Hard Rock

Intervista Deep Purple (Roger Glover)

Di Davide Sciaky - 29 Luglio 2020 - 9:55
Intervista Deep Purple (Roger Glover)

Intervista a cura di Davide Sciaky

You can read the interview in English here.


Ciao Roger, come stai?

Sto bene, grazie, tu come stai?

Anch’io bene, grazie. Come hai passato questi mesi di quarantena?

Sai, tutti ne hanno sofferto, non solo noi.
Noi [Deep Purple] siamo senza lavoro fino all’anno prossimo, questo è un problema, e non sappiamo neanche se l’anno prossimo potremo tornare a suonare.
È una situazione orribile quella che stiamo vivendo tutti.
Io sono rimasto in isolamento per tre mesi e, sai, ho la fortuna di vivere in un paesino in campagna e non faccio che pensare alla povera gente che non vive in campagna, chi vive nelle grandi città in palazzoni, magari costretti in due stanze avendo cinque figli.

Già, è un po’ come ho vissuto io, meno i cinque figli, non è stato molto piacevole.

No, posso immaginare.

 

Parlando di coronavirus, ho visto che l’ultimo concerto che i Deep Purple hanno suonato è stato ad un festival in Messico a marzo quando la situazione stava già peggiorando. Non eravate preoccupati di suonare quello show?

Sì, lo eravamo.
Ma il festival era stato organizzato già da tempo e sembrava okay, la situazione in Messico sembrava abbastanza tranquilla per quanto ne sapevamo.
Mentre ci avvicinavamo all’evento, ora dopo ora le notizie sulla pandemia si evolvevano e io sono partito con ogni tipo di mascherina, disinfettante e tutto questo genere di cose; sull’aereo ho pulito il sedile prima di sedermi.
Quindi sì, eravamo sicuramente consci della situazione e siamo stati molto fortunati a fare tutto senza problemi.

 

Il vostro nuovo album, “Whoosh!”, uscirà il prossimo mese. Mi puoi raccontare il processo di scrittura e di registrazione di questo disco? E, in generale, come funziona il songwriting per i Deep Purple, ed è cambiato qualcosa questa volta?

Direi che abbiamo sempre lavorato allo stesso modo, fin dagli anni ’70, anzi, pure negli anni ’60.
Come disse Ian Gillan, “I Deep Purple sono una band strumentale con un accompagnamento vocale”.
In un certo senso deriva tutto dalla musica che suoniamo, le canzoni, le parole, i testi sono cose a cui pensiamo in un secondo momento.
La band ha bisogno di mettersi alla prova musicalmente, è così che nascono le canzoni… non sappiamo cosa ci andrà sopra, le parole vengono aggiunte per ultime, ed è sempre stato così, quest’album non è un’eccezione.
Ci sono due sessioni di scrittura prima dell’album, la prima è semplicemente una sorta di mischia, suoniamo, suoniamo e suoniamo e le cose cominciano a svilupparsi, proviamo questa e quell’idea, ci vogliono solo nove giorni perché dopo ci si esaurisce a provare così duramente.
Poi nella seconda sessione di scrittura studiamo tutte le idee che abbiamo avuto e scegliamo quelle che sembrano più promettenti, poi c’è una settimana con Bob Ezrin [il produttore N.D.R.] dove gli suoniamo quello che abbiamo prodotto e lui commenta, cambia cose, e poi si va in studio.
Nel momento in cui arriviamo in studio sappiamo cosa dobbiamo fare e le cose procedono molto rapidamente, non passiamo molto tempo in studio.
Registriamo tutti insieme, non lavoriamo separatamente, siamo tutti nella stessa stanza nello stesso momento registrando allo stesso tempo.
Penso che sia impor… abbiamo provato diversamente negli anni ’80, tutti lo facevano, ma è un tentativo di raggiungere la perfezione e la perfezione non soddisfa, è l’imperfezione che dà soddisfazione.

Già, immagino che facendo così perdi…

Perdi l’umanità.

… perdi il lato più grezzo e Rock della musica, diventa troppo clinico.

