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Flotsam and Jetsam (Craig Nielsen)

Di - 28 Marzo 2011 - 9:30
Flotsam and Jetsam (Craig Nielsen)

Quando abbiamo visto la copertina realizzata da Travis Smith abbiamo pensato che desse idea del freddo. E’ venuto da sé che il disco si dovesse chiamare “The Cold”
(Craig Nielsen)

Stesura domande a cura di Tarja Virmakari e Nicola Furlan
Intervista a cura di Tarja Virmakari
Traduzione a cura di Nicola Furlan

 

Da qualche anno a questa parte le thrash metal band hanno ricominciato a far parlar di sé. Chi copia dal passato, chi invece cerca di proporre qualcosa di nuovo rifacendosi agli stilemi classici della bay area, piuttosto che del movimento teutonico, sono ad ogni modo quasi tutti nuovamente sul campo per cercar di far valere la qualità del proprio operato. Tra le vecchie glorie spuntano i Flotsam & Jetsam che, in verità, rispetto a molti loro colleghi di vecchia data nuovamente al lavoro dopo decenni, quella scena non l’hanno mai abbandonata. Anzi, il loro stile s’è evoluto e ha permesso che restassero in forma come pochi altri. L’ultima fatica discografica, “The Cold” , l’ha dimostrato! Dall’altra parte del telefono troviamo il batterista Craig Nielsen che, pur non facendo parte della famosa formazione che ha dato alle stampe il capolavoro “Doomsday for the Deceiver” (1986), ha raccolto con gran sensibilità tutta la storia che ha reso importanti nel tempo i Flotsam and Jetsam… a proposito, saprà qualcosa dell’origine di tal nome?

…sono nella band da soli quindici anni e purtroppo non c’ero in quel periodo. A dire la verità non ho mai chiesto loro il significato del nome…

Ti sei unito alla band nel 1997; ricordi qualcosa del tuo primo concerto coi Flotsam & Jetsam?
 
Oh sì, certamente! È stato a Phoenix, nella città natale della band, era un club piuttosto grande. Quello è stato il mio primo show con la band. Il gruppo aveva su di sè gli occhi puntati, quindi Mark Simson ed io, assunti lo stesso giorno, avevamo molto da dimostrare in quel concerto. Era il nostro primo spettacolo nei Flotsam! Mi ricordo tutto di quello show; è proprio riuscito!
 
Il gruppo ha iniziato a lavorare sotto Metal Blade, ma i seguenti quattro album sono stati pubblicati da Elektra Records e da MCA. Poi di nuovo, nel 1997, s’è fatta risentire Metal Blade. Che emozioni hai provato quando ti hanno offerto di nuovo un contratto discografico con quest’ultima?
 
Sai, nei primi anni è importante affiancarsi a un’etichetta come Metal Blade. Brian Slagel è un bravo ragazzo e conosce a fondo le scene metal americane, oltre a essere molto rispettato, qui negli States. E se anche Metal Blade non è un marchio di enorme portata come MCA, lui ci sa fare ed è un ottimo inizio per aver accesso al giro che conta. E poi devi sapere una cosa: per tutto il tempo che i Flotsam erano sotto MCA non hanno mai partecipato a un tour in Europa, cosa che invece è accaduta sotto Metal Blade. Per una metal band è molto più importante stare con un’etichetta più piccola. Porta molti più benefici. A livello di possibilità e riscontro è come esser accasati con una major. Quindi, per tornare alla Metal Blade, è stata effettivamente una buona mossa.
 
Nel 1986 è uscito uno dei più importanti dischi thrash metal della storia, “Doomsday for the Deceiver”. Tu non eri ancora nella band allora, ma che impressioni ti sono state raccontate quando si parla di feedback da critici e fan del tempo?
 
L’album è stato, ovviamente, l’esperienza più brillante che i Flotsam potessero avere in quel momento. Anche grazie al contributo del bassista Jason Newsted che era anche compositore principale della band. Poi Jason è entrato nei Metallica“Doomsday for the Deceiver” s’è fatto conoscere anche per questo motivo. La risposta dei fan è stata sensazionale. Per quanto riguarda la critica non so nulla. Ma per tornare ai fan, pensa che riceviamo ancora e-mail in cui ci dicono che quello è il più importante disco thrash metal di tutti i tempi! E se pensi che i membri della band erano ancora molto giovani quando hanno scritto quei pezzi… sì, c’è da essere davvero orgogliosi!
 
 
Voi siete stati uno dei pochi gruppi che non hanno mai mollato, anche quando, negli anni novanta, il movimento thrash metal era praticamente eclissato. È stato difficile tener duro tutti questi anni?
 
No, non lo è stato. Sai, ho suonato in diversi gruppi e posso dire che stiamo molto meglio della metà di loro. Quando non siamo in tour o non lavorariamo alla realizzazione di un album, non stiamo molto tempo assieme. Questa è una fortuna perchè non ci intossichiamo l’uno con l’altro e se abbiamo delle differenze d’opinione o se qualcuno ha suonato male, nessuno ha paura di rivolgersi a lui e dire: ‘hey you sucked tonight!’. Non abbiamo mai avuto alcun problema ad essere onesti gli uni agli altri, sia per dare pareri, sia per riceverli. Cooperiamo alla grande e ci sentiamo fratelli.
 
Credo che una chiave di lettura della vostra musica sia l’elasticità del songwriting. Nel corso degli anni non avete mai composto le stesse cose, ma avete affinato e mescolato speed metal, mosh, thrash, soluzioni melodiche… Siete davvero una band di grande personalità! È stato facile trovare un accordo sulle idee in sala prove?
 
Oh, sì… ed è stato tanto più facile quanto più stavamo assieme in sala prove. Parlando di “The Cold”, Mark ha a casa un ottimo studio di registrazione che ti permette di far quadrare le cose nel migliore dei modi. Ha quindi preparato tutti gli arrangiamenti ed eseguito tutte le parti di chitarra in studio, come se ci fosse un solo chitarrista sull’album; questo per la prima volta in assoluto.
Questo è tutto lavoro di Mark: sono tutte le sue canzoni e i suoi arrangiamenti, quindi non ci poteva essere alcun disaccordo. Sapevamo sarebbe uscito un ottimo lavoro appena ascoltati i brani. Poi ogni volta che Eric “AK” canta lo fa in maniera egregia e pure in questo caso ha fatto un gran lavoro! Ha avuto tutto il tempo di pensare a quello che voleva cantare… sai, Eric è un cantante e compositore, ma ha completa fiducia nel lavoro di Mark e ha trovato facilmente il giusto tono di voce e le melodie. Siamo una band che va avanti senza tanti intoppi visto quanto andiamo d’accordo, soprattutto mentre scriviamo. Se proprio non ci piace una canzone, lo diciamo senza problemi e ne scriviamo un’altra. Nel processo di scrittura devi avere fiducia in chi sta proponendo idee. Se si hanno troppi compositori principali allora il tutto non può filare liscio. Prova a pensare ai migliori gruppi del mondo: cosa hanno in comune? Hanno un solo compositore…

Siete ritornati sul mercato con un album davvero importante, uno dei migliori del 2010, “The Cold”. Quali sono le vostre aspettative al riguardo?
 
Thank-You! Ma sai, non abbiamo particolari aspettative, come non sappiamo ancora se sta andando bene negli Stati Uniti o se farà meglio in Europa. Però siamo consci che è un buon disco. Le canzoni valgono, ma la cosa importante è che suona davvero alla grande! I toni, il missaggio…, insomma, l’ingegnere ha fatto un buon lavoro rendendo vivo il sound, questo è molto importante. Un altro aspetto davvero riuscito è la voce: “AK” ha avuto tutto il tempo di cui necessitava per esprimere le sue idee. Non voglio dire che AK si sia impegnato di più che sul precedente, ma questa volta ha avuto più tempo… e se l’artista ha più tempo, si presenta con un lavoro più curato. “AK” è stato l’ultimo a registrare e quindi ha avuto davvero un sacco di tempo per capire quello che voleva cantare! Penso che abbiamo uno dei cantanti più versatili che si possano trovare in circolazione. AK può cantare in così tanti stili diversi! Quando si ha un personaggio così al microfono si scrivono le canzoni per andare incontro al suo talento vocale e non ci si focalizza su un solo genere o stile. Se avessimo scritto solo thrash, “AK” non avrebbe potuto mostrare le sue doti migliori.
 
Chi ha missato le canzoni?
 
È stato Patlan Ralph, quello che ha remissato l’intero catalogo Megadeth. Ha collaborato anche con Michael Schenker e altri. Ha un sacco di esperienza in ambito metal e conosce molto bene le tecniche di registrazione. Ha saputo farci risparmiare tempo in studio quindi non abbiamo sprecato nulla, niente! È stato veramente bravo. Sapeva come ottenere i toni migliori e questo è ovviamente molto importante. Sai, devi avere i microfoni a destra…, devi sapere dove collocarli nella stanza… durante le sessioni di registrazione devi conoscere le cose alla perfezione e lui c’ha saputo fare. È stata una grande esperienza lavorarci assieme.
 

 
Perché come titolo avete scelto “The Cold”? C’è una storia dietro?
 
Beh, per quanto ne so, non c’è alcuna storia. Mark non scrive concept, né storie specifiche, né parla di esperienze passate; diciamo che non è mai stato autore di canzoni per la band, almeno fino a tempi recenti. Resta il fatto che la maggior parte dei testi sono stati scriti da Eric, mentre Mark, come già detto, ha scritto tutte le musiche. Per il resto, “The Cold” è solo il titolo di una canzone, una delle dieci di tracklist. Quando abbiamo  visto la copertina realizzata da Travis Smith abbiamo pensato che desse idea del freddo. E’ venuto da sé che il disco si dovesse chiamare “The Cold”.
 
Cosa caratterizza maggiormente “The Cold” rispetto agli altri album dei Flotsam?
 
Mark è stato il principale compositore delle canzoni degli ultimi due dischi. Penso che se sei un buon artista e una persona creativa e se hai la passione per la musica, migliori molto in ciò che fai. In questi anni Mark ha compreso perfettamente come le idee possono essere trasformate in canzone, ma se non si ha molta esperienza in studio allora non è così facile come si potrebbe pensare, sopratutto è difficile immaginare come tutti i pezzi possano suonare assieme. Solo se sei stato un mucchio di volte in studio allora puoi effettivamente immaginare, in maniera realistica, cosa sta nascendo. Mark finalmente ha dimostrato la sua grande prestazione come songwriter: questo è il suo disco, per così dire. È questo l’elemento fondamentale che rende “The Cold” diverso dagli altri.
 
Parlando di concerti, avete in programma dei tour promozionali?
 
Abbiamo intenzione di aspettare ancora un po’ prima di programmare un tour in Europa perché, ovviamente, vogliamo prima vedere quanto la gente investirà su “The Cold”. Infatti, se i dati di vendita saranno buoni, potremo ottenere offerte migliori per pianificare i tour. Per tal motivo non ha senso starci troppo dietro ora. E quando andremo in tour nascerà un altro problema: quando, con chi e in quali situazioni? Lo decideremo in seguito, dopo che il disco sarà uscito sul mercato da un po’ di tempo.
 
Nel marzo del 2010, l’ex chitarrista fondatore Michael Gilbert è tornato nei ranghi. Ci dici qualcosa riguardo a questo ritorno? Come è stato riaverlo in formazione dopo tredici anni?
 
È come se non se ne fosse mai andato… è stato un ritorno in grande stile, si ricordava tutte le canzoni e alla prima prova è stato perfetto! Non ci potevo credere; era come se non avesse mai smesso di suonare. Negli ultimi anni Michael ci ha dato una mano un paio volte, come quando abbiamo suonato a Phoenix. In realtà abbiamo fatto alcuni spettacoli con lui e Mark assieme quando Ed non poteva esserci per un qualsiasi motivo. Era comunque in forma perché se n’è stato in giro nel periodo in cui non suonava con noi. Poi, quando Ed lasciò, ovviamente, la prima persona che abbiamo chiamato, è stata Michael. Vive a Phoenix e una volta contattato non ha chiesto nemmeno un secondo per pensarci. A proposito, in quel tour in cui ci diede una mano siamo arrivati anche in Italia, se ben ricordo a Bologna. Al di là di tutto, Michael era molto contento di tornare con noi.
 
 
Craig, ora un paio di domande a te… per quanto tempo hai suonato la batteria, quali sono i tuoi primi ricordi e perché hai scelto questo strumento?
 
I miei primi ricordi mi riportano a quando avevo cinque, sei anni, mi piaceva la batteria. Attorno ai dieci anni ricordo di aver avuto le prime passioni musicali per Jethro Tull e Deep Purple; ho ascoltato anche ELO, …avevano proprio un buon batterista! A quel tempo tutti ascoltavano Led Zeppelin e Jimi Hendrix, mentre io mi sentivo attratto in particolare dai Deep Purple che alle pelli avevano un fenomeno e da Barriemore Barlow dei Jethro Tull. Di quei brani ascoltavo solo la batteria e ho capito che il mio sogno era essere un batterista. Ho iniziato a suonarla quando avevo quattordici anni, ma sono diventato un vero batterista a diciotto, quando ho iniziato a dilettarmi con la mia prima cover band.
 
Ti è mai capitato che in un concerto si rompesse una pelle o qualcosa del genere? Se sì, come hai risolto la situazione?
 
Beh, se succede sul rullante, allora sono problemi, in quanto è fondamentale in ogni secondo. In ogni caso porto sempre con me un ‘drum-tech’ pronto ad agire se qualcosa dovesse rompersi o creare problemi. Utilizziamo i cosiddetti “eye-signals”: punto gli occhi dove c’è il problema e lui lo risolve. E se hai come aiuto un buon tecnico, allora si è in grado di risolvere ogni tipo di problema entro un minuto.
Quando suoni a livello professionistico allora devi avere a disposizione tecnici in grado di risolvere i problemi così da non interrompere lo show. Non puoi fermare l’esecuzione del brano quindi, qualunque cosa accada, devi solo trovare la soluzione, qualunque sia il problema.
 
Craig, credo che essere in tour sia piuttosto pesante. Si suona sempre, notte dopo notte. Cosa fai per mantenerti in forma?
 
Questa è una bella domanda… non dormo molto in tour, questo è sicuro. Non importa se sei in tour bus o se viaggi in van e poi a dormire negli alberghi, comunque non è mai comodo. Ti faccio un esempio: diciamo che se lo spettacolo finisce all’una di notte: è impensabile buttarsi a letto prima delle cinque o le sei! Diciamo che ti puoi ritenere fortunato se riesci a dormire tre, quattro ore a notte. Così, il problema non è il suonare duro ogni sera, ma è suonare alla grande ogni sera senza aver dormito, …questo rende difficili le cose. Ricordo d’aver suonato anche due, tre concerti ed aver dormito complessivamente non più di tre ore complessive. Io penso che non importa quanto si è stanchi perchè quando sali su un palco metti in gioco la tua reputazione da professionista e lo devi fare bene. Dobbiamo fare meglio che possiamo, ogni notte, perché questo è quello che la gente s’aspetta da noi.
 
Beh, il nostro tempo è finito. Grazie Craig! Lascio a te i saluti ai nostri lettori…
 
Grazie a te Tarja. Purtroppo i Flotsam non hanno ancora suonato molte date in Italia, però mi piacerebbe cambiare questo destino. Sai, sono mezzo italiano e quindi so che gli italiani sono gente molto calda. Ci piace davvero l’Italia. Quindi vorrei dire ai nostri fan italiani di spronare i promotori affinché portino i Flotsam da loro! Noi vogliamo venire lì, ma abbiamo abbiamo bisogno di offerte per poterci essere! Siamo stati a Torino quattordici anni fa e poi di nuovo a Bologna lo scorso anno, …solamente due volte in quindici anni!… diffondete la parola e noi ci saremo!
 
Tarja Virmakari