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Mantra (Iacopo e Gianluca)

Di - 25 Giugno 2002 - 22:28
Mantra (Iacopo e Gianluca)

Gran bella intervista quella intercorsa fra il sottoscritto ed i Mantra, granitica band toscana di hard rock viscerale, i quali, dopo avermi sbalordito con il loro avvincente platter d’esordio, ribadiscono di essere una spanna sopra  le miriadi di band clone che affollano il fantomatico circuito del music biz internazionale attuale, sfoggiando una maturità ed una serietà veramente disarmanti, qualità che solo i grandi musicisti hanno dimostrato di avere. Senza perdermi in inutili chiacchiere che potrebbero stemperare la vostra attenzione, vi auguro una buona lettura ricordandovi sempre di accaparrarvi al più presto possibile una copia di “Roots”, perché i Mantra  vi colpiranno al cuore come un fendente………

Ciao Iacopo, allora vorresti delineare le tappe artistiche della tua band dall’inizio fino alla realizzazione di “Roots?

Gianluca (il chitarrista) ed io suoniamo insieme da più di 10 anni ormai; la band prima si chiamava MAD MICE ed ha prodotto almeno 10 demo tapes, partecipato a tantissimi concorsi e registrato perfino un cd in Germania per un’etichetta indipendente che purtroppo non è mai uscito.

 

Dunque, cosa realmente contribuì allo split dei Mad Mice, e come mai all’epoca il mini album fu distribuito solo in Germania?

Non posso nasconderti che la delusione per la mancata pubblicazione del Cd dopo circa 2 anni di interminabili conversazioni telefoniche con i responsabili dell’etichetta, viaggi ad Amburgo (l’etichetta aveva sede a Wilster, paesino a 50 chilometri dalla città) per mixare il cd, preparare la strategia promozionale e quant’altro ancora, ha, come dire, rotto l’armonia che finora teneva saldo il gruppo; e non è bastata la pubblicazione e distribuzione di una compilation con un nostro brano a tirarci su il morale dopo tutte le energie che avevamo speso. La band comunque di fatto non si è mai sciolta, diciamo che negli ultimi 3 – 4 anni abbiamo provato varie sezioni ritmiche che per un motivo o per un altro hanno avuto vita breve.

 

Cosa vi ha realmente indotto a rimettere in piedi questa nuova formazione con una line up parzialmente stravolta?

Devo confessarti che cominciavo a temere realmente  per il futuro della band e soprattutto al fatto di poter suonare ancora con Gianluca, che tra l’altro per 3 anni si è trasferito ad Amburgo. Solo dopo che è tornato a vivere Siena nel 1999, ci siamo detti che forse valeva la pena rimettere insieme la band…tutti e due pensavamo di aver scritto una manciata di buone canzoni che dovevano essere pubblicate; il cerchio, come dire, doveva chiudersi.

 

Sia il nome da voi scelto che la copertina, richiamano alla memoria la religione induista e l’India in particolare, dunque è ovvio che ti chieda se qualcuno di voi è realmente un interessato agli usi e ai costumi di quelle popolazioni medio orientali.

GIANLUCA – sì, beh, sia i richiami musicali che quelli visivi del booklet non sono costruiti per esigenze discografiche, ma dietro c’è veramente un interesse. Senza alcun dubbio non siamo un gruppo con una sola influenza musicale… l’Oriente appunto offre molti spunti, spunti che non necessariamente sono soltanto musicali: spesso alcune atmosfere, colori, sensazioni, odori, suoni sono più che sufficienti per farti venire in mente idee per delle canzoni.

Per quanto riguarda il booklet, molte delle immagini sono foto che ho fatto io in India.

 

Musica, cultura e filosofia, un trittico sul quale vennero sviluppati molti album degli indimenticabili anni 70, ed anche il titolo “Roots” mi fa pensare presupporre che a livello di songwriting, siete andati alla riscoperta delle vostre radici musicali.

Volevamo registrare un disco di cui essere orgogliosi e che “fermasse”, come una fotografia,  un particolare momento della nostra vita artistica. La musica degli anni 70 è stata,  e credo, sarà la colonna sonora della mia vita e questo disco deve essere visto come una sorta di punto di arrivo del nostro percorso musicale ed,  al   tempo stesso,  uno stimolo per il futuro.

 

Sei d’accordo con me nel sostenere che sia proprio il blues “la mamma” di tutte le musiche?

GIANLUCA – decisamente sì! Personalmente credo che i Mantra siano un gruppo blues; secondo me oggi Howlin’ Wolf o Robert Johnson suonerebbero qualcosa di simile, voglio dire, la musica si evolve, e per suonare blues significa farne proprio il feeling, l’approccio al ritmo ed al groove; probabilmente il blues non è la mamma di tutte le musiche, perché comunque ci sono molte bands di derivazione “classica”, per così dire, però certamente tutto il filone heavy rock degli ultimi 30 anni ha la matrice blues, il che comunque non significa suonare sempre le classiche 12 misure del blues standard!

