Blind Guardian: pre-listening italiana del nuovo disco
Giovedì 25 maggio 2006. Con un notevole ritardo sulla tabella di marcia, causa un problema con i bagagli all’aeroporto, Hansi Kürsch e Andrè Olbrich arrivano al Jungle Sound Studio di Milano per lasciarci assaporare il nuovo lavoro di casa Blind Guardian.
Diciamocelo, non si può ascoltare una sola volta un disco dei Blind Guardian e pretendere di capirlo. No, proprio non si può. Eppure qualcosa da questo ascolto riservato alla stampa del settore è uscito, e sono tutte buone notizie.
A Twist in the Myth è un disco eclettico, nato sotto il segno della diversità eppure tendente all’unità, in una linearità qualitativa come al solito sorprendente. Buone nuove anche per chi non aveva gradito la pomposità onnipotente di A Night at the Opera: le chitarre ritmiche sono in primo piano e godono di una produzione aggressiva, molti ritornelli sono incentrati sulla passione che la band nutre per l’epica e la teatralità , le linee ritmiche del nuovo compagno di viaggio Frederik Ehmke sono ferratissime ma davvero sublimi. Sul sopraffino gusto per la melodia di Andrè e Hansi non penso ci sia nulla da dire che già non sia di dominio pubblico.
Andiamo dunque a esplorare il disco brano per brano, senza dimenticare che tutto ciò che troverete scritto è frutto di veri e propri appunti presi durante un singolo ascolto.
01. This Will Never End (5:07)
L’apertura di A Twist in the Myth è decisamente tendente al classico: riff speed-thrash in apertura, con chitarre ritmiche in grande evidenza quasi in stile Tales from the Twilight World, diverse parti in palm-muting nel verso, coro pomposo a cavallo tra A Night at the Opera e Somewhere Far Beyond, stacco post-ritornello abbastanza canonico e assolo altrettanto lineare. Un pezzo veloce e comunque tra i più lunghi di tutto il disco, lungo ma abbastanza sviluppato da non stancare nemmeno per pochi istanti.
02. Otherland (5:14)
Più lenta di This Will Never End, Otherland mette invece in mostra i Blind Guardian del nuovo corso, probabilmente i più difficili del disco, con un riff dai richiami quasi progressive (rock) e un ritornello pomposo. Ottimo l’assolo, più melodico e sentito di quello del brano precedente, e ottime le linee ritmiche create dal neoarrivato Frederik Ehmke.
03. Turn The Page (4:16)
I nostalgici troveranno qui uno degli episodi migliori del disco. Sin dai primissimi momenti la marcetta dettata dal rullante di Ehmke ci conduce ai passaggi più epici di Nightfall in Middle Earth, e la detonazione vera e propria del brano ci conferma le atmosfere evocate dai primi vagiti. Turn the Page è un brano dannatamente epico, con un ritornello largo in cui la voce solista di Hansi procede a botta e risposta con il coro. Finale con cori quasi folk, dai richiami allo stile già assaporato con And Then There Was Silence. Veloce e maestosa, una nuova Battlefield/Soulforged/Time Stand Still.
04. Fly (5:43)
Fly è tale e quale la versione da singolo: una gemma.
05. Carry The Blessed Home (4:03)
In Carry The Blessed Home esce allo scoperto l’amore dei Blind Guardian per le atmosfere intense e pompose, drammatiche, quasi da colonna sonora. Il pezzo nasce in un arpeggio ed è caratterizzato dall’alternarsi della struttura del verso, basata sulla chitarra acustica e una batteria cadenzata, a momenti di grande intensità come il ritornello ampio e superbo. Ciliegina sulla torta un assolo quasi da ballata hard rock, melodico ma comunque incastonato nei momenti più veloci del brano.
06. Another Stranger Me (4:36)
Turn the Page sarebbe stato un singolo perfetto, ma ai Blind Guardian le cose banali non piacciono. Ecco allora che per il secondo cd-single (che ricordiamo uscirà in autunno) hanno scelto uno dei due brani più ostici di tutto il disco (l’altro, come già detto, a un primo ascolto sembra essere Otherland). Una sorta di Sadly Sin Destiny dalle melodie più classiche, dove si uniscono le armonie classiche dei Blind Guardian a un riffing quasi hard rock. Verso affidato a una voce quasi sussurrata che esplode in un ritornello tra i più atipici del disco.
07. Straight Through The Mirror (5:48)
In un limbo tra A Night at the Opera e Nightfall in Middle Earth troviamo Straight Through The Mirror, brano dinamico e serrato costruito sulle ritmiche entusiasmanti di un sempre più sorprendete Frederik Ehmke. Anche i bridge sono all’insegna della velocità, e l’unico momento per tirare il fiato risulta essere il rallentamento centrale che fa da preludio al detonare del solo. Notevole anche il lead a due chitarre di fine brano, quasi un secondo assolo che va ad incastonarsi tra il ritornello e la coda finale del brano.
08. Lionheart (4:15)
Lionheart è un brano dalle atmosfere mediorientali ed è costruito su una sezione ritmica e scelte melodiche che ricordano Precious Jerusalem. Ha un verso costruito con linee vocali solenni e cori che seguono i lead sempre presenti del buon Andrè Olbrich. Un brano a cavallo tra A Night At The Opera e i lavori precedenti, condotto come da tradizione dal trittico chitarra/batteria/voce e con un finale potente e incalzante, quasi alla Punishment Divine.
09. Skalds And Shadows (3:13)
L’album-version di Skalds And Shadows non dista moltissimo da quanto sentito sul singolo di Fly. L’assolo rimane al flauto, la struttura del brano è invariata e tutto ciò che differenzia il brano sono alcune orchestrazioni che partono dalla prima armonizzazione dell’arpeggio iniziale. Strati aggiuntivi, costituiti da archi e percussioni, che non entrano mai nelle melodie soliste limitandosi a dare pienezza e solennità al brano. La ballata conferma in pieno le sue atmosfere sognanti e suggestive.
10. The Edge (4:27)
Vera e propria mazzata del disco, dettata e trainata da stacchi di doppio pedale massicci e duri come pietre. Anche qui troviamo qualche intrusione di fiati e un ritornello dalle armonie larghe e gravi, e il pezzo sfoggia una posizione sul disco che sembra voler quasi ricordare Another Holy War. Assolo agile e lesto come simile come struttura a quello di Battlefield.
11. The New Order (4:49)
L’album si chiude con The New Order, un brano che mischia saggiamente i vecchi Blind Guardian con diversi nuovi elementi. È un brano piuttosto cadenzato, lento se paragonato agli altri episodi del disco, che si evolve attraverso l’innesto progressivo delle varie componenti che costituiscono la musica dei bardi di Krefeld. Notevolissimo il lavoro di Andrè Olbrich in lead molto lunghi e un assolo in tipico stile Blind Guardian. Ritornello lento e maestoso come succede ormai da anni nella traccia che funge da epilogo ai dischi della band.
12. Dead Sound of Misery
Come bonus track sulla versione digipack ci sarà questa Dead Sound of Misery, ovvero una versione più oscura e decadente di Fly. I nuovi arrangiamenti (tra cui il testo) la rendono meno violenta e incalzante della cugina, con gli stacchi che spezzano il brano più a fondo lasciando la voce di Hansi sola con gli elementi ritmici.
L’attesa si fa ancora più lunga e sofferta, ma è un’attesa che verrà ripagata. Appuntamento a settembre…
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini