Metal Forever Festival – Boeblingen (D), 30 dicembre 2006

Di Marcello Catozzi - 6 Gennaio 2007 - 21:38
Metal Forever Festival – Boeblingen (D), 30 dicembre 2006

Novara, 29 dicembre 2006.
Ore 15.00: dopo essermi abbigliato di tutto punto in metal-style d’ordinanza, saluto la famiglia che, come al solito, scuote il capo rassegnata e, con la mia fedele rock-car “vintage”, mi dirigo verso Lainate (MI), dove ho appuntamento con altri quattro svitati, anzi direi più esattamente “chiodati” (considerato il nostro amato genere musicale), provenienti da Piacenza.
Ore 16.30: il branco si è formato. Siamo tutti belli carichi e affamati di metallo pesante; it’s time to go, in direzione Zurigo, prima che il traforo del Gottardo ci chiuda le porte in faccia (visto mi è già successo, in passato; ma questa è un’altra storia…).
Zwyck (CH), 30 dicembre 2006.
Dopo una notte insonne, durante la quale ho tanto rimpianto i tappi per le orecchie (i miei compagni di stanza emettevano, infatti, tremende sonorità gutturali da fare invidia al cantante dei Pantera), una sostanziosa colazione e un ameno viaggetto attraverso il verde della campagna svizzera e tedesca, accompagnati dalle note dei Saxon e di Malmsteen, eccoci finalmente a Böblingen, cittadina alle porte di Stoccarda. Il navigatore (inteso come Andrea, l’amico piacentino assiso alla destra del driver) si incarica di chiedere indicazioni stradali ai malcapitati passanti, i quali però, a fronte del suo aspetto truce e del suo “escüs mi” (vendutoci come autentico dialetto del Baden – Wüttenberg) fuggono inorriditi; a questo punto il nostro povero driver, benché sfiancato da centinaia di km., si assume anche l’onere di estrarre dal suo cilindro magico della memoria i rimasugli del suo tedesco scolastico e, finalmente, riusciamo a raggiungere il quartiere, dove la moderna struttura della Sporthalle ospita la seconda edizione del Metal Forever Festival, i cui proventi saranno destinati ai bambini bisognosi del continente africano.

Böblingen (D), ore 15.30.
Non c’è nemmeno il tempo di passare in Municipio a ricevere le chiavi della città dalle mani del Sindaco. Il branco di cinghiali italiani affamati – attratto da primordiali istinti – preferisce colonizzare un elegante ristorante della zona, gettandosi su un invitante vassoio gigante e grufolando carne alla griglia.
Ma il tempo passa e incombe lo svolgimento del ricco programma della giornata:

– BLACK ABYSS
– JUSTICE
– EVIDENCE ONE
– MY DARKEST HATE
– JADED HEART
– MAJESTY
– CHINCHILLA
– VENGEANCE
– DEMON
– SINNER

La macchina organizzativa teutonica (anche questa volta perfettamente efficiente) ha suddiviso il programma in due location distinte, a causa del numero delle band partecipanti. Infatti nel salone antistante l’ingresso è stato allestito lo stage n. 2, sul quale si avvicendano gruppi minori, ma di indiscutibile valore. Intanto diamo un’occhiata alle ordinate e allettanti bancarelle del merchandise, nondimeno le note provenienti dal palco n. 2 rappresentano per me un’attrattiva troppo interessante e, così, il mio istinto mi porta a seguire il richiamo del Metal, proprio come il topolino Jerry rapito dal profumo del formaggio. La band “de quo” (un po’ di cultura classica non fa mai male) mi colpisce per ritmo e suoni: mi avvicino e riconosco il frontman, la cui chitarra produce quel sound così accattivante. Si tratta nientemeno che di FERDY DOERNBERG, il tastierista di Axel Rudi Pell (nonché ex Taraxacum, Rough Silk, Roland Grapow, oltre agli altri innumerevoli musicisti con i quali ha collaborato). Si esibisce con questa line-up per la prima volta e la risposta del pubblico (peraltro un po’ scarso, e la cosa sinceramente mi dispiace assai) risulta assai positiva. I brani proposti si riferiscono alla fresca produzione del musicista tedesco, in particolare ai due album intitolati, rispettivamente, Storyteller’s Rain (di stampo decisamente Metal) e Till I run out of road (di matrice prettamente Hard Rock). Ecco la set-list completa:

Nosferatu
Lust is a killer
Home is where the pain is
The truth
Walls of never
In the deep of the night
Never say never

Premesso che Ferdy è personaggio che mi ispira da sempre grande simpatia, per quel suo “savoir faire” (mi si perdoni la licenza francesizzante, ma non conosco il termine tedesco), per quel suo sorriso sempre pronto e per quel suo istintivo approccio con il pubblico, ciò che non conoscevo era la sua dimestichezza con lo strumento (in questo caso: la chitarra solista), che suona con straordinaria confidenza, riuscendo a tirar fuori dei suoni a dir poco eccezionali, specie quando si produce nello slide, piacevolissimo e indovinato nell’economia dei brani (ad esempio in Never say never, cantato a gran voce dai pochi spettatori presenti). Del resto, se si pensa alla formazione musicale di Ferdy, ci si rende conto che tali attitudine e padronanza non sono affatto casuali, considerato che è cresciuto in una famiglia di musicisti e, fin da piccolo, ha imparato a suonare chitarra, pianoforte e tromba. Insomma, questo inaspettato mini – concerto si rivela proprio una graditissima sorpresa. Se questo è l’inizio…

Ore 16.30: ci avviamo verso il palco principale, situato nella parte longitudinale della pista della Sporthalle e sovrastato da un gigantesco ponteggio che sostiene l’impianto luci. Quando arriviamo, si stanno esibendo i JADED HEART davanti a una platea entusiasta. In effetti il gruppo sta sciorinando una performance di ottimo livello, producendosi nel suo caratteristico stile, che si potrebbe definire (per una volta, lasciamoci prendere dalla diffusa tendenza di voler “etichettare” a tutti i costi ogni genere) “melodic metal”: le canzoni (tratte in gran parte dall’ultimo prodotto, Helluva Time) alternano momenti piacevolmente soft (grazie ai gustosi cori e alle tastiere sapientemente gestite dal biondo Henning Warner, già White Lion e Mad Max) a episodi più decisamente tosti e tirati, sorretti da un’ottima base ritmica dettata dal duo formato da Axel Kruse (il drummer) e Michael Müller (il palestrato bassista):

Intro: Tomorrow
Intro: Somewhere
Live and let die
Inside out
The journey will never end
Shores of Paradise
Intro: Paint my shoes
Anymore
Feels like home

Tanto di cappello a questa formazione capitanata dallo spettrale Johan Fahlberg, che ci regala una prestazione impeccabile carica di energia e ritmo: pensando alla successione dei gruppi prevista dal programma (presumibilmente disposti, come di consueto, in ordine crescente di importanza), mi riesce difficile immaginare che i Majesty riescano a fare meglio…

Dopo la decina di minuti di rito, occorrente per la sistemazione del palco (complimenti vivissimi all’organizzazione), i MAJESTY si presentano con il loro abbigliamento rigorosamente nero borchiato, proponendo il meglio del loro repertorio (ivi compresi alcuni pezzi tratti dall’ultimo album Hellforces):

Hellforces
Into the stadiums
Fields of war
Reign in glory
Sword and sorcery
Epic war
Metal law
Keep it – Metalheads

L’esibizione si svolge senza infamia e senza lode, con discreti assoli del giovanissimo chitarrista e con l’ammiccante Marek Maghary che cerca di trascinare gli aficionados negli epici cori di Into the stadiums e Reign in glory: in effetti, uno sparuto gruppo di fans accoglie l’invito e canta a squarciagola le canzoni di questi musicisti tedeschi di spiccata ispirazione “power metal”, che risentono chiaramente degli influssi dei più illustri capostipiti del genere, gli imitatissimi Manowar, pur senza avvicinarsi (purtroppo) al modello originale. Alla fine il vocalist, con il suo gilet che pare ricavato dai copertoni chiodati di un camion, raccoglie onore e gloria dalla platea in quasi delirio.

Ore 18.30. E’ la volta dei CHINCHILLA, il cui drummer si presenta (al momento del breve sound-check che precede il concerto) con gli inconfondibili stacchi di Painkiller, tanto per dimostrare di che pasta è fatto! Here we go, si comincia con un ritmo impressionante che richiama il titolo del loro ultimo album, Take no prisoners. E pare proprio che, stasera, gli incazzatissimi crucchi non siano disposti a fare prigionieri:

Our destiny
The call
Take no prisoners
Queen of the rain
Entire world
The almighty power
Father forgive me
Fight
I stole your love
Demons we call

Avevo visto i Chinchilla durante il tour dei Saxon e mi avevano impressionato per grinta e vigore. Non posso che confermare quanto già rilevato in precedenza, sottolineando il carisma dell’immarcescibile Udo Gerstenmeyer, corpulento chitarrista e songwriter di grande spessore (musicale intendo), nonché i cavalli di potenza sprigionati dal motore “made in Germany” del gruppo, garantiti, in particolare, dal duo formato dal citato Criss Schwinn (batteria) e Roberto Palacios (basso).

Il vocalist Thomas Laasch, dal canto suo, pur dotato di una bella voce pulita, non riesce a emergere per personalità e presenza scenica; le attenzioni dei fotografi sono tutte per le sue bimbe, sedute sulla transenna del front row, con le innocenti manine che si agitano perfettamente a tempo e le cornine spianate: the new Metal generation is growing up!

Ore 19.45. Si avvicina il momento più atteso, almeno per noi. Accolti da un boato della folla, ecco i VENGEANCE, che iniziano il loro show in modo esplosivo:

Take it or leave it
Back in the ring
No mercy
Take me to the limit
Dreamworld
Crazy horses
Rock and Roll shower
Arabia
Ballad

Una sfavillante rassegna tra passato e presente costituisce il biglietto da visita di questi inossidabili olandesi, tornati in scena dopo qualche anno di oblio con lo scoppiettante Back in the Ring, risultato graditissimo a tutti gli amanti degli indimenticabili anni 80. La squadra è composta da:

– Leon Gowie (voce)
– Jan Somers (chitarra)
– Peter Bourbon (chitarra)
– Barend Courbois (basso)
– Hans In ‘t Zandt (batteria)

I cinque forniscono una prestazione a dir poco eccezionale, caratterizzata da uno strepitoso sfoggio di tecnica ed energia allo stato puro, condita da una buona dose di simpatia e spontaneità che li rende ancora più vicini al pubblico. Soprattutto Leon si conferma uno straordinario animale da palcoscenico, con le sue personalissime movenze, i suoi gesti, le sue smorfie, capaci di trascinare l’audience al coinvolgimento totale.

Jan Somers, dal canto suo, si dimostra un chitarrista coi fiocchi, in grado di emozionare con i suoi assoli indovinati, mai invadenti o fuori dalle righe, ma anzi sempre ben calibrati, graffiati e cattivi al punto giusto, con un sapiente uso del delay e del tapping, e un bel sound di stampo “Eighties” che si innesta alla perfezione nel complesso, nel segno della più fedele tradizione Hard Rock.

Una nota di rilievo va anche ad Hans, batterista raffinato, dalle grandi doti tecniche, dotato di robusta mano e impeccabile timing, preciso e pulito nello stile, trascinante nel suo tostissimo drumming.
Definire i Vengeance una band esclusivamente “hard rock” sarebbe, tuttavia, estremamente riduttivo, giacché il gruppo – specie con i primi album – si è andato affermando nel segno del Metal più classico, e durante un concerto come questo si possono avvertirne gli evidenti influssi. Si pensi alla pomposa Arabia, attesissima dai più scatenati fans (noi compresi), stupenda canzone nella quale convivono tremendi riffoni di estrazione metal con reminescenze orientaleggianti… Questa killer song dalla devastante forza penetrativa, fra l’altro, vede la partecipazione di Ferdy Doernberg, che con la sua inseparabile tastiera, suonata in un’inconsueta posizione verticale, contribuisce a creare un’atmosfera ancor più suggestiva.

Sempre in Arabia, quell’inguaribile istrione di Leon si presenta vestito da califfo, con tanto di turbantone in testa e babbuccione ai piedi, e fedele alla tradizione, una volta liberatosi del turbante, si produce nella classica scena del boccale di birra rovesciato in testa, fra il tripudio degli aficionados.

Che dire ancora di questi ragazzacci? Beh, ad esempio: che valeva sicuramente la pena affrontare il viaggio per godersi uno show di tale levatura. Mi domando come mai i Vengeance non siano mai approdati nei nostri lidi. Mistero!…

Ore 20.50. Si prosegue con il programma. Puntualissimi, fanno il loro ingresso sulla scena i DEMON, che propongono una serie di successi che i più accaniti fedelissimi ricorderanno sicuramente:

Night of the demon
Into the nightmare
The plague
Nowhere to run
Blackheath
Standing on the edge
Hurricane
Sign of a madman
Life on the wire
Don’t break the circle
Blue skies – Dynamite

La performance è di prim’ordine e i ragazzi (beh, forse è meglio lasciar perdere l’aspetto anagrafico, visto che i Demon sono in pista dal 1980) si rivelano affidabili come sempre, capeggiati dal tranquillo e navigato frontman: Dave Hill, con il suo immancabile berrettino nero, interagisce con i kids delle prime file incitandoli a cantare a squarciagola i loro cavalli di battaglia più famosi, tipo Don’t break the circle. Bravissimi, ma sinceramente credo che i Vengeance avessero una marcia in più.

Ore 22.10. L’aria è bella calda, oltre che piena di fumo, al quale peraltro non ero più abituato, fortunatamente (in qualcosa noi italiani – in quanto figli del Ministro Sirchia – saremo pure migliori dei tedeschi, no?). Sulle note di un’apocalittica intro, appaiono gli attesissimi SINNER, trascinati dal carismatico Matt (voce e chitarra), che si trovano subito a loro agio in mezzo a tanto clamore e si mettono a sparare bordate di puro metallo, per la gioia di tutti gli appassionati presenti:

Comin’ out fighting
When silence falls
Knife in my heart
Born to rock
The other side
Germany rocks
Rebel yell
Metal is forever
Metal Gods

La band si muove agilmente a cavallo tra la remota e la più recente produzione, come si può notare dalla scaletta: i metallari del posto mostrano di gradire assai l’esibizione dei Sinner, che con grande mestiere propinano Metal della migliore tradizione, con picchi di ritmo forsennati: a questo proposito, congratulazioni al pirotecnico bassista Roberto Palacios, che si è prodigato senza risparmio in una doppia performance, equamente divisa fra Chinchilla e Sinner, appunto. Roberto, fra l’altro, gioca in casa, visto che è nativo di Böblingen. Dunque: 1 fisso in schedina per lui, senza alcun dubbio!
Alla fine dello show non può mancare una graditissima jam session, che annovera i migliori fra i protagonisti dell’evento. Prima con l’anthemica Metal is forever, e poi con la cover Metal Gods, i nostri eroi si divertono a regalare agli insaziabili spettatori l’ultimo saggio di una seratona metallica. Fa la sua apparizione on stage nientemeno che Ralph Scheepers, in smagliante forma fisica e vocale: nell’occasione si ritrova con il suo compagno di merende Matt Sinner a rinverdire i fasti dei Primal Fear. Il biondo Matt nella circostanza imbraccia il basso e lascia il microfono a Ralph, suggellando così alla grande un evento che si merita l’ovazione finale.

Ore 23.30. Ci intratteniamo nel backstage con i Vengeance, a nostro parere gli indiscussi numero uno della serata. Sono cordiali e disponibili come sempre, nonostante la loro comprensibile stanchezza. Mentre la birra scorre a fiumi, come impone l’usanza di questi luoghi geografici, il manager mi rivela che a settembre uscirà il nuovo album e, pertanto, ci diamo appuntamento al prossimo tour, che li vedrà scorrazzare in lungo e in largo per l’Europa in compagnia di Sinner e Chinchilla. Leon Gowie ci parla in uno slang misto di olandese, inglese e spagnolo: il che sta a indicare che, nonostante gli ettolitri di birra trangugiata fin da questo pomeriggio, il nostro eroe sta reggendo alla grande! Jan Somers, invero un pochino barcollante, mi mostra col suo cellulare un video del loro ultimo concerto olandese, in cui ha suonato (durante una sola canzone) anche suo figlio, promettente chitarrista di 15 anni: mentre si dichiara molto orgoglioso di lui, gli luccicano gli occhi e capisco che non è a causa della birra. Cuore di padre!…
Nell’after show incontriamo altri personaggi, più o meno sobri: l’altissimo cantante dei Jaded Heart, basco nero in testa e andatura caracollante, si aggira come una giraffa tra i pentoloni del rinfresco, brucando insalata (evidentemente è un erbivoro) con una lentezza impressionante; forse ha bisogno di una ricarica di energia. Il sempre sorridente Ferdy mi dà appuntamento in Italia, alle prossime tournée. Un altro soggetto che si distingue per la sua lucidità, in quel contesto godereccio che pullula di boccali di spumeggiante bionda e di groupies (anche l’occhio vuole la sua parte), è Ralph, maglietta nera e fisico da palestrato, che ricorda di avere suonato in Italia, qualche anno fa (a Biella, a Firenze, ecc.), quando ancora aveva i capelli, e spera di tornare nel nostro Paese a settembre, con i Primal Fear.
Tra una chiacchiera e l’altra, innaffiata da qualche buona birra, giunge per noi il momento di levare il disturbo, anche perché affiora una notevole dose di stanchezza. Dopo i saluti e gli “auf wiedersehen”, ci avviamo verso l’hotel, con la speranza che la stanchezza mi faccia piombare in un sonno profondo e, soprattutto, insonorizzato, visto che i miei compagni di stanza, sicuramente, anche stanotte si daranno da fare con trapano e attrezzi da carpentiere!
Ma ciò che più conta è aver vissuto un bellissimo festival, di grande qualità, in ottima compagnia; che si può volere di più? Beh… ora che ci penso, a voler essere proprio incontentabili: una puntatina in giornata alla volta di Kavarna (Bulgaria) non sarebbe male, visto che DIO sarà in scena stasera, 31 dicembre. Ma 2.000 km. sono effettivamente un po’ troppi anche per degli irriducibili metallari come noi. Per il momento, contenti di avere comunque chiuso il 2006 nel migliore dei modi, diciamo: grazie Böblingen. METAL FOREVER !

Marcello Catozzi