Dio Kicks Ass Tour 2006: Monaco di Baviera, 30/05/06

Di Marcello Catozzi - 18 Giugno 2006 - 11:03
Dio Kicks Ass Tour 2006: Monaco di Baviera, 30/05/06

Novara, martedì 30 maggio 2006.
Ore 6.30. Appena salito a bordo della navetta che mi porterà da Novara all’Aeroporto Malpensa, mi giunge un sms inviato dai miei amici che sono parcheggiati, in camper, a Monaco di Baviera, in attesa del concerto di stasera: mi raccomandano di portare felpa e giaccone, perché il tempo lassù è invernale. Aarrghh!!! Ma io sono in maglietta e giubbotto di jeans, e nel trolley non ho nulla di invernale, a parte un leggerissimo k-way… Va beh, si vedrà…
Ore 10.30. L’imbarco, il volo, l’atterraggio si succedono lisci come l’olio; il comandante ha appena avvisato i passeggeri che, a terra, la temperatura è di 7 gradi.
Monaco di Baviera, ore 11.30. Scendo dalla scaletta dell’aereo e mi investe una folata di vento gelido misto a pioggia, che quasi mi strappa le mie gloriose spille dal giubbotto! Guadagno un posto al coperto e vado alla ricerca del treno che mi porterà in città. Durante il tragitto mi cade l’occhio sulla gigantesca figura di Oliver Kahn, che sovrasta le corsie dell’autostrada lanciato in una plastica parata “mondiale”.

Ore 12.30. Sceso a Rosenheimer Platz, mi fiondo nell’hotel antistante alla fermata, mentre un cielo plumbeo sta per rovesciare qualche tonnellata di grandine; il mio informatore tedesco mi aveva consigliato di alloggiare nei pressi della stazione, da cui poi sarebbe stato facile raggiungere il locale del concerto. Entro frettolosamente (e freddolosamente) in questo lussuoso hotel, mi presento alla reception e domando quanto costa una camera. La ragazza in divisa mi guarda con espressione di sufficienza (sarà per il mio abbigliamento “metal-oriented”?) e mi avverte: “Guardi che è caro!”. Un po’ indispettito, rispondo: “Non si preoccupi e mi dica pure il prezzo…”. “Bene. Senza colazione sono 375 Euro.” A quel punto, cercando di non svenire, evito di ottenere ulteriori informazioni sul costo della formula “camera + colazione” e mi defilo ingloriosamente in ritirata, affrontando la grandine. Uscendo, mi accorgo che si trattava dell’Hilton. A futura memoria…
Dopo altri 3 tentativi infruttuosi, riesco finalmente a sistemarmi – grondante come un pinguino – in un albergo un po’ fuori mano ma, perlomeno, abbordabile in termini di prezzo, dove mi asciugo le piume e le ossa.
Ore 18.00. Dopo aver divorato una mega crespella ripiena di kebab e verdure (siamo o non siamo in piena epoca di “politically correct”?), affronto il diluvio universale dirigendomi verso la Eiser Halle, dove ho appuntamento con i miei amici. Spero che non scapperanno, sentendo il mio alito così “importante” e infiammabile, visto il quantitativo di cipolla ingurgitata in precedenza. Al limite mi canteranno: “It’s time to be killing the Dragon” e, dunque, saremo perfettamente in argomento!
Ore 18.30. Entro nel locale proprio mentre ha inizio il sound-check: non posso descrivere il piacere che provo nel rivedere sul palco i musicisti della band; infatti stavolta non sono i tecnici ad occuparsi dei suoni, ma gli stessi Craig, Scott, Simon e Rudy. E così mi godo un’anticipazione di quello che sarà lo spettacolo, più tardi.
Ore 19.30. Quando si aprono le porte, io e i miei Dio-friends siamo già piazzati nel “front row”, proprio davanti all’asta del microfono. Manca solo un’ora all’inizio dello show e l’attesa è palpabile, l’emozione cresce di minuto in minuto…
Ore 20.30. Dopo gli ultimi controlli di rito, ecco le ombre a noi così familiari che, ad una ad una, prendono posto nel buio, mentre aumenta il volume dell’inquietante sigla di introduzione.

La formazione è la seguente:

– Ronnie James Dio: vocals
– Craig Goldy: guitar
– Rudy Sarzo: bass
– Simon Wright: drums
– Scott Warren: keyboards

Per ultimo giunge il mitico folletto, e il cuore comincia a battere più forte. Here we go!
Gli arpeggi familiari di Craig introducono la stupenda CHILDREN OF THE SEA, impreziosita dalla singolare gestualità di RJD: “In the misty morning, at the end of time…” la voce arriva diritta nell’anima, dolce e struggente, scatenando emozioni indescrivibili, per poi diventare aggressiva e tagliente: “We sailed across the air, before we learned to fly…”. Siamo in era Black Sabbath e la chitarra, mirabilmente e sapientemente supportata dalle trame di basso, sa evocare atmosfere cupe, oscure e tenebrose. La folla è scatenata e prorompe in un urlo assordante, che quasi copre il finale strumentale. Sono partiti davvero alla grande e l’impatto è sinceramente devastante.

Si prosegue all’insegna della velocità con I SPEED AT NIGHT, altra reminescenza ottantiana, nella quale Simon dimostra la sua smagliante forma, trainando tutta la band nel ritmo incalzante di questa vecchia canzone che sprizza energia da ogni nota!
Ora è la volta di STAND UP AND SHOUT, con un Ronnie particolarmente incazzato e grintoso. Lo osservo ammirato: la più grande Rockstar di tutti i tempi è lì, a due metri da me, a dare al mondo l’ennesimo saggio di professionalità, di tecnica e di potenza. Dopo quasi quarant’anni questo inossidabile, immortale Elfo è ancora sulla breccia, con il suo immenso carisma e quello sguardo penetrante, ma soprattutto con quella magica voce che il tempo non riesce a scalfire. L’acuto finale mi scuote dal mio imbambolamento, scaraventandomi nel presente.
Thank youuuu!” urla come solo lui sa fare, per trasmettere la sua sincera gratitudine ad un pubblico semplicemente estasiato. Non trovo, in tutta sincerità, le parole per descrivere ciò che provo quando Ronnie ci vede e ci saluta, strizzandoci l’occhio.
L’introduzione di HOLY DIVER mi procura un altro brivido che si inerpica lungo la spina dorsale: compattezza, potenza e una sonorità che ti entra nel sangue sono le caratteristiche peculiari di quella che giudico una delle migliori formazioni di sempre, nel segno dell’essenzialità nuda e cruda.
GYPSY è un’altra perla del passato, anch’essa caratterizzata da un tiro micidiale impresso da Rudy e da Simon, nella quale Dio offre un’altra maiuscola prova di vigore, basata su quelle immense doti canore di cui dispone: questa canzone, infatti, è irta di difficoltà per un comune mortale, ma gli acuti e le ottave d’alta quota non sono un problema per questo straordinario artista dalle qualità incommensurabili. Ho sempre sostenuto che soltanto Lui è in grado di cantare certi brani; tanto per citare un esempio, si pensi a “Holy Dio”, doppio CD di tributo “alla voce del Metal” di recente confezionato da alcune band in onore a Ronnie James: pur dovendo – a onor del vero – sottolineare l’ottima qualità del prodotto sotto il profilo strumentale, il dato oggettivo e, ritengo, incontestabile, è questo: nessuna voce riuscirà mai a eguagliare l’originale.

Con l’inconfondibile urlo, viene presentato il DRUM SOLO: “Simon Wriiiiight”!!! Pur risultando, alle orecchie dei più attenti ascoltatori, modificata la struttura della parte iniziale dell’assolo, composta da vertiginose rullate e stacchi rabbiosi, il resto dell’esibizione ricalca quella del Tour 2005: la musica di sottofondo è “Jupiter” del compositore Gustav Holst, in un connubio azzeccatissimo di classico e metal. Da qualche anno, infatti, Simon confeziona i suoi assoli attingendo dalla musica classica, nell’intento di offrire un tributo al più grande drummer di tutti i tempi: Cozy Powell, del quale i più informati e appassionati lettori ricorderanno il celebre “1812”, dell’era Rainbow (anni 70).
La successiva SUNSET SUPERMAN è un’altra botta incredibile, esplosiva e tellurica, con Simon sugli scudi a dettare il tempo e il vocione di Ronnie che entra direttamente nei cuori.
Le luci diventano di un intenso blu: la suggestiva DON’T TALK TO STRANGERS è introdotta da una voce in formato melodico, dolce e vellutata come sa essere in certe circostanze, per poi tornare devastante e cattiva al momento giusto, in un magico alternarsi di Fantasia e Realtà, Bene e Male, Light and Dark, Evil and Divine, ricorrente in queste liriche di altissimo livello poetico che hanno scritto la storia.

