Death

Intervista Avatar (Johannes Eckerström)

Di Davide Sciaky - 1 Agosto 2020 - 8:00
Intervista Avatar (Johannes Eckerström)

Intervista a cura di Davide Sciaky

Ciao, come stai?

Sto bene, grazie!
Penso che questa domanda abbia un peso particolare in questo periodo, quindi la risposta lunga è che tutte le persone che mi sono care sono in salute, sono in grado di continuare il mio lavoro in un modo o nell’altro, quindi in questo senso sto molto bene.
Tu come stai?

 

Anch’io sto bene, la mia famiglia sta bene, quindi non posso lamentarmi.
Passiamo a parlare di musica: con “Avatar Coutnry” avevate parlato piuttosto approfonditamente del Paese di Avatar [Avatar Country] nei testi, nei video, iniziavate i vostri concerti con un saluto al Re e così via. Quando abbiamo parlato l’ultima volta mi avevi detto che eravate a conoscenza del Re da molto tempo, ed infatti l’avevate ringraziato nel libretto di album passati già molto prima di quest’album. In che modo si relaziona questo nuovo album, “Hunter Gatherer” al Paese di Avatar?

In nessun modo.
Immagino che l’ultima volta che abbiamo parlato fossimo ancora nel mezzo del concept di “Avatar Country” perché, sai, abbiamo fatto tutte le interviste nel nostro personaggio, era tutto parte dell’idea.
Alla fine eravamo parecchio stanchi, devo ammetterlo, ma è stato un esperimento divertente, una cosa folle da fare.
La verità dietro a tutta quella storia, dietro al “abbiamo sempre saputo che il Re è il Re”, è che è tutto iniziato come uno scherzo tra di noi.
E’ iniziato quando dieci anni fa Jonas ha cambiato il suo secondo nome su Facebook in “kungen”, quindi “re” [in svedese N.D.R.] per dare fastidio ai suoi amici, per dare fastidio a me e a chiunque altro fosse abbastanza stupido da farsi infastidire dalla cosa.
Funzionò, perché non puoi darti da solo il soprannome “re”, dire “io sono il re”, sei un coglione se lo fai [ride].
Poco dopo andammo in tour con gli Hardcore Superstar e loro cominciarono a chiedere “dov’è il re?”, pensavano che facesse morire dal ridere, e a quel punto diventò davvero il suo soprannome.
A quel punto cominciammo a scherzarci su, “il re è qui!”, a svuotare le stanze in cui stava per entrare, lui salutava come la regina d’Inghilterra, tutte queste sciocchezze.
Mentre stavamo lavorando ad un album un giorno arrivò con un regalo per la band: aveva fatto incorniciare e aveva autografato una foto di sé stesso che mise sulla nostra scrivania in modo che tutti potessero ammirarlo.
Quindi, questo è come è nato il titolo, che si è ricollegato al nome “Avatar Country” che è semplicemente qualcosa che ho detto una volta sul palco, “Stasera questa non è più Dallas, questo è l’Avatar Country [“il Paese di Avatar” in inglese N.D.R.], ora il vostro culo mi appartiene”.
Da quel momento le parole “Avatar Country” ci rimasero impresse e si sposarono molto bene con il soprannome di Jonas in un periodo in cui eravamo fissati con l’Heavy Metal, abbiamo ascoltato i Manowar prima di ogni concerto per un anno o giù di lì.
Quindi, scherzo tra di noi, l’ironia di quel soprannome, la nostra passione e amore per il Metal classico sono tutti elementi che hanno portato alla nascita di “Avatar Country”.
Probabilmente è stata anche una reazione a “Feathers & Flesh”; quello è stato il nostro primo concept album ed era molto serio, è stata l’occasione di fare qualcosa di serio nel modo giusto dato che si trattava di una fiaba, di animali, quindi doveva rimanere nel suo contesto.
Non volevamo aggiungere elementi nuovi solo per il gusto di farlo, che è esattamente quello che abbiamo fatto con “Avatar Country” volutamente per liberarci di ogni limite, per poter fare il cazzo che volevamo, e questo significava portare il tutto all’estremo.
Per questo motivo nelle interviste parlavamo del Paese di Avatar come se fosse vero, per questo motivo “Oh, adesso dobbiamo fare un film”, sai, tutte queste cose folli.
La cosa bella di tutto ciò è che è nato per noi, da un nostro scherzo, ma i fan l’hanno subito accettato e fatto loro, hanno iniziato a giocare a quel gioco con noi.
Il tutto è diventato così grande che il Paese di Avatar è diventato reale, in un certo senso, perché, non so, anche la Finlandia esiste perché [noi svedesi] abbiamo accettato che potesse esistere; quindi quando in molti hanno accettato che il Paese di Avatar potesse esistere in un certo senso ha cominciato a farlo.
Questa è stata la magia di quel album e ciò che mi porto dietro dal periodo di quel album.
Avendo detto ciò, una volta è abbastanza, fare un album comico è stato divertente ma una volta basta, avere tutte le canzoni con il titolo che aveva a che fare col Re andava bene una volta.
Ora abbiamo deciso di tornare a fare altro; all’epoca ci siamo trovati davanti ad un bivio e abbiamo deciso di andare in una direzione, ora è il momento di prendere l’altra direzione [“now it’s time for the left hand path”] ed esplorare ancora di più l’oscurità in un processo che abbiamo iniziato con gli scorsi album.
Questo è il punto a cui siamo arrivati oggi, per questo l’album è più oscuro, più aggressivo, più pesante e più serio.

 

Esatto, questo è qualcosa che ho notato da subito, dal primo ascolto, come l’album sia molto aggressivo, pesante e dritto al punto.
C’è un concept dietro o si tratta di generica pesantezza che non segue un filone, per così dire?

Non è un concept, questa è un’altra cosa di quest’album: “Feathers & Flesh” è stato il nostro primo concept quindi è stato una sfida, poi è nata tutta questa cosa di “Avatar Country” che è stato un esperimento, farlo una terza volta sarebbe diventato una prova di pigrizia.
Questa era la nostra idea, a questo punto sarebbe diventata una formuletta da seguire, quindi è diventato importante per noi fare un album che non fosse un concept.
Detto ciò, ora invece abbiamo maturato la capacità di vedere il quadro generale e sicuramente c’è un tema comune all’album: molte canzoni girano intorno all’idea di essere sé stessi, anche a livello macroscopico, noi nella società, ci sono cose che dovremmo fare e a volte ci sono stronzate che ci mettono i bastoni tra le ruote.
Ed è altrettanto vero a livello personale ed individuale, quando penso all’uomo che voglio essere, al marito che voglio essere, ad ogni tipo di relazione personale che voglio mantenere e nutrire nella mia vita; l’ostacolo più grande di solito sono io stesso, questa sembra una cosa che avviene spesso.
Tutte queste idee si raccolgono sotto il concetto che siamo tutti “cacciatori-raccoglitori” [in inglese “Hunter Gatherer”, il titolo dell’album N.D.R.], il fatto che la nostra natura più intima è la stessa immutata dall’Età della Pietra, ma abbiamo cambiato il mondo intorno a noi così rapidamente che ora troviamo difficile trovare il nostro posto; purtroppo non possiamo tornare indietro al passato, dobbiamo guardare avanti e cercare un modo di migliorare.

 

So che Corey Taylor [Slipknot, Stone Sour] è presente su ‘Secret Door’, ma ad essere completamente onesto con te non sono riuscito ad individuarlo ascoltando la canzone, che parte canta?

Fischietta [ride]

Wow, ecco, perché mi sembrava strano non riuscire a riconoscerlo! Come siete finiti ad averlo sull’album?

In passato abbiamo aperto per gli Slipknot, sua moglie è una fan, ha lavorato molto con il nostro produttore, Jay Ruston, hanno lavorato insieme per gli Stone Sour e anche per il suo lavoro solista, quindi ci sono un po’ di motivi diversi per cui le nostre strade si sono incrociate.
Lui era a Los Angeles e ha semplicemente chiesto a Jay, “Posso venire in studio ad ascoltare cosa state facendo? Se alla band interessasse potrei fare qualcosa con loro, se gli va”.
E, sai, cosa fai quando una delle icone della tua generazione si offre di contribuire al tuo album? Cosa fai quando una delle persone che ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui vediamo il Metal quando avevamo 14 anni entra in studio?
Fai quello che fecero in South Park con Jay Leno nella prima stagione, gli fai fare il gatto, o George Clooney può essere… mi sembra che Clooney fosse un cane.
Quindi avevamo Corey e l’abbiamo fatto fischiettare!
Poi c’è anche sul finale, quei “Whooo, whooo, whooo!” siamo io e Corey insieme, e poi canta anche nei ritornelli di ‘Colossus’, cantiamo insieme, ci supportiamo a vicenda.
Ma il suo contributo più grande è dove non lo senti perché stavamo scrivendo, come si chiama, ‘Colossus’, ed era quasi pronta ma mancava qualcosa, eravamo bloccati, e l’abbiamo quasi scartata perché non era al livello delle altre.
Dato che Corey era lì gli abbiamo detto, “Ehi, guarda un po’ questa canzone, se ti viene in mente qualcosa faccelo sapere”. Il giorno dopo arriva con questa melodia, gli accordi che pensava andassero bene per accompagnarla, ed era esattamente quello che ci mancava; l’abbiamo provata, abbiamo finito testi, arrangiamenti, tutto quanto e così ci ha aiutati a finire la canzone.
Quindi questo è stato un contributo decisamente più grande, direi che ci ha aiutati a salvare una canzone.

Interessante! È una scelta strana, avete questo grande nome a disposizione e, invece di sfruttarlo facendolo cantare come ci si aspetterebbe, lo fate fischiettare. Una mossa “molto Avatar” mi verrebbe da dire.

Lo è decisamente!
Ci eravamo detti che non avremmo fatto cose ironiche questa volta come in “Avatar Country”, ma questa era una cosa così divertente per noi che non siamo riusciti a resistere.
Ci siamo pure immaginati un video in cui lui entra in studio, abbraccia tutti, si mette le cuffie, ovviamente ha gli occhiali da sole anche se siamo al chiuso, si avvicina al microfono e… puff! È sul Gran Canyon che fischietta.
Non lo faremo, ma sarebbe stato qualcosa di interessante.
Quindi, sì, l’abbiamo fatto perché ci divertiva, ma tutte le cose che sono successe con lui sono nate in maniera molto naturale e organica mentre era venuto a trovarci, siamo andati a cena insieme a lui e a sua moglie, sai, abbiamo semplicemente passato un po’ di tempo insieme ed è successo.
Sarebbe stato sbagliato altrimenti, una cosa sarebbe stata se avessimo scritto una canzone che funzionava bene come duetto, quindi avremmo dovuto pensare a come realizzarla, ma non avevamo niente del genere; tutte le canzoni erano state scritte con in mente me come unico cantante, quindi forzare qualcosa di diverso solo perché avevamo a disposizione un nome famoso sarebbe stato sbagliato.
Invece abbiamo avuto questa persona davvero carina e simpatica, persona la cui musica abbiamo ascoltato mentre crescevamo, che è venuta a divertirsi con noi. Poi si tratta di una persona molto creativa che è riuscita ad aiutarci ad aggiustare una canzone in modo che potessimo aggiungerla all’album, quindi si tratta davvero di fare le cose nel modo giusto.

 

‘Gun’ è una canzone diversa da qualunque cosa che avete mai fatto prima, una canzone molto tranquilla, non so se possiamo chiamarla una ballad, molto melanconica. Di cosa parla?

È una canzone vulnerabile che parla di vulnerabilità, del dolore che può venire dallo strumentalizzare l’amore.
Lasciare che qualcuno ti si avvicini gli dà la possibilità di farti del male in modi che solo qualcuno in quella posizione può fare; direi che è una cosa rischiosa per quanto riguarda le interazioni umane.
Quindi si tratta di questo e di rassegnazione, e anche di perdita in generale.
In rapporto all’album è un momento per osare mostrare debolezza, e penso che ci sia forza in questa cosa, c’è dolore e forza.
C’è voluto veramente molto tempo per scrivere questa canzone, ho scritto le parti di piano prima che mi trasferissi in Finlandia, quindi circa sette anni fa, e ci ho messo un’eternità a finirla.
Un problema è stato che, come hai detto, non è proprio una tipica ballad, è una canzone lenta e calma, ma in molte versioni precedenti aveva quella cosa da power ballad stile Bon Jovi in cui a metà saltava fuori una chitarra e ogni volta pensavo, “Oh no, l’ho rovinata, ho rotto la canzone”.
Così buttavo via quella versione, aspettavo un anno e ci riprovavo l’anno successivo: “Cosa dovrebbe succedere ora? Batteria!… Oh, no, l’ho rovinata”.
Così ci ho messo sette anni per capire che quella canzone, così come le canzoni pesanti, doveva semplicemente venir lasciata com’era.
Sai, è così difficile e semplice allo stesso tempo.
E’ come fare una canzone pesante, scrivi il riff migliore possibile, pensi a cosa dovrebbe fare la batteria e questo è quanto, per il resto segui questa guida e vedi cosa il riff ti dice di fare.
Gun’ è una canzone così diversa e immagino che sia per questo che si evolveva sempre in qualcosa di sbagliato, non sapevamo come gestire una canzone del genere.
Quindi ci abbiamo messo un po’, ma una volta che ci siamo detti di lasciarla essere sé stessa siamo arrivati a destinazione.

Per ora avete pubblicato solo un video dall’album, per ‘Silence in the Age of Apes’. Mi spieghi il significato del video e, soprattutto, spiegami la scimmia.

Be’, si chiama ‘Silence in the Age of Apes’, quindi avevamo bisogno di una scimmia.
La cosa davvero divertente per me è che abbiamo fatto un video che originariamente era più lungo, la storia sostanzialmente era che c’era un virus.

Oh oh.

Abbiamo filmato il tutto all’inizio dell’anno, quindi tutto questo casino non era ancora scoppiato.
Ma l’idea è nata da… io odio fottutamente Paulo Coelho, ma ha scritto un libro che ho letto molto tempo fa, “Veronika decide di morire”.
Da lì è nata l’idea, se domani scoprissi che ti rimangono due settimane di vita, cosa faresti col tempo che ti resta?
Questo virus, l’idea era dell’arrivo di un virus e che tutti saremmo stati informati allo stesso tempo del fatto che ci rimangono due settimane di vita, e poi il video avrebbe seguito alcune persone diverse per vedere come avrebbero reagito alla cosa.
Il video faceva schifo, la sceneggiatura non era buona, il risultato non funzionava.
Questo è successo mentre stavamo suonando dei concerti in Russia con i Sabaton, proprio in quel momento è scoppiato il COVID e ci siamo resi conto che stava succedendo qualcosa di grosso, “Oh, speriamo di riuscire ad andarcene dalla Russia e tornare a casa”, e ce l’abbiamo fatta il giorno dopo che hanno chiuso gli aeroporti, ma in qualche modo siamo riusciti.
A quel punto dovevamo pensare a come fare un video, perché io vivo ad Helsinki, quindi dovevamo fare un video con io ad Helsinki e tutti gli altri in Svezia, dato che io non potevo ovviamente viaggiare fino a lì.
Quindi l’idea del video è nata da questa limitazione fisica, ma si riconduce al tema dell’album di essere sé stessi, perché penso che tutti abbiamo problemi con lati di noi stessi, o con sentimenti che cerchiamo di reprimere. Facendo ciò, limitandoci, ci facciamo del male.
Questo video è una rappresentazione dell’idea della lotta interna che c’è in noi; questo peluche di una scimmia è come la nostra vera essenza, come la nostra coscienza che ci guarda.
Nel video io ho queste polaroid di quello che cerchiamo di nascondere, questi sentimenti, o pensieri che cerchiamo di negare e di nascondere al mondo.
Io ho tutto sulle polaroid che sono come delle prove, è come un interrogatorio in un poliziesco: la scimmia è la polizia e tu sei il sospettato, “Guarda, ho le prove, questo è quello che stai cercando di nascondere”.
I membri della band cercano di negare, di combatterlo, di far sparire la scimmia, attraversano diverse fasi di negazione finché non possono che accettarlo.

 

Parlando della vostra musica in generale, l’ho sempre sentita come musica molto “fisica”, per così dire, musica che ti fa voglia di saltare, di fare headbanging, e che quindi ovviamente funziona molto bene dal vivo, e questo è vero anche per questo album. È qualcosa che cercate specificamente quando scrivete musica, scrivete pensando all’effetto che avrà dal vivo, o è semplicemente il vostro stile che per caso ha questo effetto dal vivo?

Non direi che ci diciamo, “Ok, questa è una buona canzone per far saltare il pubblico” mentre scriviamo, ma ce lo sentiamo ed è una cosa che va di pari passo con lo scrivere buona musica Metal, secondo me.
Penso che l’essenza stessa del Metal sia la sua fisicità, dovrebbe farti saltare, e anche un concerto per essere giusto, puoi pure fare affidamento su distorsioni e trigger, ma per me l’essenza del Metal è il sentire i muscoli, il sudore e la fisicità.
Questo è quello che mi motiva a spingermi su quelle note così alte e ad urlare, perché voglio sentire che anche il mio corpo sia completamente partecipe a queste sensazioni.
C’è bisogno di quella spinta fisica, sia nei concerti che nella scrittura delle canzoni, e questo si dovrebbe riflettere nel far muovere chi ascolta questa musica.
In definitiva il Metal è musica Folk, non nel senso del sottogenere Folk Metal, ma nel senso che fa stare insieme le persone in maniera quasi tribale, li fa partecipare insieme a qualcosa, e noi forniamo una colonna sonora per questi momenti.
Il Metal è musica da ballo, in un certo senso, ovviamente risale tutto al Rock and Roll e anche a prima, è musica per assembramenti di persone.
Questa musica ha una vera e propria funzione, se dici, “Cazzo, questo riff mi fa venir voglia di muovere la testa” vuol dire che la canzone è buona, quindi le due cose vanno di pari passo.

 

Parlando di concerti dal vivo, ovviamente ora il coronavirus ha incasinato ogni tipo di piano che potevate avere. Cosa pensi che succederà? Molte band hanno cominciato a fare concerti in streaming, a pagamento o gratis, pensi che sia un’opzione sostenibile per il futuro?

Assolutamente no.

E comunque mi dicevi che tu vivi ad Helsinki e il resto della band in Svezia, quindi immagino che una cosa del genere per voi sia ancora più difficile.

Sì, può essere una soluzione divertente, capisco perché alcune band abbiano deciso di fare così, ne ho visti un po’ che mi sono piaciuti, ma non è per noi.
Per me, se non posso sentire l’odore dell’ascella di un altro uomo non è un concerto.
Se non posso vedere il nostro pubblico non è uno show, non è il posto adatto per uno show degli Avatar, preferirei fare un altro video o qualcosa del genere che fare un concerto in streaming, o anche fare qualcosa di più semplice, ho fatto alcuni Q&A, ho fatto live stream mentre presentavamo in nostri video in cui la gente poteva farmi domande, quindi ho fatto cose interattive con internet, ma non ci vedo a fare un concerto in streaming, non mi piacerebbe.
Può essere una cosa piacevole, non ho nulla contro le band che lo fanno, semplicemente non la vedo come un’opzione per gli Avatar perché per vedere un concerto così tanto vale ascoltarsi un album a casa, o guardarsi un video, non sarebbe in grado di rimpiazzare un concerto.
Nel lungo termine penso che torneremo a suonare dal vivo ma comunque noi siamo lavoratori non essenziali, saremo gli ultimi a tornare alla normalità e va bene così, è così che deve andare.
Siamo pazienti e aspettiamo quel momento, e preferisco preservare i concerti per quel momento.

 

Stavo guardando su YouTube video dai vostri concerti negli anni e vedevo che la vostra scenografia non è cambiata molto negli anni, avete aggiunto il trono dopo l’ultimo album, ma a parte quello non ci sono stati particolari sconvolgimenti. State pianificando qualcosa di più elaborato per il futuro?

Ora ovviamente abbiamo dovuto interrompere i lavori alla nostra scenografia live, ma penso che abbiamo fatto un grosso salto in avanti dal punto di vista delle luci, ma allo stesso tempo abbiamo cominciato a rendere le cose più semplici perché penso che quando ci sono troppe cose queste finiscono per mettersi in mezzo a quello che dovrebbe essere il concerto.
Questo si riflette anche in quello che indossiamo, i vestiti sono più semplici, ci sono meno strati così da essere proprio fisicamente più vicini al pubblico.
Quindi c’è stata un’evoluzione in questo senso per rappresentare l’aspetto più diretto e aggressivo del nuovo album.
Questo è quello che abbiamo cambiato, se ai tuoi occhi questo sarà un cambiamento grande o piccolo lo vedremo un giorno, spero, ma alla fine noi siamo chi siamo, non cominceremo a portare elefanti sul palco, capisci?
Sicuramente vediamo il palco in modo diverso, con “Avatar Country” lo spettacolo era pornografico mentre ora voglio fare qualcosa di più erotico, per così dire, qualcosa che faccia succedere cose diverse nella mente dello spettatore.
Con questa filosofia in mente abbiamo dovuto pensare a come sviluppare concretamente il nostro show.

 

Questa era la mia ultima domanda, è stato bello vederti di nuovo e spero che ci si possa rivedere presto anche dal vivo.

Sicuramente, lavati le mani e tutte quelle cose e andrà tutto bene.

Grazie della chiacchierata, buona serata.

Mi ha fatto piacere parlare con te, stammi bene.