Esatto, la perfezione non è arte, non c’è umanità.
Voglio dire, potremmo continuare questa discussione parlando dello stato della musica al giorno d’oggi dove tutto è fatto da robot, praticamente, per questo tutta la musica suona uguale.

 

Questo è qualcosa di cui effettivamente volevo chiederti, ogni tanto esce la discussione tra musicisti o giornalisti sul fatto che “il Rock è morto”. Giusto un paio di giorni fa leggevo un articolo che diceva che i dischi Rock che hanno venduto di più nel 2020 sono per lo più compilation e sono di Queen, Elton John, Fleetwood Mac. Magari il Rock non è morto ma penso si possa dire che per band più giovani la situazione non è bellissima, cosa pensi?
Secondo te è perché la musica non è abbastanza buona o è altro?

Be’, non sono un insegnante di musica ma, prima di tutto io non penso in termini di Rock, penso in termini di musica.
Sai, il Rock è musica, ma anche il Jazz, anche la musica orchestrale, anche il Folk e tutto quanto, si tratta sempre di musica e a volte ce ne dimentichiamo mentre siamo così impegnati ad etichettare tutto, si finisce col perdere il contatto con altre cose.
Io non ascolto molte band Rock, e comunque non ascolto molta musica recente, ma non ho mai ascoltato molto Rock, in parte perché è quello che facciamo, suoniamo Rock, perché dovrei ascoltarlo suonato da qualcun altro? C’è sempre il rischio che possa finire per copiare altra gente, e questa è un’altra cosa che non voglio fare.
La musica in generale è diventata più commerciale, tutto è diventato più commerciale al punto che l’umanità e l’abilità naturale di esprimere sé stessi sembra essersi rimpicciolita.

 

Tornano al vostro nuovo album, sono un po’ di giorni che lo ascolto e se dovessi trovare una parola per descriverlo questa sarebbe “vario” perché ci sono tante atmosfere e sound diversi, nonostante ovviamente suoni sempre Deep Purple. Era questo il vostro obiettivo, in un certo senso, quando avete iniziato a lavorarci?

Prima di tutto, noi non abbiamo mai un obiettivo, non pianifichiamo un album, un album è una tela vuota su cui dipingiamo canzoni.
Non sappiamo quale sarà il loro futuro, non ne abbiamo idea, l’unica cosa è che c’è una sorta di silente accordo, un istinto su cosa metteremo sull’album e cosa no.
È difficile definire cosa sia, è solo una sensazione, una sensazione, non importa se è una strana ballad o un… non importa, non siamo ingabbiati dal dover creare un disco che suoni Deep Purple.
Penso che forse ci siamo guadagnati questo diritto essendo in giro da così tanto, sfidare le aspettative è sempre una cosa buona.
Non abbiamo aspettative neanche noi, gli altri hanno aspettative, noi non ci preoccupiamo di queste cose. Noi facciamo quello che facciamo ed esce fuori certa musica, perché dovremmo combattere contro la nostra ispirazione del momento?
Non piacerà a tutti, ma non vogliamo fare colpo su tutti, non vogliamo che tutti ci amino, non vogliamo avere una mega hit, mondiale, enorme ed universale.
Siamo vecchio stile, semplicemente ci divertiamo a scrivere la nostra musica, sono sicuro che a molti non piacerà, ovviamente riceviamo delle critiche, ma non ci interessa.
Ricordo sempre che nei primi tempi c’era la sensazione che la band non seguisse altri, eravamo noi a guidare gli altri.
Devi essere una guida.
Forse parte del nostro successo è proprio questo, non seguiamo tendenze, non ci interessa la moda, siamo determinatamente noi stessi.
Non piacerà a tutti, ma siamo fatti così.

 

Quest’album è il vostro ventunesimo in più di 50 anni di carriera. Immagino che sia una domanda che ti chiedono spesso, ma dove trovate ancora l’ispirazione dopo tutto questo tempo?

[Ride] Questa è una bella domanda, la risposta migliore che ti posso dare è qualcosa che pensai quando avevo otto anni.
Quando avevo circa otto anni, vivevo in Galles, in un paesino, e ogni settimana andavo al mercato in paese e lì c’era un cinema, e fuori dal cinema c’erano questi grossi poster con i nomi dei film e io pensai, “Cosa succederà una volta che avranno finito i titoli dei film?”.
Ora, questa è una cosa sciocca da pensare, è una cosa tipica che potrebbe pensare un bambino, non puoi finire nulla.
Le cose cambiano e si evolvono, ci sono nuovi modi di fare cose vecchie, è così che l’umanità è sempre andata avanti; troviamo nuovi modi di fare le stesse cose.

 

Continuando a parlare della vostra lunga carriera, mi chiedo se e come è cambiato il tuo approccio alla creazione di musica negli anni. Perché, voglio dire, quando inizi a suonare vuoi farcela, vuoi riuscire a vivere di musica, vuoi avere successo. Ora, molti anni dopo, tu sei effettivamente stato parte di una delle band Rock più di successo ed influenti della storia, immagino che questo possa cambiare il tuo approccio alla musica.

Già, questo è come sembra guardandoci da fuori, dal nostro punto di vista siamo semplicemente musicisti che scrivono musica, amiamo quello che facciamo e non vogliamo smettere.
Almeno, io non voglio smettere, la musica è la mia ragione di vita.
Sì, siamo stati fortunati, molto fortunati ad aver avuto una carriera così, nessuno avrebbe potuto prevederlo.
Ma non è difficile continuare, perché quando sei una persona creativa è quello che sei, sei creativo, non è che smetti di essere creativo quando hai successo, in realtà è il contrario.

Immagino che col successo ci siano più aspettative, devi continuare a creare musica.

Sì, ma, di nuovo, non ci interessa fare colpo sulla gente, ci interessa di più colpire noi stessi.

 

Hai detto che non vuoi fermati, ma qualche anno fa, a causa del nome dell’ultimo tour, “The Long Goodbye Tour” [“Il lungo addio” in italiano N.D.R.], alcuni hanno pensato che fosse il vostro tour di addio. Qual è stato il pensiero dietro a quel nome, era una sorta di scherzo o cosa?

All’epoca ci sono stati alcuni problemi di salute nella band e alcuni membri hanno pensato, “Dovremmo fermarci mentre siamo al top”, fermarci mentre eravamo al meglio.
Io pensai che fosse prematuro, ma questo pensiero è rimasto nell’aria.
Non annunceremo la data in cui ci fermeremo, questo è qualcosa a cui sono fermamente contrario.
Fare un grande, spettacolare ultimo concerto è il contrario di quello che voglio che succeda.
Voglio che continuiamo a lavorare fino a che ci fermeremo, e questo sarà quanto, nessun annuncio.
Ma all’epoca c’era una certa pressione perché menzionassimo qualcosa del genere, così Ian Gillan se ne uscì con quel nome, “The Long Goodbye”, e penso che sia un gran titolo, quanto lungo è “lungo”? Chi può dirlo?
Se continua a lungo che male c’è?
Quindi eccoci qui e neanche noi conosciamo la risposta, quando finiremo, viviamo giorno per giorno.

 

Ecco, questa è un’altra cosa che ti volevo chiedere, se annuncerete il tour finale come tale una volta che avrete deciso che sarà davvero l’ultimo, perché immagino che sia una grossa responsabilità annunciare una cosa del genere, poi se non appendi davvero lo strumento al chiodo finisci per sembrare ipocrita…

Già.

… o sembra che abbia finito i soldi.

Sì, esatto.
Noi siamo chi siamo ora, non siamo chi eravamo allora.
E chi siamo oggi, sai, ormai siamo sulla settantina e ci avviciniamo alla fine, questo è ovvio, ma non vogliamo che finisca e non sappiamo quando finirà.
Potrebbe essere anche già finita: siamo senza lavoro per un anno e non c’è la certezza che il prossimo anno potremo tornare sui palchi perché il mondo è in questa situazione orribile.
Il pianeta sta cadendo a pezzi, è molto disturbante, spaventoso e preoccupante, è difficile rimanere ottimisti.

 

Ho visto il libretto del disco e ho notato che Bruce Payne non è menzionato. Lui è stato il tuo manager ed il manager dei Deep Purple per molti anni, cos’è successo?