A seguire: l’immancabile RAINBOW IN THE DARK, capace di scatenare ancestrali entusiasmi, con il suono tagliente delle tastiere di un allucinato Scott (la cui bionda chioma è come sempre scompigliata dal suo fedele ventilatore) e i graffianti riff di Craig, che rivedo con estremo piacere in ottime condizioni fisiche, dopo i problemi al braccio palesati nell’ultima parte del Tour 2005.
Tocca proprio a Craig Goldie irrompere con il suo GUITAR SOLO: nella parte iniziale è la sua chitarra a far tremare le pareti del locale, mentre in seguito il resto della truppa si unisce al condottiero regalando alla platea una performance tremendamente heavy. Già nel sound-check avevo avuto modo di apprezzare quegli stacchi rabbiosi, quei passaggi mozzafiato, notando con quanto scrupolo i quattro si dedicassero alla cura dei particolari, ripetendo più volte alcune parti, nell’intento di fornire una prestazione all’insegna della perfezione. Il risultato non poteva che essere di prim’ordine e la folla dimostra di gradire assai.

Fra gli applausi che non accennano a spegnersi rientra RJD, il quale presenta I, da “Dehumanizer” (ultima apparizione in casa Sabbath), un disco che forse non è tra i più amati dal nostro vocalist (considerati i problemi di convivenza con il baffone) ma che contiene pur sempre delle tracce di estremo spessore. E’ il caso di I, appunto, dalla cui esecuzione traspare tutto l’orgoglio e la fierezza di questo immortale protagonista della scena Rock. “You’ll never be stronger than me…” Lo sguardo è magnetico, la voce tagliente: la pelle d’oca è inevitabile: “I am standing alone, but I can rock you, I, I, I…” Immenso!
Dopo questa sferzata di ritmo da puro batticuore, gli arpeggi di chitarra introducono una delle più belle canzoni di tutta la produzione Dio: ALL THE FOOLS SAILED AWAY. “There’s perfect harmony in the rising and the falling of the sea…” la dolcezza dell’intonazione è unica, struggente, e ci accompagna cullandoci in una dimensione di sogno creata dalla suggestione delle strofe iniziali, per poi scuoterci bruscamente con il cambio di tempo: “We are the innocent, we are the damned. We were caught in the middle of the madness, hunted by the lion and the lamb, yeah…” Questa è altissima poesia, e la “good vibration” dei momenti topici mi pervade completamente. L’accompagnamento è pomposo, pesantissimo e avvolgente, con quei riffoni sparati in modo così smaccatamente heavy da entrare in profondità nelle viscere, dall’inizio alla fine: “Sail away…” galleggiando sulle onde dei ricordi, ipnotizzati dalle movenze del mistico Elfo, cantiamo tutti in coro: “Sail away…” La chiusura è trionfale e il viso di Ronnie si scioglie in un sorriso compiaciuto.
In certi istanti il mio godimento è tale, da desiderare che questo piacere duri all’infinito: dimentico la stanchezza, il mal di schiena e tutti i problemi e mi lascio volentieri trasportare in un favoloso vortice di emozioni, sospeso tra passato e presente, sogno e realtà. E il magico viaggio continua.
Per restare in tema di sfera emotiva, ecco HEAVEN AND HELL, il cui sound, più granitico che mai, si fonde con il coro appassionato della totalità dei presenti. Ancora una volta i brividi corrono su e giù per la spina dorsale allorché, nel buio più profondo, la figura di Ronnie si illumina improvvisamente di rosso, evidenziandone il ghigno satanico. E quando il timing di Simon diventa più incalzante, ci abbandoniamo al più sfrenato degli headbanging: “World is full of kings and queens who blind your eyes and steal your dreams: it’s Heaven and Hell…”. Questa è storia, signori. Scolpita in modo indelebile nella roccia.
Dai Black Sabbath ai Rainbow: il riff inconfondibile di THE MAN ON THE SILVER MOUNTAIN si diffonde nella sala, seguito dall’attacco di Simon, per un’esecuzione all’insegna dell’hard & heavy più tosto che ci sia. Dalla mia posizione privilegiata do uno sguardo indietro e vedo una distesa di braccia alzate e corna levate al cielo, in un trionfo di entusiasmo totale. Alla brusca chiusura fa seguito un mirabile CATCH THE RAINBOW, in versione acustica, che commuove gli animi di più generazioni. Alla mia destra un’esile ragazzina di bassa statura, che potrebbe essere mia figlia e che avevo accolto sotto la mia ala protettrice riservandole un posto al mio fianco nella ressa del “front”, appare rapita dalla magia della musica, proprio come noi vecchi rockers, a riprova del potere che certa musica ha di annullare i confini dello spazio e del tempo!
Si resta in ambito Rainbow con LONG LIVE ROCK AND ROLL, l’inno per eccellenza, capace di liberare scariche di adrenalina notevoli. Il botta e risposta tiene banco dall’inizio fino al finale scoppiettante, dominato da quei sorprendenti vocalizzi che non denunciano alcun calo: “Long Live Munich, and Long Live Rock and Roooooll..!”.
Ma non è finita: le nostre orecchie fameliche trovano ulteriore soddisfazione con WE ROCK, eseguita con eccezionale velocità e grinta, e infine con la splendida THE LAST IN LINE: “We’re a ship without storm, the cold without the warm…”: ammalianti melodie alternate a secche impennate di pura violenza: “Two eyes from the east: it’s the Angel or the Beast? And the answer lies between the Good and Bad…”. Siamo ancora sballottati nell’eterno dualismo tra il Bene e il Male, coinvolti nella maestosità di un sound che fa bene allo spirito e ci ripaga di tutti i sacrifici che abbiamo fatto per essere presenti, ancora una volta, alla celebrazione del Mito.
Ora i cinque eroi si avvicinano per raccogliere il sacrosanto tributo della folla in delirio. Rudy e Simon, in particolare, ci salutano con la mano regalandoci l’ennesimo sussulto.

Dopo circa un’oretta abbiamo il piacere di riabbracciare i protagonisti di questa indimenticabile serata. Per fortuna non c’è molta gente nel backstage: solo pochi intimi; il che ci permette di chiacchierare con un po’ di calma con i membri della band. Simon mi chiede, come al solito, aggiornamenti sul calcio italiano ed europeo, essendo un tifoso del Manchester United. Con Scott si parla di vino e di ragazze, mentre con Rudy e Craig gli argomenti sono un po’ più seri. Rudy si presta a firmare qualche decina di copertine di dischi che un paio di fans tedeschi estraggono dalle borse, sorridendo nel vedere alcune sue vecchie foto degli anni 80 (in particolare quelle con Ozzy e con i Whitesnake).
The last in line, ecco Ronnie, per nulla provato dopo due ore di show a quei livelli (come sempre del resto). Ci gustiamo insieme qualche dolce (italiano ovviamente) e poi mi chiede: “Allora Marcello, l’Italia vincerà i Mondiali quest’anno?” Mi sento preso alla sprovvista: “Acc., non mi aspettavo da te una domanda sul calcio!” Il discorso scivola sullo scandalo che ha travolto il calcio italiano. Ronnie ascolta attentamente la nostra complessa descrizione degli avvenimenti e poi, con un eloquente gesto della mano, strofinando il pollice e l’indice, dimostra di aver capito il nocciolo della questione: tutto ruota attorno ai soldi.
I due fans tedeschi gli chiedono di apporre il suo prezioso autografo su un quintale di copertine, sia di vecchi vinili sia di CD. Il nostro eroe, che come sempre non dà alcun segno di stanchezza, con la consueta pazienza e disponibilità si appresta all’immane fatica, cominciando a firmare gli autografi, ora con il pennarello nero, ora con quello bianco (a seconda dello sfondo), commentando le foto di epoche passate e mai dimenticate. Durante l’espletamento di queste formalità, uno dei due fans estrae dalla sua borsa/tabernacolo una preziosa foto del 1988 custodita come una reliquia, che immortala lui e RJD. Orgoglioso, la mostra a tutti i presenti, in particolare a Ronnie, ancora alle prese con le sottoscrizioni delle varie cover, dicendogli: “Vedi? Nella foto ho gli stessi stivali che porto ora!” E quest’ultimo, di rimando, alzando lo sguardo per un istante: “Ah… Già, è vero. Però ti consiglierei di toglierteli, qualche volta!” Risata generale.
Il resto della serata trascorre tra un brindisi e l’altro, quindi arriva il momento dei saluti: ci diamo tutti appuntamento ad Atene, dove la festa sarà ancora più grande: in Grecia stanno già fervendo i preparativi…
L’abbraccio affettuoso di Ronnie è per me la migliore ricompensa per questa trasferta in terra straniera: ora mi aspetta una lunga camminata nella notte, sotto la pioggia e al freddo, ma dentro di me la fiamma del Rock è più viva che mai e mi scalderà il cuore, grazie alle meravigliose emozioni appena vissute.
This is your life, this is your time: what if the flame won’t last forever? This is your here, this is your now: let it be magical…” (R.J. Dio)

Marcello Catozzi