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In Flames (Niclas Engelin)

Di - 13 Novembre 2011 - 10:00
In Flames (Niclas Engelin)

Intercettato qualche ora prima della data milanese che ha visto coinvolti gli In Flames, Niclas Engelin si è reso disponibile per una chiacchierata filtrata con l’occhio di TrueMetal. Ciò che è scaturito da una mezz’ora abbondante in cui l’artista ha espresso il suo modo d’intendere il proprio lavoro è un quadro in continua evoluzione, vale a dire una band che non riesce a fermarsi di fronte a nulla. Si può prendere atto che l’ultimo disco, Sounds Of A Playground Fading, abbia segnato un ulteriore passo trasversale nella carriera del quintetto, mutilato del membro fondatore Jesper Strömblad di cui proprio Niclas è il fortunato/sfortunato “rimpiazzo”, ma i numeri sono dalla parte degli In Flames ed il nuovo arrivato ne è più che consapevole…

Credo che Sounds Of A Playground Fading sia un album piuttosto strano per gli In Flames, anche se i trademark del vostro sound sono comunque presenti. Che cosa puoi raccontarci del processo di songwriting? Sei stato coinvolto in esso?

Per quanto riguarda la fase di songwriting sono stato effettivamente coinvolto, ma in realtà la registrazione delle chitarre è stata fatta interamente da Bjorn. Diciamo che in tale fase voleva essere presente solo ed esclusivamente lui, anche se prima di ciò abbiamo suonato parecchio insieme (Niclas ha sostituito Jesper Strömblad anche per il tour di A Sense Of Purpose, nda) e sicuramente questo lo ha influenzato. Essendo sempre abituato a suonare con Jesper al suo fianco non credo sia stato facile per lui abituarsi al mio stile, ma comunque ha avuto delle idee che rispecchiano appieno il sound degli In Flames.

E che cosa rappresenta l’artwork? Pare piuttosto criptico…
 
Oddio, non l’ho nemmeno mai visto, ahahah!!! (risate generali, nda) No, dai, seriamente… A questa domanda non saprei risponderti in maniera completa ed esaustiva perché è una cosa che riguarda più Anders (Fridén, cantante, nda) ed i suoi testi. Si collega molto con le tematiche del disco ed i ragazzi che se ne sono occupati hanno dato vita anche alla copertina di A Sense Of Purpose. Si tratta di gente esperta che lavora anche nel campo dei fumetti, quindi sanno esattamente cosa fare per far risaltare il tutto al meglio.
 
Canzoni come The Attic, Jester’s Door, A New Dawn e Liberation non assomigliano moltissimo a canzoni degli In Flames come avevamo imparato a conoscerli. Sono da considerare dei semplici esperimenti oppure una nuova direzione del vostro sound?
 
Allora, tieni conto che ogni disco, questo in particolare, va considerato come un blocco unico, quindi nella sua interezza. Detto questo, gli episodi che hai citato tentano di spaziare all’interno del contesto e penso che nel prossimo album continueremo a sperimentare in questo senso: soluzioni sempre differenti, ma comunque con impresso il marchio di fabbrica degli In Flames. In effetti, se guardi alla storia della band ci sono stati sempre degli esperimenti in ogni album: parti strumentali acustiche, dinamiche particolari e cose del genere. Dal mio punto di vista, quello di un musicista, è estremamente interessante suonare quelle parti perché attirano la mia attenzione verso territori nuovi e stimolanti.
 
 
Moltissimi fan sono d’accordo nel dire che di death metal gli In Flames non hanno più molto. Che cosa ne pensi? E che cosa pensi a riguardo dell’evoluzione del sound della band durante la propria carriera, vista anche dall’occhio esterno di chi si è unito da relativamente poco agli altri ragazzi?
 
Il concetto che sta alla base degli In Flames è quello di evolversi, di non stare fermi sul medesimo modello a lungo. Questo rende le cose interessanti, ma ovviamente non si tratta di perdere quanto fatto in passato, semplicemente di muoversi attorno ad esso cercando di mischiare le carte in tavola. Personalmente credo ci sia ancora del death metal nella nostra musica, ma si tratta di un’evoluzione di esso.
 
Una delle grosse novità è il cambio di etichetta: dalla storica Nuclear Blast alla Century Media. Come mai avete scelto questa strada?
 
In realtà non ne so moltissimo, ma credo si trattasse del fatto che il precedente contratto sia scaduto ed era ora di provare qualcosa di nuovo. Gli In Flames sono stati sotto Nuclear Blast sin dagli inizi ed era semplicemente venuto il momento di cambiare.
 
Valutando l’intera discografia della band si possono individuare tre periodi distinti: da Lunar Strain a Whoracle, da Colony a Reroute To Remain e da Soundtrack To Your Escape fino all’ultimo Sounds Of A Playground Fading. Mi rendo conto che si tratta di una domanda stupida, ma quale preferisci sia dal punto di vista dell’ascoltatore che del musicista?
 
Personalmente credo che da Lunar Strain fino a Colony compreso ci fosse un discorso del tipo: “suoniamo veloci, siamo fantastici perché siamo veramente pesanti” o cose del genere. Mentre da Reroute To Remain e specialmente Soundtrack To Your Escape c’è stato un desiderio comune di iniziare qualcosa di nuovo tramite l’inserimento di loop, tastiere ed effetti vari. Subito dopo c’è stata la fase, che dura ancora adesso, della “maturità” artistica (non mi piace affatto questa parola, suona troppo pretenziosa), vale a dire cercare di suonare in maniera ancora differente, ma senza perdere la componente aggressiva del nostro sound. Sarebbe stato sicuramente noioso per tutti continuare a registrare mille volte The Jester’s Race!
 
Ciò che è successo agli In Flames è un caso piuttosto particolare: si tratta di una delle poche band che ha influenzato una nuova corrente (il metalcore, in questo caso) e che poi si è fatta influenzare di riflesso da essa. Come ti spieghi questa cosa?
 
Si, credo proprio tu abbia ragione. Mi vengono in mente i giorni in cui facevo parte dei Gardenian, in particolar modo l’album Soulburner: in quel disco c’erano delle ottime parti vocali pulite e si trattava di un ottimo esperimento per quei tempi, qualcosa di veramente diverso dal solito. Questo avvenne, però, prima che questo stile venisse adottato dai Soilwork o dagli In Flames stessi o chi per loro. In ogni caso, è vero, gli In Flames hanno poi aperto questa strada a tantissime nuove band, ma al contempo tutta questa ispirazione è tornata indietro verso la band in uno scambio equo e meraviglioso. È un fenomeno particolare, ma comunque molto bello.
 

 

Parliamo un secondo di Bjorn: nel 1998 passò da batterista a chitarrista. Credi che gli manchi sedere dietro le pelli, ogni tanto?
 
No, non credo proprio. Si sente perfettamente a suo agio nel suo ruolo e non perde comunque un colpo!
 
In effetti credo che il fatto di saper suonare anche la batteria porti il suo songwriting ad essere impostato molto sulle ritmiche pensando al di fuori di quelli che sono i normali schemi di un chitarrista. Spesso molti si sentono in dovere di inserire un assolo giusto per dimostrare la propria bravura, ma non mi sembra questo il caso degli In Flames, almeno non ultimamente.
 
Ed è esattamente così! Se una canzone non necessita di un assolo, perché inserirne uno? Perché devo allungare il brodo con un pezzo che non è nelle corde di quel determinato brano? Questa è una delle cose che apprezzo molto del modo di scrivere degli In Flames e credo sia strettamente collegata al fatto che Bjorn sia anche un batterista. Anche io suono la batteria e quindi comprendo e condivido perfettamente i ragionamenti che ti ho appena descritto. In questo senso, poi, Daniel aiuta moltissimo creando dei pattern ritmici perfetti sotto ogni punto di vista.
 
Nel corso degli anni hanno gravitato attorno agli In Flames ed ai propri membri un numero considerevole di band. Ciò che ti vorrei chiedere è di spendere qualche parola a proposito di questi gruppi e della loro evoluzione stilistica.
 
Questa è una domanda molto interessante. Anzitutto lasciami dire che a me piace la buona musica, indipendentemente dal genere in cui viene classificata e devo dire che tutte le band che citerei nella categoria da te descritta fanno buona musica. Ai tempi in cui suonavo nei Sarcazm suonammo alcune date con un gruppo d’apertura che si chiamava Septic Broiler e che poi sarebbe diventato quello che oggi tutti conoscono sotto lo pseudonimo di Dark Tranquillity. Questo per dirti che conosco tutti questi ragazzi da un bel po’ di tempo, così come Joacim Cans, il cantante degli HammerFall è mio amico da tempo immemore. Ciò che mi piace di tutta la scena svedese è che ognuno ha poi seguito la sua strada: gli In Flames si sono evoluti verso l’attuale direzione, i Dark Tranquillity ne hanno intrapresa una diversa, i Soilwork ancora un’altra e così via. Rappresenta un grande flusso di idee proveniente dalla stessa città, dalla medesima zona e credo sia una cosa fantastica che un fenomeno del genere arrivi a coprire numeri importanti in tutto il mondo.
Se devo essere sincero non sto più ascoltando molta musica nuova proveniente dalla scena di Gotenburg, anche se so che ci sono delle band validissime che stanno uscendo di questi tempi. Si tratta del fatto che non sento più quel fluire di ispirazione che caratterizzava quel luogo fino agli anni ’90.
 
Per concludere quest’intervista, ho preparato qualche domanda su di te. Anzitutto, ti chiedo come hanno accolto i fan degli In Flames il fatto che tu abbia preso il posto di un membro storico del gruppo, vale a dire Jesper.
 
È da tener presente un presupposto: io e Jesper abbiamo frequentato il liceo insieme, quindi capirai bene che da parte degli altri ragazzi, quella di contattare me è stata una scelta logica. Ora sono il chitarrista degli In Flames, ma comunque li avevo già seguiti durante lo scorso tour ed avevo già suonato con loro in alcune precedenti occasioni, quindi l’intesa era collaudata già da tempo. È stato tutto molto naturale: ci si conosceva da tempo, parliamo la stessa lingua e musicalmente la pensiamo alla stessa maniera sul lavoro da fare all’interno della band. In questo senso non ci sono mai stati problemi.
 
Per entrare a far parte degli In Flames immagino tu abbia dovuto comunque imparare moltissime canzoni nuove. Qual è stata la più complicata da capire e qual è, invece, la tua preferita da suonare?
 
Non ho avuto alcuna difficoltà ad impratichirmi sul repertorio dei ragazzi, sono arrangiamenti decisamente alla mia portata e che ho avuto modo di provare a lungo prima di salire su un palco per uno show. Per quanto riguarda il pezzo preferito, è ovvio che ne ho uno, in particolare c’è una canzone che mi ricorda moltissimo i Judas Priest ogni volta che la suono, cioè Pinball Map. È un brano che mi esalta sempre ogni volta che lo suono.
Io considero uno show degli In Flames esattamente come una partita di calcio: un’ora e mezza di performance ai massimi livelli, al meglio possibile delle mie capacità. Adoro giocare a calcio, se avessi più tempo praticherei molto di più questo sport, quindi vedo molti parallelismi tra il mio lavoro e quello del calciatore. Il pubblico degli In Flames compra biglietti molto cari per venire a vederci suonare, quindi è giusto che noi diamo spettacolo e ripaghiamo il loro sacrificio con uno show di alto livello, esattamente come nel calcio.
 
Ci sono novità riguardo l’altra band che ti vede schierato nelle proprie fila, gli Engel? So di un tour in programma di spalla ai Pain di Peter Tagtgren…
 
(Sospira, nda) È una questione molto delicata quella che mi poni: adoro la musica degli Engel ed i ragazzi che fanno parte insieme a me del gruppo. Ora vedo anche il tutto con un occhio più “esterno” e ti dico solo che abbiamo delle canzoni veramente fantastiche, comprese alcune che andranno a comporre il prossimo disco. Voglio spingere ancora più in alto il nome degli Engel perché credo meritiamo attenzione a fronte di una proposta musicale, a mio giudizio, eccellente. Ora ci aspettano le date con i Pain e poi altri concerti in giro per la Germania e il Canada, per poi arrivare con l’anno nuovo a far uscire un album di inediti.
 
Siamo alla fine dell’intervista, quindi ti lancio una provocazione in chiusura: in tempi di crisi economica come questi, perché un fan dovrebbe comprare un album quando può scaricarlo gratis dal web?
 
Trovo la risposta estremamente semplice: sono un artista, quindi lavoro con la musica e ci vivo anche. Quando compongo, penso esclusivamente alla musica, ma in realtà è così in ogni momento della mia giornata, da quando mi sveglio a quando vado a dormire la notte. Da un lato capisco il ragionamento di alcune persone, le quali dicono che comprare i dischi vuol dire solo finanziare le etichette discografiche e non gli artisti, ma ricordiamoci di un periodo nemmeno troppo lontano nel tempo, quando andavamo al negozio di dischi e, con i sudati soldi della paghetta settimanale, compravamo un vinile. Per me i vinili sono la massima espressione della musica, anche a livello fisico perché quando ascolto qualcosa, voglio anche avere in mano una cosa tangibile, qualcosa su cui leggere i testi delle canzoni, su cui ammirare un complicato artwork di copertina e cose del genere. Oggi invece funziona così: “Hey, amico, sai che ho tutta la discografia dei Cannibal Corpse?” “Davvero?” “Si, qui nel mio hard disk!” (ride, nda) Ecco, se dovessi fare un parallelo tra la situazione di venti o trent’anni fa, direi che oggi c’è più la cultura di andare ad un concerto ed uscire con una maglia piuttosto che con un cd.
Ora, non vorrei però essere frainteso: esistono anche sistemi legalizzati per comprare musica online, ad esempio iTunes. Io stesso compro spesso musica con questo sistema, ma non scarico illegalmente. Mai.
 
 
N.B.: un doveroso grazie a Tarja Virmakari per la preziosa collaborazione.