebbene la musica fosse l’attrattiva principale, all’interno del festival era presente anche una mostra di Paul Whitehead, famoso illustratore inglese noto ai più per aver realizzato alcune storiche copertine dei Genesis e dei Van Der Graaf Generator. Una chicca, non indispensabile, certo, ma indubbiamente interessante.

Analogy

L’ingrato compito di aprire la serata è affidato agli Analogy: collettivo multiculturale nato in italia nel 1970 con all’attivo un solo album nell’epoca d’oro del prog, e vari altri progetti e pubblicazioni negli anni a seguire.
L’immagine sfoggiata da Jutta Taylor-Nienhaus e compagni, su un palco illuminato dai primi lenti accenni del tramonto, è di quanto più “fricchettone” e settantiano vi possiate immaginare. La bionda front girl danza tutto il tempo nel suo abito dai colori sgargianti, trascinata dalle note vaporosamente folk e lievemente barocche della sua band e dimostra in prima persona quanto sia esaltante essere di nuovo on stage per un gruppo che non si incontrava ormai da diversi anni.
La forma di Martin Thurn-Mithoff, “Hunka Munka” e tutti gli altri è ancora discreta e lo show và avanti per una buona mezz’ora, tra una citazione colta e l’altra, toccando buoni picchi d’esecuzione (Intermission su tutte) e riuscendo in qualche modo a coinvolgere un pubblico ancora sparuto e pigramente ingessato sulle sedie delle prime file. Fatalità vuole però che si sia sforato con i tempi, e che sul più bello salga Maurizio Galia, uno degli organizzatori ed autore di Prog 40, a tirarli giù letteralmente dal palco, mandando in bestia la nostra Jutta e cambiandole drasticamente, nonché palesemente, l’umore!

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Nuova Raccomandata Ricevuta di Ritorno.

Tra gli improperi ed i diversi tentativi di calmare la cantante degli Analogy, si preparava il palco per la Nuova Raccomandata Ricevuta di Ritorno. La storica band romana si presenta sul palco con un Luciano Regoli in grande spolvero, con un abito a la Freddie Mercury che definire sgargiante è un eufemismo, e con in formazione lo storico compagno di viaggio Nanni Civitenga, e tanti giovani tra cui spiccano la bella voce di Cristina Cioni e ad un Bruno Previtali, “versione Fantasma dell’Opera”, “rubato” ai New Goblin di Claudio Simonetti.
Il tiro della band è ottimo. La voce di Regoli è potente ed evocativa e, sebbene le vibrazioni dalla platea non siano proprio coinvolgenti, il frontman della Raccomandata si muove abbastanza (rischiando anche di inciampare su un cavo, ndr), facendosi trascinare da un Previtali, vera linfa rockettara del gruppo, che lo cerca spesso per duetti e pose varie, a beneficio dei numerosi fotografi presenti al Golf Club. La qualità dei brani certo non manca ad una band che ha saputo, a distanza di ben 38 anni l’uno dall’altro, tirar fuori dal cilindro due album di grandissimo valore come Per… un mondo di cristallo e Il pittore volante. Sulle note di Il fuoco, Sogni di cristallo ed una trascinante Raoul, cantata a gran voce dal pubblico in aumento, la NRRR dà dimostrazione di grande classe e compattezza per tutta la durata (anche per loro breve, purtroppo, ndr) dello show. Peccato solo per i volumi non proprio ottimali che penalizza la performance di Cristina Cioni, ma la prestazione generale è di certo sopra la media.

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UT – L’anima prog dei New Trolls

Chi sono gli UT? Anche senza leggere il sottotitolo, sicuramente agli appassionati saranno venuti in mente i New Trolls. Ebbene, ci siamo quasi: stiamo parlando, infatti, del nuovo progetto progressive di Gianni Belleno e Maurizio Salvi. Avevamo già avuto modo di vederli durante l’ultima edizione Prog Exhibition di Roma. Allora, era stata una breve comparsata, ma stavolta gli UT sono rodati e in grado di reggere un’intera esibizione. Formazione singolare, che prevede la presenza in contemporanea di due tastiere e nessun cantante, o meglio, di nessun cantante in particolare. Una delle peculiarità della band, infatti, è quella di non limitarsi a un’unica presenza dietro il microfono, ma di consentire a tutti i musicisti di alternarsi in base alla tonalità ritenuta più coerente con il pezzo in esecuzione. Il concerto è davvero di buon livello, complice una prima fila davvero scatenata e partecipativa che incita chi suona sul palco, in uno scambio energetico favorito da una scaletta sicuramente galvanizzante.
Per essere un gruppo progressive, gli UT hanno delle sonorità che virano decisamente verso l’hard rock sconfinando, nel caso della chitarra, nel campo metal. La qualità del suono è in crescendo e, dopo un inizio che vede una certa distorsione nelle tonalità più alte, raggiunge un livello notevolmente migliore sul finale. Il gruppo ha un buon carisma, ma pecca notevolmente per quanto riguarda la presenza scenica; sarà per l’affollamento, sarà perché la suggestione hard rock è solo, appunto, illusoria, ma la motilità dei musicisti è fin troppo ridotta. Come tutti coloro che li hanno preceduti, inoltre, la band preme sull’acceleratore ed evita di perdersi in chiacchiere, preferendo dare più risalto alla musica. A conti fatti, uno spettacolo davvero niente male, generoso nella proposta musicale e sincero nel modo di realizzarla. Una bella iniezione di adrenalina in attesa di arrivare ai nomi più “pesanti” del cartellone.

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Osanna

Gli Osanna di Lino Vairetti sono, per me, sempre una garanzia. Chi va a vedere uno dei loro show non rimane mai deluso per energia, spettacolo, ottima musica ed intensità dei contenuti. Il concerto di Viterbo è perfettamente conforme a questi canoni.
Sul palco col consueto face painting (sono degli antesignani in questo campo) gli Osanna 2012 sono una band rodatissima che conta sette elementi (di cui fa parte anche il figlio d’arte Irvin Vairetti) e che si presenta come un collettivo di cui Vairetti non si erge quasi mai palesemente a leader, preferendo dare spazio all’estro dei suoi giovani musicisti all’interno di un amalgama corale e vitale.
Giunto sul palco viterbese con borchie, mantello nero e volto completamente dipinto di bianco (blackster…vi ricorda qualcosa?), il buon Lino è il solito concentrato di esuberanza ed arguzia partenopea. Si muove incessantemente da una parte all’altra del palcoscenico, si divide tra chitarre ed armonica a bocca, scatta addirittura foto ai suoi compagni durante la loro esibizione, si cambia d’abito e sfoggia le sue innate doti di performer quando incarna un polemico Pulcinella con tanto di maschere tricolori. Ma è quando interpreta le splendide note di brani immortali come L’uomo o Oro caldo, contornate da immagini e riprese d’epoca sui ledwall, che dimostra tutta l’estrema attualità e bellezza di quei pezzi scritti più di 40 anni fa: messaggi potenti e di speranza che hanno molto più valore delle parole strappa applausi e un po’ troppo qualunquiste, nonostante le buone intenzioni, che Vairetti spende a favore di una maggiore valorizzazione della cultura nel nostro paese alla fine di un ottimo show. Anche il fatto che, in realtà, diciamo, più attente a certi aspetti come il Giappone, gli abbiano addirittura richiesto recentemente di eseguire Milano Calibro 9 con un’intera orchestra, parla da solo! A proposito, Rosso Rock, il disco che immortala la registrazione di quell’occasione unica, è stato presentato in anteprima proprio a Viterbo.
Un capitolo a parte lo riserviamo allo special guest degli Osanna. Orfani dell’ormai abituale David Jackson, questa sera c’è l’amico di vecchia data Gianni Leone. Il leader del Balletto di Bronzo è, per chi lo conosce, un personaggio effervescente al limite dell’eccesso più sfrenato, e va bene… Ma questa sera, onestamente, nonostante tutta la sincera stima che gli riconosciamo, non si è capito il senso della sua partecipazione. La sua esibizione di Viterbo si sbilancia un po’ troppo sui suoi soliti siparietti e molto meno sul suo indiscutibile talento musicale, riservato ad un solo d’apertura all’Hammond, che incorpora una frettolosa interpretazione della splendida Nevermore dei Queen, ed a pochi trascurabili intermezzi diluiti in una peraltro breve porzione del concerto degli Osanna. Preferiamo attendere il prossimo concerto del Balletto.

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The Trip

I The Trip salgono sul palco quasi in sordina, mentre il presentatore del festival ricorda la recente scomparsa di Jon Lord. Come mai? Che c’entra Jon Lord? Se vi state ponendo queste domande, è evidente che ignorate che uno dei membri fondatori di questa band fu proprio Ritchie Blackmore. Un piccolo salto mentale, pertanto, permette di rendere omaggio al grande tastierista dei Deep Purple. Peccato che, nella foga, non venga ricordata un’assenza ben più rilevante per il gruppo: pochi mesi fa, infatti, è morto il bassista e cantante della band, Arvid Wegg Andersen. A rappresentare la formazione storica, dunque, troviamo il tastierista Joe Vescovi e Furio Chirico dietro le pelli. Fa il suo ritorno sul palco Fabrizio Chiarelli, il bassista degli UT, che, per questa volta, si destreggia con due corde in più e si posiziona anche dietro il microfono. Ovviamente, i The Trip riservano un commiato molto composto e personale all’amico scomparso, un saluto necessario prima di lanciarsi in una scaletta che attinge a piene mani soprattutto dai primi lavori della band, Caronte e Atlantide.
Il cantato di Wegg è sicuramente insostituibile e, sebbene i Trip non siano famosi per aver mai realizzato dei pezzi densi di testo, la voce di Chiarelli non mi è sembrata particolarmente adatta: un piglio eccessivamente graffiante che non si concilia del tutto con la musica della band. Nonostante una ricerca attiva della partecipazione degli astanti, con chitarrista e bassista che si muovono molto sul palco, il pubblico non sembra entusiasta come nella precedente esibizione degli Osanna; certo, c’è partecipazione, ma non si raggiunge il livello di esaltazione visto con il gruppo precedente che, bisogna dire, aveva davvero messo a ferro e fuoco il palcoscenico. La ieratica compostezza di Vescovi funge da contraltare alla performance di Chirico che, lontano dalla prima linea, pesta con una potenza inaudita che può stupire solo coloro che non conoscono la bravura e l’abilità del batterista. La qualità del sonoro è ottima, la migliore fino a questo momento.
Anche in questo caso, però, il finale è un po’ tirato nel tentativo di recuperare il tempo perduto.

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Banco del Muto Soccorso

E infine giunse il Banco. Non giriamoci intorno, quasi tutti non vedevano l’ora che questo Juggernaut del prog salisse sul palco e spazzasse via tutto con una di quelle esibizioni che l’hanno reso famoso in tutto il mondo. L’occasione, inoltre, è particolarmente ghiotta perché il gruppo festeggia proprio in questo periodo il quarantennale del loro album di debutto, il mitico salvadanaio che l’ha posto con prepotenza all’attenzione degli addetti ai lavori e del pubblico nell’ormai lontano 1972. Quattro decenni non passano certo senza lasciare il segno, ma il Banco è un gruppo che riesce a compensare eventuali acciacchi con una presenza scenica notevole, frutto di esperienza consumata e capacità di capire il pubblico. La scaletta non riserva grandi sorprese: come nella quasi totalità dei loro concerti, i brani vengono selezionati principalmente attingendo ai primi tre album della discografia del gruppo romano; una formula collaudata che vede affiancare classici come Cento mani e cento occhi, R.I.P. e Non mi rompete ad altri altrettanto famosi, sebbene di impatto meno rilevante nella storia del progressive come Il Ragno e Nudo.
Il concerto si snoda senza intoppi e, nonostante la temperatura sia scesa notevolmente, il pubblico rimane ben caldo, anche grazie all’abilità dei membri della band. Nota di merito particolare per Alessandro Papotto, veramente in stato di grazia, in grado di rubare la scena a Di Giacomo e Nocenzi senza imbarazzo, prodigandosi in solo davvero convincenti e condendo i fraseggi musicali degli altri strumentisti con un tocco di classe in più. Com’era lecito aspettarsi, ci sono alcuni momenti pubblicitari in cui viene presentato il cofanetto celebrativo dell’album di debutto e viene rivelata la volontà di creare un’opera rock ispirata a Darwin! Ballerini, cantanti, musicisti, tutti sono invitati a partecipare alle selezioni di quello che si potrebbe rivelare uno spettacolo davvero interessante. Il concerto prosegue liscio come l’olio e fa la sua comparsa sul palco Rodolfo Maltese. Nonostante lo stato di salute precario, il chitarrista ci tiene sempre ad accompagnare i suoi amici che, dal canto loro, lo accolgono con il calore di sempre.
La band realizza una performance di alto livello, riuscendo a mostrare i pezzi che abbiamo già ascoltato mille volte sotto una luce nuova, con arrangiamenti particolari e improvvisazioni che mostrano come questi cavalli di razza, nonostante gli anni, sono ancora in grado di stupire. La pausa forzata per dei problemi tecnici alla tastiera di Nocenzi sostituisce il classico momento di stop che precede l’arrivo del bis. Qualche chiacchiera con il presentatore dell’evento e poi ci si avvia verso la conclusione con l’immancabile accoppiata Non mi rompete e Traccia. Il concerto è finito, andate tutti in pace, contenti e appagati di quanto avete sentito fino a questo momento.

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Certamente, questa prima edizione de Le radici del Rock ha avuto qualche problema, primo tra tutti il ritardo iniziale che ha costretto tutti i partecipanti a correre per suonare più pezzi possibile. Il livello complessivo dell’esibizione, a ogni buon conto, è stato davvero elevato. Tutti i gruppi hanno dato del loro meglio e la qualità delle performance, sia a livello tecnico che sonoro, è stata notevole per tutta la durata del concerto. Se ci sarà un seguito, dipenderà molto dalle scelte degli organizzatori e i loro scopi; manifestazioni come queste possono avere, infatti, due obiettivi: radunare vecchi nostalgici e fargli godere una serata all’insegna dei vecchi tempi o fungere da evento catalizzatore e divulgativo, coinvolgendo anche le nuove generazioni. Una scelta strategica, che vede implicati aspetti come il costo del biglietto e la location; quest’anno, era evidentemente stato privilegiato il primo obiettivo. Per il futuro, ci auguriamo si assista a un investimento sulle nuove leve che, entro breve, saranno in grado di sostenere una scena musicale che sarebbe un peccato perdere.