 

Senz’ombra di dubbio una delle vostre principali muse ispiratrici sono i cari vecchi Led Zeppelin, ma sono altresì convinto che parlare solo del famoso dirigibile sarebbe molto riduttivo, visto che fra i solchi delle 13 track si odono echi di Bad Company, Mott The Hoople, Free e qualche puntatine in territori più modernisti vicini ai Soundgarden, soprattutto nelle linee vocali, come nel caso di “Dirty River”, e così?

La musica dei LED ZEPPELIN è per me una continua scoperta: non smettono mai di stupirmi. In soli 10 anni e con  9 dischi più un live (che per altro non li rappresenta al meglio – ma questo è un mio parere del tutto personale) hanno tracciato un compendio della musica rock che è fatta sì di chitarre elettriche e di batterie potenti ma anche di feeling, ricerca sonora, sperimentazione, e sopratutto DINAMICA. Questa per me è la parola chiave. La  musica deve essere dinamica: deve sopraffarti e cullarti, deve colpirti allo stomaco  per poi farti piangere dalla commozione… ed i LED ZEPPELIN fanno tutto questo. Ma  posso dirti di più: tutta la musica degli anni 70 si regge su questa continua alternanza del piano/forte che fa sì che non ti annoi mai, ma anzi, ti permette ogni volta che la ascolti di scoprire qualcosa di nuovo. Quanto ai nomi che citi, i BAD COMPANY ed i FREE sono in assoluto tra le mie band preferite ed un cantante come PAUL RODGERS non può non essere ignorato visto che almeno per quanto mi riguarda  è l’unico che può rivaleggiare con ROBET PLANT. Per “Dirty River”  il discorso è diverso: quella canzone ha in sé i germi dei nuovi MANTRA, in quanto è la canzone in cui noi 4( Senio Firmati alla batterie e Andrea Castelli al basso) ci riconosciamo di più ed in cui forse, siamo riusciti a amalgamare al meglio la nostra matrice settantina con l’esperienza musicale più moderna, vedi giusto appunto i SOUNDGARDEN o i TEMPLE OF THE DOG.

 

A questo punto sarebbe più opportuno che ci nominassi alcune delle band che ti/vi hanno influenzato in tutti questi anni!!!

GIANLUCA – il mio elenco sarebbe troppo lungo per scriverlo tutto… comunque posso dire che vengo da una famiglia di musicisti e quando avevo 2 anni mio zio (che è un po’ come un fratello maggiore) suonava con il suo gruppo rock e mi faceva ascoltare le novità di allora (era il 1971) che erano i LED ZEPPELIN, BLACK SABBATH, DEEP PURPLE,  quindi ti rendi conto che comunque il mio background è soprattutto radicato nei seventies anche se mi piacciono molto gruppi anni ’80  come VAN HALEN, DOKKEN, oppure primi ’90 come BADLANDS, LIVING COLOUR, ZAKK WYLDE, SOUNDGARDEN etc…

(Iacopo) In parte ti ho già risposto, comunque, tutti i grandi gruppi degli anni 70, LED ZEPPELIN, URIAH HEEP,  BLACK SABBATH, ATOMIC ROOSTER, EMERON, LAKE & PALMER, YES, JETHRO TULL, i meno conosciuti BUDGIE (ma potrei continuare per pagine e pagine), ma anche DIAMOND HEAD, i ROLLING STONES come anche i BEATLES, che ho riscoperto negli ultimi anni anche grazie al fatto che faccio parte di una compagnia teatrale che ha scritto un musical basato sulle loro canzoni ( A DAY IN THE LIFE). Credo che ogni amante della musica prima o poi debba passare dai BEATLES: la freschezza, l’inventiva, la voglia di sperimentare, e la capacità di scrivere melodie che ancor oggi mettono d’accordo quasi 3 generazioni oltre che ad essere continuamente citate in canzoni che alcuni hanno il coraggio di chiamare nuove (Vedi Oasis ed in generale circa il 90% del british pop), sono ormai un patrimonio comune che non va sottovalutato.

 

 

Com’è nata l’idea d’inserire degli strumenti totalmente distanti dalla cultura rock mittle europea come il sitar?

GIANLUCA – Personalmente credo che sia difficile tenere sempre alto il livello di attenzione dell’ascoltatore e soprattutto nel rock è molto facile ripetersi o usare più o meno gli stessi suoni. Ci sono pochi dischi che sono interessanti dall’inizio alla fine e noi abbiamo cercato di fare il possibile perché ciò non avvenisse. Naturalmente non è per noi una cosa costruita dal momento che io suono molto volentieri le acustiche a 6 e 12 corde, il mandolino, l’ukulele, il liuto ed il sitar. E’ stato spontaneo sperimentare arrangiamenti con tali strumenti ed il risultato secondo me, pur uscendo dai cliché tipici dell’heavy rock è decisamente interessante.

 

 L’amore per la natura,  la conseguente  voglia di scappare dal solito tram tram della vita quotidiana ai senza tetto, penso che a livello prettamente lirico i Mantra abbiano affrontato molti argomenti di vita vissuta, ma come nasce solitamente il testo di un vostro brano?

Ho sviluppato negli anni un personale metodo per quanto riguarda la stesura dei testi. Di solito inizio a lavorare una volta che il brano è strutturato, questo perché voglio cercare di cogliere il feeling generale per trovare la linea melodica; poi inizio a buttare giù una serie di frasi dando molta importanza alle singole parole che devono amalgamarsi perfettamente con la melodia; non mi importa se tra di loro le frasi possano sembrare  poco  legate, sono convinto che alla fine se esse si adatteranno alla melodia acquisteranno anche un senso compiuto. Esistono poi le eccezioni come nel caso di don’t call me Jesus, in cui ho dato libero sfogo al mio proverbiale sarcasmo sulla religione, cosa che all’epoca non fu molto apprezzata da alcuni componenti della band…

 

 Come mai avete deciso di coverizzare “Ramblin’ on my mind”, cercando altresì di riadattare e re-interpretarne il  testo?

GIANLUCA – In realtà non volevamo fare una cover vera e propria, ma un nostro ri-arrangiamento in chiave un po’ meno canonica dell’originale di Robert Johnson. L’originale è un mega classico del blues, quello vero, quello super malinconico, mentre la nostra è una versione saltellante e decisamente “allegorotta”… diciamo che potrebbe essere una storia d’amore dei giorni nostri andata male, svuotata dal pathos e dal dramma che invece aveva l’originale.

 

 Toglimi una curiosità, molti di voi, per non dire tutti, fanno parte di altre band, quindi a questo punto vorrei che mi dessi una risposta secca, ma i Mantra sono una band con una propria identità ben definita, oppure l’ennesimo progetto portato avanti per ingannare il tempo perso?

I MANTRA sono una band che finalmente oggi ha un sua identità definita dal lavoro di squadra a cui contribuiscono tutti i componenti della band: siamo tornati per così dire, alle origini, a lavorare in sala prove, a fare jam, a scrivere avendo in mente quelle che sono le caratteristiche sonore della band.

 

 Quindi che generi di obbiettivi vi siete posti come band? Credi che “Roots” possa essere un episodio isolato, e per finire state pianificando un piccolo tour con delle serate live?

Stiamo già lavorando al secondo disco, le canzoni ci sono ed abbiamo appena ultimato la registrazione delle parti di batteria. Stiamo anche provando la scaletta per i concerti (il prossimo 28 agosto a Siena) nei quali presenteremo anche alcuni brani nuovi oltre a qualche sorpresa.

 

 Death, black, thrash, power, nu metal, verso quali lidi credi si stia dirigendo il futuro della musica rock?

Sono anagraficamente vecchio per poter rispondere a questa domanda; ti dirò di più: trovo sempre più difficile trovare dischi  che mi entusiasmino, non c’è mai la sorpresa: i generi che mi hai citato sono ormai così ben codificati, nei suoni, nelle strutture musicali, nei testi, nelle melodie che per quanto mi riguarda,  trovo difficile emozionarmi. Fin tanto che tutti si adegueranno a schemi, il futuro sarà molto incerto, bisogna recuperare la freschezza di un tempo, forse anche l’innocenza, il  piacere di lasciarsi andare di più. Ora anche il gruppo più alternativo, suona, alle mie umile orecchie, piatto e standardizzato.

 

 Credi nella classificazioni dei generi musicali, e perché pensi sia importante oggi per molti addetti ai lavori cercare di ghettizzata  un artista con un’etichetta che a volte non rende piena giustizia alla così detta libertà artistica?

No, non credo alla classificazione dei generi musicali: esiste la musica e basta, che ti può piacere o no. Tutto il resto non conta, ed il giorno in cui le etichette, tutte le etichette,  inizieranno a produrre gruppi di cui sono convinti e, non prendetelo come  piaggeria, la Lucrezia Records, in questo è forse una delle pochissime, forse la situazione cambierà.

 

 Adesso ti lascio carta bianca, indossa i panni di un venditore ambulante e cerca di vendere il vostro “Roots” cercando di condensare il tutto in tre punti salienti!!!!

“Roots”  è un disco, sanguigno, vero, di puro e semplice hard rock  come non si sentiva da tempo. Se ne   sentivate la mancanza, siamo la band che fa per voi.

 

 Senti Iacopo, ma se ti offrissero di entrare a far parte dei Gazzosa, accetteresti?

Canto e suono solo ciò che mi piace, e  per ora sono sempre riuscito ad essere in pace con me stesso quindi immaginati la risposta…

 

Siamo alla fine, vuoi fare un saluto ai nostri lettori?

Ringrazio fin da adesso tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere questa intervista e che magari dedicheranno in futuro 5 minuti della loro giornata ad ascoltare una canzone dei MANTRA.