Abbiamo raggiunto la fine del percorso produttivo con lui come manager.
È triste, Bruce è uno dei miei migliori amici, parliamo ancora, siamo ancora amici, ma abbiamo sentito il bisogno di cambiare management e così abbiamo fatto.
Questo non cambia in alcun modo la band, la musica della band.

 

“Smoke on the Water” è una delle canzoni più grosse del Rock, la prima che molti imparano a suonare, la canzone che qualcuno sta sempre suonando ogni volta che entri in un negozio di strumenti. Ti ricordi il momento specifico, se ce n’è stato uno, in cui hai realizzato quanto era diventata importante questa canzone?

Sì, quando l’abbiamo registrata non avevamo idea di cosa sarebbe successo, infatti abbiamo addirittura rischiato di non includerla nell’album.
Sai la storia di come abbiamo registrato “Machine Head”? Perché la canzone è parte integrante della storia.

Sì, eravate a Montreux…

Il casinò in fiamme e tutto quanto.

Sì, esatto.

In un paio di giorni dall’incensio Claude Nobs, uno svizzero che ci aiutava con tutto, ci affittò un piccolo teatro vicino e noi rimanemmo lì per un giorno, registrammo molto rapidamente un pezzo strumentale e non avevamo idea di cos’era, stavamo registrando quando la polizia ci fermò perché era passata mezzanotte e stavamo tenendo sveglio tutto il paese.
Non potevamo registrare lì e cinque, sei giorni dopo finimmo in questo hotel che era stato chiuso e registrammo lì, registrammo ‘Highway Star’, ‘Lazy’, ‘Pictures of Home’ e tutte le altre e ci accorgemmo che ci mancava una canzone, così pensammo, “Che ne dite di quella jam, quella cosa che abbiamo suonato in quel piccolo teatro?”.
Ci pensammo su, “Perché non scriviamo un pezzo su quello che ci è successo qui?” e così ci dicemmo, “Va bene, mettiamola nell’album”.
Non pensavamo che sarebbe diventata la canzone che è diventata, sono stati altri a renderla un successo, il pubblico se vuoi, certi DJ hanno cominciato a mandarla in radio e quando uscì il disco live, quando uscì “Made in Japan”, la versione dal vivo della canzone, allora realizzammo che ‘Smoke on the Water’ era qualcosa di speciale, non lo sapevamo prima.
Magari è proprio questa la chiave, la scrivemmo senza pensare: se cerchi di scrivere una canzone per avere successo non ce la farai.
Noi scrivemmo quel pezzo istintivamente, molto rapidamente, di getto… boom! Non lo sapevamo.
Ripensandoci ora e cercando di analizzarlo, puoi vedere la forza di ‘Smoke on the Water’, il riff fantastico, è molto difficile scrivere riff che suonino così originali, puoi lavorare solo fino ad un certo punto con i riff, ma forse no, forse si può fare di più con i riff e quello fu uno di questi momenti.
La canzone, anche se scritta linearmente, è come una storia e c’è un certo mistero, è intrigante.
Mi ricordo che quando ero nei Rainbow, anni fa, andai a San Diego a fare un’intervista in radio ed il tipo chiese, “Roger Glover, Rainbow. Dimmi Roger, sei stato in altre band prima dei Rainbow?”.
Io gli dissi, “Sì, ero in una band chiamata Deep Purple” e lui, “Oh, i Deep Purple! È vero che avete dato fuoco ad un’isola?”.

Oddio [ride].

Parola per parola, me lo ricordo chiaramente perché era una domanda così ridicola!
Già [ride] e mi fece pensare, io sono anche autore di testi, amo i testi che hanno più significati, e anche se non c’era nessun significato nascosto dietro a quella canzone, in qualche modo le parole hanno un che di misterioso.
Quindi forse la risposta sta anche qui, non saprei, è difficile analizzare queste cose.

È una cosa a cui avevo pensato mentre scrivevo queste domande, è una cosa che è successo anche ad altre band, mi viene in mente ‘Paranoid’ dei Black Sabbath che anche fu scritta in cinque minuti.
Quindi, forse quando ci si muove senza pensare troppo, in modo genuino, forse è così che nascono le hit più grosse.

Penso che il nostro modus operandi sia che non sappiamo quello che stiamo facendo, semplicemente andiamo avanti facendo quello che ci piace.
Tempo fa mi chiesero, “Come mai non scrivete più canzoni come ‘Highway Star’?”, io dissi, “Lo facciamo, solo che non suonano come ‘Highway Star’, ma anche quando scrivemmo ‘Highway Star’ non sapevamo cosa stavamo scrivendo”.
Quando scrivi una canzone non sai mai cosa potrà diventare, quindi semplicemente vai avanti seguendo l’istinto.
Hai ragione, quando il cervello prende il sopravvento e cominci a pensare troppo a quello che stai facendo invece di seguire l’istinto c’è un cambiamento.
L’istinto è una cosa molto potente, la spontaneità è una cosa molto potente, l’abbiamo sempre creduto, la maggior parte di quello che facciamo nasce dalla spontaneità.
Non arriviamo mai con canzoni finite, se arrivassi ad una writing session con una canzone finita, “Ehi ragazzi, ho questa canzone, ho scritto tutto, cosa ne pensate?”, non finirebbe bene perché non sarebbe una canzone dei Purple, sarebbe una canzone di Glover.
Le canzoni dei Purple nascono dall’incontro di cinque menti, non puoi farlo da solo.
Be’, non dico che tu non puoi farlo [ride] noi non possiamo.

 

Dato che hai menzionato i Rainbow, qualche anno fa Ritchie Blackmore ha riformato la band, e ovviamente tu hai avuto un ruolo rilevante nel gruppo considerando che compari su quattro degli otto album in studio pubblicati. Mi chiedevo se sei stato contattato per far parte di questa nuova lineup, o se comunque ti sarebbe piaciuto farne parte?

La risposta è no ad entrambe le domande.
Non ho più parlato a Ritchie da quando ha lasciato la band [i Deep Purple, nel 1993 N.D.R.].
Questa è stata una sua scelta, quindi… io sono un grande fan di Ritchie comunque, penso che Ritchie sia un musicista meraviglioso, e sono più che grato di essere stato parte di una band insieme a lui, anzi, di due.
E’ stato fantastico, è stata una parte fantastica della mia vita che ho amato ma, sai, ci sono cose che succedono, si finisce a percorrere percorsi diversi e gli auguro il meglio per quello che fa.
Ma ora stiamo percorrendo strade diverse.

 

Dall’inizio della tua carriera molto è cambiato nell’industria musicale: dal vinile, al CD, alla musica digitale, ora c’è una grande influenza di Internet, Spotify, e via dicendo. Cosa pensi che sia decisamente meglio nell’industria facendo un confronto con quando hai iniziato a suonare, e c’è qualcosa che vorresti non fosse cambiato da allora?

[Ride] Non ci ho mai pensato, ma…
La musica e lo sport negli anni ’60 e ’70 erano le uniche due vie di fuga: per scappare dalla povertà potevi diventare uno sportivo, un calciatore, o potevi diventare un musicista in una band, non c’erano altre alternative.
Quindi diventò come una religione, tanto per i fan quanto per i musicisti, la musica significava così tanto per tante persone.
Non tanto tempo fa ho sentito dire, “C’era un tempo in cui una canzone poteva dominare il mondo”, e questo non può succedere più, semplicemente non può succedere.
Voglio dire, se succede non vale la pena neanche pensare che sia una buona canzone, sarà giusto una nuova canzoncina orecchiabile.
Lo streaming e tutta l’industria gira solo intorno ai soldi, mentre negli anni ’60 non era così.
Certo, i soldi hanno sempre avuto un loro ruolo, ma l’impulso che ti spingeva a fare musica veniva dal cuore, non dal portafogli.
E penso che l’intera idea di celebrità sia disgustosa, ammirare qualcuno per quello che fa è una cosa, ma non è più una religione, non c’è più un messaggio, negli anni ’60 anche la nostra semplice esistenza era un messaggio.
Ora non c’è un messaggio, noi siamo chi siamo, prendere o lasciare.
Devi fare così con la vita, è quello che è, prendere o lasciare.
Devi, in un certo senso, adattarti ai tempi.
Certo, ci piacerebbe fare un singolo in mono su vinile [ride] e infatti ci abbiamo anche provato negli anni ’70 con ‘Strange Kind of Woman’, pensavamo ancora, “Registrare in mono è ancora una gran cosa, facciamo un singolo in mono”, e ci provammo ma la casa discografica disse, “No, non abbiamo neanche più la strumentazione per poterlo fare”.
La cosa frustrante è che c’è dell’ottima musica in giro, ma ora la musica è diventata Rock, e Jazz, e Folk, ci sono tutte queste etichette, e queste etichette si sono evolute e ora ci sono migliaia di sotto-etichette e in qualche modo tutto è diventato nicchia.
Io amo tutta la musica, non amo solo un tipo di musica, per me si tratta sempre comunque di musica: l’unica differenza è se ti piace o meno.
E’ buona musica o non lo è, ci sono opinioni diverse, se a qualcuno piace qualcosa e a te no è normale, non puoi convincere tutti.
Ovviamente i Deep Purple sono diventati un nome da cui la gente in un certo senso sa cosa aspettarci, ma cerchiamo di sfidare le aspettative.

Sono d’accordo con te, anch’io penso che la gente sia un po’ troppo ossessionata dalle etichette, esce una nuova canzone e la discussione è “Oh no, questo suona troppo Prog anni ’70, erano più Prog anni ’80 prima…” mentre la vera domanda dovrebbe essere… è una buona canzone?

Esatto.
Per noi sono tutte canzoni, le canzoni sono il carburante che alimenta la macchina.
Senza le canzoni puoi suonare riff, puoi urlare un po’, ma quella non è una canzone.
Immagino si possa dire che siamo vecchio stile in questo senso, noi scriviamo canzoni, non abbiamo obiettivi, vogliamo semplicemente esprimere noi stessi.
Non vogliamo creare delle hit, non vogliamo avere successo, anche perché il nostro successo è nato dal fatto che non l’abbiamo mai cercato.
Mi ricordo che quando ero negli Episode Six, la band in cui suonavo con Ian Gillan prima dei Purple, con gli Episode Six avremmo registrato qualunque cosa pur di avere una hit, volevamo una canzone che finisse al primo posto delle classifiche, e provammo a scrivere nove, dieci singoli e nessuno ebbe successo.
Quando entrai nei Purple era il contrario, l’istinto primario della band era, “Facciamo quello che ci va”, e le probabilità di avere successo erano minime perché la BBC all’epoca non avrebbe mai trasmesso niente di quello che suonavamo noi.
Invece non è stata esattamente una missione suicida, è finito per essere il contrario.
Senza voler avere successo abbiamo finito per trovarlo.

Come dicevamo prima, andando col cuore invece che col cervello, senza pensare troppo.

Sì, esatto.

 

Fantastico, questa era la mia ultima domanda, ti ringrazio per la tua disponibilità, è stato un piacere parlare con te.

Grazie, è stato un piacere anche per me, vi ringrazio per il supporto, grazie mille.
La cosa interessante delle interviste è che ti vengono fatte domande a cui non sai una risposta.
In un certo senso è un momento di introspezione per me quanto lo è per la vostra rivista, radio, TV o quello che è.
E’ un momento di scoperta di sé stessi quando mi chiedono cosa penso di certe cose, perché sono domande che io non mi chiedo mai.

Questo è un modo interessante di vederla, non ci avevo mai pensato.
Ovviamente per me poi la sfida è chiederti cose che non ti ha mai chiesto nessuno…

Giusto! [Ride]

… altrimenti finirebbe per diventare noioso per entrambi.

Mi ricordo che io e Ian Gillan fummo intervistati ad un programma televisivo in Inghilterra, penso fosse negli anni ’80, e la conduttrice, non mi ricordo il suo nome, chiese, “Allora, cos’è questa storia di “Smoky Water”?”, questa era l’intera domanda! [Ride] Quindi, grazie per non avermi fatto quella domanda!

Grazie ancora e buona giornata!

Grazie, lo stesso a te, stammi bene!

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