Heavy

Intervista Omen (1986)

Di Stefano Ricetti - 17 Giugno 2010 - 0:10
Intervista Omen (1986)

Intervista agli Omen da parte di Piergiorgio Brunelli tratta dal magazine Rockerilla numero 69 del maggio 1986. Parola al leader di sempre, ossia il chitarrista Kenny Powell, e al bassista Jody Henry.

Buona lettura,
Steven Rich

 

Omen, un nome tutt’altro che rassicurante. Immagini di esseri malvagi albergano nella tua mente e sul tuo capo una scia insanguinata pende come spada di Damocle. Omen, un nome di spicco nell’ambito delle cult-bands californiane. Dietro a loro, la potente arma della Metal Blade, la più famosa delle etichette metal indipendenti della West Coast. Gli Omen hanno alle spalle due albums, il secondo (Warning of Danger) è dell’ottobre scorso, piuttosto diversi l’uno dall’altro. Trattasi di band dedita al thrash metal, o di band chiaramente ispirata ai riffs degli Iron Maiden? Nel dubbio, basta chiedere.

Kenny Powell — Non siamo una speed band come il primo album può far credere! “Warning” rispecchia di più quelle che sono le caratteristiche della band: è heavy, ma molto più variato. E’ un prodotto più maturo frutto della progressione della band.

Jody Henry — L’imparare a conoscerci l’un l’altro è stato molto importante. Il primo album è stato fatto molto in fretta. La band era stata formata solo sei settimane prima della pubblicazione, scrivemmo tutto assai in fretta e registrammo altrettanto in fretta.

KP — “Warning” è stato più ponderato ed abbiamo avuto la possibilità di sfruttare al meglio gli stili individuali di ogni membro della band.

“The Open” è il titolo di una trilogia di libri (e di susseguenti films) che in USA ed Inghilterra hanno fatto perdere il sonno a più di una persona. C’è qualche connessione con la vicenda di Damien Thorn, il figlio del demonio?

KP — E’ un grosso equivoco, non ha nulla a che vedere col satanismo o cose dei genere. Tutti noi abbiamo visto il film, ma non c’è riferimento ad esso. Più semplicemente si tratta dell’unico nome su cui tutti non abbiamo avuto niente da ridire. La parola vuole dire premonizione e non deve essere necessariamente essere collegata con qualcosa di malvagio. A volte, ottiene una cattiva pubblicità e questo ci può danneggiare, ma non ci possiamo fare nulla.

Avete avuto dei problemi?

JH — No, non proprio, la gente crede che siamo una “satanic-band”, tutto lì.

La copertina del primo album poteva esser facile appiglio per questo genere di argomenti.

KP — Odiamo profondamente quella copertina, ma l’abbiamo dovuta accettare, perché non avevamo tempo, era l’unica che avevamo ed era già stata pagata. Non avevamo scelta. Sono errori che, a volte si pagano con etichettature difficili da togliere.

JH — Non era qualcosa di intenzionale e siamo perfettamente consapevoli del tipo di idee che la gente si può fare di noi. L’artista che disegnò la copertina si rifiutò di farci vedere il risultato prima della fine.

KP — Eravamo un po’ troppo naif a quel tempo e non avevamo esperienza in questo genere di cose. Da allora abbiamo imparato molto: fu un dura lezione.

 

Nella foto: la copertina dello stranamente, mai citato a chiare lettere nell’intervista, Battle Cry, il primo, IMMENSO album degli Omen
 

Esperienze precedenti che avrebbero potuto aiutare?

KP — Io e Jody ci conosciamo da parecchio tempo, per anni assieme a Steve abbiamo cercato di formare una band valida, ma senza successo: non riuscivamo e trovare un cantante che ci soddisfacesse. Così me ne sono andato per un po’ a suonare con i Savage Grace che mi avevano offerto un posto. Steve, a sua volta, si unì ad una band in cui suonava J.D. ed una sera ci invitò ad una prova. Ci piacque il suo modo di cantare, da lì a formare gli Omen ci volle assai poco. Tutto successe in poco tempo, non ci fu tempo per imparare.

C’è ancora spazio per bands come voi in USA?

KP — E’ sorprendente la quantità di dischi che una band come gli Slayer riesce a vendere in questo paese, per cui credo che ci sia spazio. Mi sorprende che lo facciano perché quando li ho sentiti per la prima volta non credevo che potessero avere un mercato. Abbiamo suonato con loro un paio di volte quando ero nei Savage Grace e non riuscivo a capirli per niente. Il fatto che le radio non li suonino non c’entra, la popolarità di bands come noi non si basa su quello, è tutto a livello di college e concerti.

JH — Non siamo molto al corrente degli andamenti specifici di ogni radio station della West Coast, perché siamo pochissimo a Los Angeles, passiamo quasi tutto il tempo on the road. Non abbiamo più una casa, ma solo camere di motels.

Risentite in qualche modo del fatto di essere accasati con una etichetta indipendente?

KP — Forse in passato, ma negli ultimi dodici mesi la Metal Blade è diventata grossa. Il terzo album che registreremo in estate sarà distribuito dalla Capitol, per cui le cose stanno migliorando nettamente a livello di distribuzione.

JH — La cosa importante è che rimarremo con una etichetta indipendente e non saremo costretti ai compromessi che le grosse case discografiche spesso richiedono. Sarà una situazione ideale.

 

Certe bands, come gli Iron Maiden, non hanno fatto il sold-out dappertutto, e se non ci riescono loro…

JH — Noi non siamo esattamente commerciali, come non lo sono loro. Vogliamo essere popolari, ma non vogliamo cantare nessun “I Wanna Rock”. Non abbiamo intenzione di scrivere nulla che non ci piace solo per fare soldi. Fino ad ora siamo riusciti nello scopo. Se volessimo diventare ricchi non saremmo in una band come gli Omen.

Sicuramente sarebbe una vita più rilassante.

JH — Dopo un po’ perdi la cognizione del luogo e del tempo. Incontri di gente che hai conosciuto un anno prima che ti chiede se ti ricordi di loro, al ché ti chiedi quante persone hai incontrato nel frattempo in situazioni simili… come si fa a ricordare tutti?

KP — Non è mancanza di rispetto. In un certo senso è bello perché non riesci mai a conoscere bene la gente e, pertanto, non riesci ad odiarli veramente: è divertente.

JH — La vita privata è un casino: io non ricordo più che faccia ha mia moglie…

KP — E’ tutto molto bizzarro!

Che tipo di stage show avete?

KP — La cosa più interessante è il serpente, ispirato alla copertina di “Warning”. Purtroppo è così alto che,ci riesce difficile il più delle volte il farlo rientrare nell’altezza dei locale. Non sappiamo se sarà possibile portarlo con noi in Europa. Abbiamo speso una fortuna in quello scenario. E’ gratificante ed ispira molta confidenza in più.

PIERGIORGIO BRUNELLI

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti