Intervista Skanners (Claudio Pisoni)

Sabato 10 maggio, in occasione dello show degli Skanners a Isola Rock [qui il nostro report, n.d.a.], abbiamo incontrato Claudio Pisoni, storico cantante della formazione altoatesina. L’intervista si è presto trasformata in una sorta di chiacchierata tra vecchi amici, grazie soprattutto allo spirito, all’onesta e all’umiltà di un immenso Claudio Pisoni. Eccovi quindi il resoconto della nostra chiacchierata.
Buona lettura!
Intervista a cura di Marco Donè
Ciao, Claudio, sono Marco di Truemetal.it. È un vero piacere averti ospite sulle nostre pagine. Come stai?
Ciao, Marco! Guarda: ti direi di aspettare le analisi, ma comunque tutto bene.
Eh… Di recente hai affrontato un periodo in cui hai dovuto combattere. Hai superato questo momento e sei tornato con una grandissima energia, tanto che hai già iniziato a calcare i palchi. Questo percorso, questa battaglia che hai superato ti ha cambiato? Come vivi l’approccio con la musica, ora?
Allora: quasi due anni fa non dovevo più esserci. Mi sento quasi un miracolato. È stata dura, prima di tutto a livello psicologico. Sai, quando ti dicono che hai un cancro, maligno… La prima domanda che ho fatto è stata: «Per quanto ne ho?». E invece è andata bene. Nella sfiga è andata bene. Ho perso un rene, nell’operazione ci sono state complicazioni gravi e lì ho rischiato di andarmene. Dico sempre: o è il tuo momento o resti qui. Per questa cosa sono rimasto fermo un anno, ho dovuto fare della fisioterapia addominale. Io l’addominale lo uso per cantare, quindi ho avuto molto dolore. Piano piano, però, con la mia testa dura, da “crucco”, mi sono dato da fare. Il mio primo concerto, quello del ritorno in scena, è stato un anno fa, con i Tygers of Pan Tang. Era il 30 marzo e lì ho rivisto la luce. Sul palco, ovviamente, adesso me la godo ancora di più, la prendo come un regalo, mi è stata data una seconda possibilità. Cerco di sfruttarla al meglio e la vivo giorno per giorno. Va bene così. Sempre positivo, eh. Io non ho mai pensato di morire. Anche quando mi hanno dato la notizia, ho pensato: «Non posso morire così, adesso». Mi son detto che dovevo fare l’operazione, affrontare tutte le difficoltà: il mio obiettivo era farcela e ce l’ho fatta. Ovviamente mi sto curando, sempre, però va bene così.
Questo è davvero un bel messaggio: il pensiero positivo…
Non bisogna mai arrendersi. Ho scritto anche un brano con questo messaggio: non bisogna mai arrendersi, è troppo facile arrendersi. Quindi: straight on, avanti dritto!
Questo messaggio, il concetto di aver avuto una seconda possibilità mi porta a fare una riflessione sugli Skanners: voi siete una delle band italiane più longeve, se non erro siete attivi dal 1982…
Quarantadue anni!
Complimenti… Beh, siete una band nata in piena era analogica, avete vissuto il passaggio da analogico a digitale e ora siete immersi nella dimensione digitale…
“Dirty Armada” e “Picture of War”, i primi due album, erano analogici. Ho io le bobine a casa e pesano sei quintali [ride, n.d.a.]!
I vostri primi dischi erano in vinile, poi si è passati al CD e adesso il mondo è completamente cambiato. Come hai vissuto l’evoluzione dei tempi?
Adeguandomi al cambiamento. Rispetto agli anni Ottanta adesso è molto meno faticoso fare un album. All’epoca dovevi davvero saper suonare e cantare bene. Sentivi ogni piccolezza, ogni sbavatura. Oggi chiunque può cantare, chiunque può suonare. La verità è questa. Con il famoso autotune, questa macchina infernale che sta mietendo vittime, è sotto gli occhi di tutti. Per dire: ci sono tanti cantanti che usano l’in ear monitor. Io non lo uso, non ne ho bisogno, vado alla vecchia, vado direttamente da monitor. Ho provato l’in ear ma mi autodisturbo. Vivo la cosa un po’ da mascalzone, un po’ da diciassettenne. Ma non è mai cambiata e forse è proprio questa la formula magica degli Skanners: prenderla un po’ da ragazzini, avere queste… le pallottole dentro, pensare al futuro, al brano, a come cantare. Ci diciamo di andare sempre avanti, non è mai cambiata. Non so come spiegarmi, spero di aver reso l’idea.
L’hai resa, eccome! E da qui direi di provare a ripercorrere la carriera degli Skanners, partendo dai primi due dischi: “Dirty Armada” e “Pictures of War”. Di quel periodo che ricordi hai? Cosa porti con te?
Un periodo bellissimo! Siamo stati la prima metal band in Italia ad avere una major. Nessuno ai tempi ce l’aveva, nemmeno i Vanadium, se non ricordo male. Trovavi i dischi e le cassette degli Skanners negli autogrill [ride, n.d.a.]. Era una distribuzione davvero forte. Noi ci siamo arrivati facendo un provino, facendo ascoltare… Se ripenso a quegli anni sembra tutto così incredibile. Io dico che nella vita sono stato un predestinato: vivendo in una città isolata come Bolzano, in Alto Adige, dove tutti pensano: “Lì son mezzi crucchi”. Sai, una città lontana da Milano, Torino, Roma… Arrivare da una città così e firmare con la CGD di Milano, le band milanesi si chiedevano: «Ma questi da dove cazzo vengono, ‘sti montanari crucconi». Poi ascolti i brani, li riascolti oggi, e dici: «Però, qualcosa da dire ce l’ha…».
Guarda: proprio stamane stavo riascoltando “Dirty Armada” e posso solo darti ragione…
E se pensi che un album così è stato pubblicato nel 1985… Per dirti: mio figlio, quando lo ascolta, mi dice che è un album della madonna e mi chiede come sia riuscito a comporlo. Boh, sinceramente non lo so, i pezzi uscivano così. E sono ancora convinto, tutt’oggi, che i pezzi, quelli che tirano, escono subito. E non per forza devono essere registrati bene: magari li registri in sala prove, suonati anche solo con una voce e una chitarra, ma già lì devono avere tiro. Se questo accade, allora significa che quel pezzo funziona, che avrà potenziale. I nostri brani più iconici sono nati così. Per dire: a volte esco in bicicletta e mi viene in mente un giro. Mi fermo, lo canto nel telefono e poi lo faccio ascoltare a Fabio. Lui, ovviamente, mi dice che sono un malato mentale [risate, n.d.a.]. Ma è veramente così, eh. Io non sto tanto a studiare, sì ho studiato canto, un po’ di mio ce l’ho, ho studiato la tecnica vocale, questo sì, ma ce l’hai o non ce l’hai. Quando salgo sul palco divento energia, non sono io, sono energia. Energia che diffondo, che trasmetto. Poi scendo dal palco e ritorno Claudio, ma sul palco non son Claudio, sono energia .
Per certi aspetti un concetto pirandelliano…
È come se mi staccassi dal mio corpo. Ma credimi: non è mai cambiata. A diciassette anni era così, a sessanta è così. Ho preso dalla mia povera mamma: lei era mezza artista e raccontava sempre di come il figlio più piccolo, che ero io, avesse preso da lei. Ero un po’ sbalinato [risate, n.d.a.].
Da quei primi due dischi sono usciti dei pezzi come ‘Tv Shock’, ‘Everybody’s Crazy’, ‘Fight Back’ che sono diventati degli inni del metal italiano, e non solo. Che effetto ti fa tutto questo?
Mi fa davvero piacere. Ci sono state anche band che hanno suonato delle cover di brani nostri, mi hanno chiesto se potessero farlo e a me ha fatto solo piacere. C’è addirittura un sito, Metalparty.it, che mi ha chiesto il perché del nostro famoso “Metal Party”: perché per noi è sempre un party. Vai a vedere gli Skanners ed è una festa, casino. Sai, tutti noi abbiamo problemi, pensieri ma se vai a vedere gli Skanners i problemi ti passano. Questo è quello che vogliamo. Quando abbiamo suonato a Wacken è stato bello perché il tour manager dei Saxon mi si è avvicinato e in tedesco mi ha detto: «La differenza tra gli Skanners e le altre band… come bravura siete tutti lì ma voi fate divertire. Si vede che sul palco vi divertire e questo fa la differenza». Ha capito il nostro approccio, la magia tra noi e i fan. Quando saliamo sul palco è come se volessimo dire: «Ragazzi vi vogliamo bene, siamo qui per farvi divertire. Mollate tutti i problemi, adesso ci sono gli Skanners, adesso apritevi con la testa». Insomma: metal party!
In quel periodo, nei primi due dischi, avete suonato più all’estero che in Italia. È stata una scelta voluta o una scelta forzata?
Boh… è andata così! Poi, sai, abitando vicino al confine è facile avere contatti tra Austria e Germania. Facile… Facile tra virgolette perché è davvero un’altra realtà. Negli anni ottanta, poi, c’era molto dislivello. Le band tedesche erano già a un livello alto mentre in Italia eravamo all’età della pietra e noi abbiamo dovuto metterci alla pari di quelle band lì. E abbiamo visto che non eravamo tanto diversi da loro, anzi: c’erano band che non volevano nemmeno suonare dopo di noi, dicevano proprio: «Noi no dopo gli Skanners». Quando suonavamo in Italia, in zona Bergamo o Milano, i palchi erano di un livello più basso. Ora, invece, si è tutto parificato. Ci sono band italiane valide, che sono anche riuscite a sfondare. Ci sono situazioni, come quella di stasera, in cui il palco, l’impianto è davvero valido. E questo fa piacere, significa che siamo cresciuti. Per rispondere alla tua domanda, diciamo che è venuto tutto per caso. Ovviamente ci siamo dati tanto da fare. Avevamo un manager tedesco e questo ha reso tutto più facile. E così abbiamo suonato in Germania, Austria, Svizzera… Poi, sai, noi parlavamo anche tedesco. Ci chiedevamo come mai parlassimo tedesco. Eh, in Germania non sanno che da noi… [ride, n.d.a.]. E se in Germania parli tedesco è fatta, li conquisti.
Dopo questo periodo c’è stata la fase centrale, come io la definisco, con “The Magic Square” e “Flagellum Day”.
Sì, e se posso dire una parolaccia è stato un periodo di merda. Sul finire degli anni Ottanta è arrivato il grunge e l’heavy metal risultava datato. Ci siamo fatti una decina di anni di pub, suonavamo davanti anche a cinque-sei persone. Con l’uscita di “The Magic Square”, che ha tirato un po’ su la baracca, abbiamo fatto un tour con i Deep Purple e da lì è uscito il nostro live e poi abbiamo fatto “Flagellum Day”, con cui abbiamo ripreso a calcare i palchi che ci spettavano.
Il passaggio successivo, dopo “Flagellum Day”…
Un gran album quello.
Io lo adoro.
Stasera un pezzo lo spariamo!
Insomma, dopo qualche anno arriva “The Serial Healer”, il disco del ritorno, che interrompe una lunga pausa, almeno in studio. Questa è quella che io definisco l’epoca recente degli Skanners, con “Factory of Steel” e “Temptation” che hanno dato continuità in studio agli Skanners. Cosa ci racconti di questo periodo?
“The Serail Healer” è bellissimo. Avevamo firmato per la My Graveyard Production ed è prodotto a un livello davvero elevato, un album che aveva riscosso davvero tanti consensi in Germania e con quel disco siamo approdati a Wacken. Lì, a Wacken, non entri a caso: ci entri se ti conoscono, se hai un prodotto di un certo livello, se, se, se… Non abbiamo pagato, ci tengo a dirlo. Non entro in questo discorso perché ultimamente è un po’ uno schifo. Ma è sempre stato così, inutile che mi vengano a dire… è sempre stato così. Il pay to play c’era, c’è e ci sarà sempre. Poi: cambio un attimo discorso, scusami, poi la chiudo: non critico le band che hanno un badget e decidono di spendere: è come fare un investimento d’azienda. Se hai dieci o ventimila euro da spendere, li spendi facendo un investimento. Da quel tour, poi, nascono tutta una serie di date, hai capito… Noi non abbiamo mai pagato, lo sottolineo con orgoglio, non abbiamo mai acquistato un slot, anzi, in più occasioni ci hanno pagato, e questo è un vanto. È stato capito il valore della band, l’impegno, la serietà del gruppo. In quegli eventi vogliono band serie, che non rompono le balle, che stanno nei tempi, che suonano. Abbiamo fatto un tour in Russia con Doro: è stato stupendo. Lei mi ha confidato che siamo stati il suo miglior supporto, di tutto il tour: suonavamo, rispettavamo i tempi, scaldavamo il pubblico. Pensa che nell’ultima data abbiamo suonato un quarto d’ora in più. È venuto il tour manager e ci ha detto che avevamo un quarto d’ora in più, allora vuol dire che va bene. Questo ci tenevo a dire. E adesso non ricordo più la domanda [ride, n.d.a.].
Diciamo che ti avevo chiesto quali fossero le emozioni dell’ultima fase ma credo che le abbiamo approfondite a dovere…
Mah, bellissime. Ovviamente a quest’età il palco me lo godo in maniera diversa. Sono ancora più padrone del palco, è tutto un divertimento. È stato un periodo con davvero tante emozioni. “Factory of Steel” è stato un grande disco, forse è andato ancora meglio. Forse degli ultimi lavori è quello che ha venduto di più. È stato ristampato già tre volte in Germania, anche perché lì avevamo un canale che lavorava con Wacken, piacevamo da matti a un proprietario di un’agenzia grossa. E con il fatto che parliamo tedesco è andata ancora meglio. Hanno organizzato un tour tra Norimberga, Francoforte e poi su, in alta Sassonia. È stato tutto molto bello, con palchi come questo. C’erano band tedesche. Lì abbiamo fatto un figurone. Davvero un bellissimo periodo. Poi abbiamo fatto “Temptation”, registrato in Germania, in uno studio di un mio caro amico mio, Bobby Altvater, e l’abbiamo mixato sul Lago di Como da un altro nostro amico. Dopo “Temptation” è ritornato il vecchio batterista e subito dopo ho avuto un po’ di problemini io. Posso dirti che abbiamo già scritto praticamente un nuovo album e che stiamo lavorando tanto. In questo 2025 faremo un po’ di date dal vivo e a breve andremo a suonare in America.
La domanda successiva riguarda proprio i vostri show: abbiamo parlato tanto dei vostri live e per me è proprio questa la dimensione dove gli Skanners raggiungono l’apice della loro espressione artistica.
Live gli Skanners valgono doppio che in studio. Ma sono proprio le band anni Ottanta a essere così. Io soffro in studio. Vero: vado in studio, magari canto bene, ma live è come se mi mollassi la catena, ti sbrano.
E si nota.
Ma gli Skanners hanno sempre puntato sullo show: saliamo sul palco sapendo che dobbiamo fare uno show, non c’è niente di improvvisato. In quel preciso momento deve essere così, quando dico una determinata cosa dobbiamo fare questo… A volte, però, gli altri si incazzano perché improvviso [ride, n.d.a.]. Quando li guardo e rido è un segnale per dire che sto improvvisando. Loro capiscono ma mi mangerebbero. Dai, siamo una grande famiglia, facciamo le puttanate come i bambini dell’asilo.
Per gli Stati Uniti avete preparato un set speciale?
Cercheremo di toccare tutti gli album con il tempo a nostra disposizione. Ma sì, dai, andiamo lì e massacriamo gli americani [risate generali, n.d.a.]. Sound europeo, andiamo lì e li massacriamo!
Dal vivo c’è una canzone che ti emoziona particolarmente?
‘Factory of Steel’: parla di me, quando lavoravo in fabbrica, in acciaieria. Quando dico “I never forget” è perché non l’ho mai dimenticata e penso sempre ai miei colleghi, all’altoforno, quando ero lì davanti: avevo diciotto anni. Penso sempre ai miei colleghi, alcuni non ci sono più, e allora… Factory of steel, Road to hell: quando canto ce l’ho proprio davanti agli occhi. Ci tengo a dirlo perché mi ha forgiato come uomo, come persona. Io vengo da una famiglia molto umile. Da ragazzino mangiavo pane e caffellatte, me lo preparava mia madre. Con il tempo mi sono fatto tutto da solo. Forse è questo… forse anche per questo ce l’ho fatta durante la malattia: il fatto di aver preso fin da bambino scarpate in culo mi ha temprato. Lo dico anche ai miei colleghi, che lavorano nell’impresa: «Ragazzi: fuori le palle, non succede niente, avanti, forti, bisogna andare sempre avanti». ‘Factory of Steel’ mi prende sempre, mi piace cantarla. Se fai caso il ritornello è proprio liberatorio: “Factory of Steel, I never forget, Road to hell” dà proprio quel senso lì.
Stasera staremo attenti, allora! E adesso una domanda divertente, che faccio spesso a chi ha una carriera longeva come la tua: supponiamo che tra i lettori di Truemetal.it vi sia qualcuno che ancora non conosca gli Skanners: se dovessi consigliare loro tre dischi con cui iniziare ad ascoltare la tua band, quali consiglieresti e perché?
Beh: “Dirty Armada” di sicuro… eh, è difficile… “Pictures of War”… Sì, i primi due di sicuro e poi “Factory of Steel”. Questi sono gli Skanners, questo è il sound Skanners. Ci sono dei brani come ‘Rock City’, ‘Skanners’, ‘Starlight’, ‘Factory of Steel’, ‘Hard and Pure’… eh, ‘Hard and Pure’ parla di cinque ragazzini, parla di noi, di come giravamo nel quartiere. Ma può parlare anche di te. Parla di noi che ci riunivamo, di cinque ragazzini legati da una buona amicizia, con il sogno di suonare il metal. Nati vicino alle fabbriche, però sono duri e puri, sinceri, leali, è quello il messaggio. Infatti lo dedichiamo sempre ai ragazzi, siamo noi – compreso te – che ascoltiamo questo genere, che richiede devozione. Non è come le new wave: i fan della new wave si scordano di te, i fan dell’heavy metal, invece, non ti dimenticano mai, ti tengono sempre nel loro cuore, come io ho amato i Saxon, gli Iron Maiden, i Judas Priest. Li andrò a vedere, dicono che sono vecchi, che non suonano più bene, ma rimangono qui, nel mio cuore.
Questo è un bel messaggio.
Filosofia del metallo [risate, n.d.a.].
Abbiamo già toccato l’argomento ma approfondiamo: quali i progetti futuri degli Skanners? E quindi: il nuovo album?
Sì, abbiamo già scritto il nuovo album e sarà un ritorno alle origini. Un disco molto ignorante [risate, n.d.a.] però molto, molto trascinante. Gli Skanners sono sempre stati la “Panzer Division”: un carroarmato. Per noi il solismo troppo difficile non va bene: noi puntiamo al colpo, alla botta. Un pezzo con botta ti entra prima nelle orecchie, lo canti prima. I grandi produttori me lo hanno sempre sottolineato, devi fare così. Mi spiego meglio: è più difficile fare una grande canzone, che un brano. Sono due cose diverse. La canzone è basata su una melodia, un refrain, un bridge. Nel brano puoi fare mille scalette, puoi far vedere che sei bravo, virtuoso, ma funzione poco. Poi, okay: di Malmsteen ce n’è uno, di Dream Theater ce n’è uno: ci sta! Ma se ascoltiamo i Motorhead? Cos’hanno fatto? Ascoltiamoci gli AC/DC: guarda cosa sono diventati con il quattro quarti. Quando ascolto le produzioni delle giovani leve ho come l’impressione che forse vogliono far vedere, far sentire che sanno suonare e magari un po’ si perdono. Bisogna anche arrivare alla maturità nella composizione. Ovvio che noi, dopo quarant’anni di carriera, sappiamo come deve uscire un pezzo metal. In una band di ventenni, di trentenni, a meno che non siano dei mostri, senti questa lacuna. E questo è un mio modestissimo parere. Ho avuto dei ragazzi che mi hanno chiesto: «Ehi, Claudio, che ne pensi di questo pezzo?». Io ho risposto: «Ragazzi: pezzo troppo lungo. Il riff arriva troppo in là, e non serve. Avete fato tre brani in uno». Io sono dell’idea: un ritmo, una melodia. E quello funziona. Poi, ripeto: mio modestissimo parere.
Beh, come hai detto tu: fa parte dell’esperienza. C’è chi si è fatto e chi deve farsi.
Quando canti l’importante è raccontare. I miei cantati son tutti dei racconti, ti rimangono. Anche quando canto la frase facile all’ascolto, ma mi viene così. Sì, perché sono sbalinato io, eh [risate, n.d.a.].
Siamo arrivati alle ultime due domande e una è d’obbligo: su Truemetal.it scrive anche Steven Rich. Sapeva dell’intervista e mi ha detto di salutarvi. Non sa però che lo renderemo protagonista della nostra chiacchierata…
Steven Rich lo reputo il vero, senza offenderti, eh, ma lo reputo il vero cultore dell’heavy metal. Lui è proprio uno che ci crede. E poi è uno onesto: se ti deve dire che non gli piaci, non gli piaci. Questo mi fa piacere. Sai, tanti ti fanno il viso bello, lui no, ti dice quello che pensa. Per dire: all’uscita di “Temptation” mi disse che per lui “Factory of Steel” è superiore. Okay, ci sta. A lungo andare, però, ha avuto ragione. Non è che “Temptation” sia un brutto disco ma dopo vari anni, se li ascolto entrambi, ecco, magari su “Temptation” avrei fatto qualcosa di diverso, anche a livello di produzione. E così, quando ho un pezzo nuovo, glielo passo e gli dico: «Che ne dici, Steve?», e lui: «È una merda!» [risate, n.d.a.]. No, dai, scherzi a parte: è un grandissimo, è una grande persona. Io guardo sempre le persone: sei umile, sei semplice? Allora vai d’accordo con me. Te la tiri? Con me non vai d’accordo. Io voglio la semplicità. Vado tuttora nelle vecchie bettole a mangiare. Potrei anche permettermi il ristorante, ma non sono mai cambiato, sono così. E non cambierò.
Ultimissima domanda: lascio a te la parola per i saluti ai lettori di Truemetal.it
Saluto tutti i lettori di Truemetal.it e mi raccomando: seguiteci! Dove c’è Skanners c’è divertimento. Hard and Pure!
Marco Donè