Recensione libro: “Black Sabbath di Joel McIver”
Black Sabbath
di Joel McIver
Gli Uragani 4
384 pagine + 32 pagine di foto
formato 16×23
ISBN 978-88-96131-09-1
25 Euro
Tsunami Edizioni
Qual è la differenza fra un libro che si limita a raccontare dall’esterno e uno dove viceversa si riportano fatti realmente accaduti a chi li scrive attraverso incontri con i protagonisti della storia? Per avere una risposta esauriente basta leggersi con attenzione Black Sabbath, uscito a fine 2009 per la Tsunami Edizioni di Milano. Si tratta della fedele traduzione da parte di Enrico Schettino di Sabbath Bloody Sabbath di Joel McIver, opera che vide la luce tre anni prima.
Le vicende vissute da dentro da parte del noto critico musicale inglese sommate a una puntigliosa ricerca di interviste ufficiali d’epoca costituiscono la spina dorsale di un tomo di ben 384 pagine, che vale assolutamente i 25 Euro del prezzo, in quanto frutto di un meticolosissimo lavoro che parte da lontano, esattamente come la carriera del Sabba Nero. La professionalità e competenza di McIver si dimostrano all’altezza di cotanto volume, sempre rapportandolo all’enorme caratura propria dei Black Sabbath che, secondo una corrente di pensiero sposata da molti, costituiscono coloro i quali hanno inventato l’heavy metal.
Tutto nacque ad Aston, un sobborgo della metallicissima Birmingham, Inghilterra, nel dopoguerra. Quattro ragazzi a loro modo difficili fanno di tutto per evitare un’esistenza grigia e apparentemente già segnata: adolsescenza, quarantacinque anni di lavoro duro, un paio di figli, le rituali tristi sbronze del fine settimana, qualche tonnellata di sigarette economiche come unica valvola di sfogo e poi una anonima sepoltura. Tony Iommi, John Osbourne detto “Ozzy”, Terry “Geezer” Butler e Bill Ward, questi i Loro nomi.
I Nostri lottano alla grande – si scopre, ad esempio, che un signorotto attempato come Tony Iommi ai bei tempi era un violento teppistello affermato e temuto da tutti – patendo la fame, il freddo e soprattutto un sistema che li considera “contro” sempre e comunque. Gli aneddoti degli inizi snocciolati da McIver val davvero la pena di leggerseli e rileggerseli con calma. Poi la svolta, quella che si può considerare l’alba di un successo e il primo, seminale album. La fratellanza che accomuna i quattro è roba d’altri tempi, figlia di situazioni paradossali come quando Ozzy si muoveva senza scarpe per mancanza di denaro e si accontentava di calzare dei sacchetti di plastica della spesa arrotolati. Notevole, un po’ per tutti e al di là della retorica spiccia, la lezione di vita fornita dai quattro Sabbath, se inquadrata nella tenacia di inseguire un sogno a tutti i costi.
Primi soldi = primi eccessi. Iommi & Co. non si fanno mancare quasi nulla: quindi alcool, droghe e donzelle compiacenti quando l’occasione lo consente. Nonostante l’apparenza e alcune contraddizioni il lavoro dei Black Sabbath è duro e soprattutto focalizzato. L’immagine sulfurea viene appiccicata Loro ad arte da parte della casa discografica, sebbene Geezer non fosse immune da frequentazioni in ambito magico-esoterico. Suonano in continuazione, incidono dischi con una facilità disarmante e a stento riescono a tramutare in arte tutte le idee che frullano nei loro cervelli, anche se spesso annebbiati.
Il successo arriva come uno Tsunami e non risulta facile gestirlo. I proverbiali equilibri costruiti sugli stenti condivisi di pochi anni prima si sgretolano e nel tempo l’unica certezza in casa Black Sabbath risulta essere Tony Iommi. Gli altri vanno e vengono, il chitarrista baffuto rimane. Ozzy intraprende una folgorante carriera solista, costituendo uno dei pochi casi nella storia dell’HM ove da uno split nasce un’altrettanto valida proposta sia in termini artistici che di vendite. McIver passa abbondantemente al setaccio anche quest’ultima incarnazione così come le vicende dello stesso Ozzy, a partire dalla love story con Sharon, senza tralasciare, in ultima analisi, il reality show trasmesso da MTV che l’ha reso famosissimo in tutto il mondo. Non da meno vengono raccontate cronologicamente le drammatiche vicissitudini di Bill Ward, a tratti davvero commoventi e quelle di Geezer Butler.
Oltre a colossi dietro al microfono come Ronnie James Dio, Ian Gillan, Glenn Hughes, Ray Gillen e Tony Martin il pianeta Black Sabbath è costellato anche da personaggi di diversa caratura, ma altrettanto intriganti, fatti su misura per chi ha il piacere di scoprire aneddoti. Gente come Ron Keel e David Donato, ad esempio. Troppo lungo citare il resto dei musicisti gravitanti intorno al gruppo, peraltro sviscerati abbondantemente uno ad uno nel libro. Numerose le chicche, come quando a sorpresa viene raccontato un episodio nel quale appare coinvolto addirittura Limahl, interprete stra-cotonato della Disco Music anni Ottanta.
McIver rifugge il sensazionalismo facile concentrandosi sugli episodi che hanno fatto la storia e per certi versi anche la leggenda dell’heavy metal, rifuggendo quelli non comprovati. Immancabili quindi i tragici siparietti fra Ozzy e i malcapitati volatili di diverse forme e dimensioni nei paraggi, le bevute di liquido organico da parte dello stesso e le Sue sbronze colossali. Tenendo conto di tutto questo Osbourne stesso rimane stupito dal suo successo tanto da affermare, verso la fine del libro: “Cammino per le strade di Los Angeles e mi sembra di trovarmi nel bel mezzo della Beatlemania! Insomma, sono soltanto un ca**o di impacciato cinquantatreenne di Birmingham!”.
Ogni disco, durante lo scorrere delle fitte pagine del volume, viene recensito traccia per traccia da parte dell’autore. La prosa è sobria, trasognata, tanto romantica in certi passaggi che val la pena davvero rileggersi alcuni pensieri con in sottofondo la stessa musica raccontata fra quelle righe.
Come da ormai tradizione Tsunami Edizioni, pochissimi i refusi, che si possono contare sulle dita di una mano, fra i quali un paio di perdonabili scivoloni su due straclassici come Iommi con la “y” e Barton con la “u”.
Black Sabbath non è soltanto la storia di un gruppo leggendario e imprescindibile sebbene privo di un vero e unico logo ma anche un piacevolissimo trattato sulla lunga parabola della musica heavy rock, con la possibilità di vedere citati almeno una volta i propri gruppi beniamini. Una splendida favola lunga più di quarant’anni che tuttora appassiona milioni di persone in tutto il mondo.
Stefano “Steven Rich” Ricetti