Recensione Libro: ”La Storia dei Judas Priest”

Di Stefano Ricetti - 23 Agosto 2011 - 11:48
Recensione Libro: ”La Storia dei Judas Priest”


Neil Daniels
LA STORIA DEI JUDAS PRIEST
Defenders of the Faith

Gli Uragani 10
320 + 32 pagine di foto
Formato 16×23
ISBN 978-88-96131-31-2
20,00 Euro

Tsunami Edizioni


 

 

La Storia dei Judas Priest – Defenders Of The Faith è la traduzione Italiana del libro di Neil Daniels in lingua inglese intitolato The Story Of Judas Priest – Defenders Of The Faith e vede la luce a opera della Tsunami Edizioni di Milano.

Dopo la prefazione, a tratti commovente, del cantante Al Atkins, assoluto protagonista della prima era del gruppo, il pallino passa nelle mani dell’introduzione dell’autore. Quattro pagine nelle quali, dopo le presentazioni di rito, si mette coraggiosamente a nudo ammettendo candidamente di aver provato a coinvolgere in maniera ufficiale la band ottenendo solamente la mancata approvazione del lavoro stesso da parte del management. A questo proposito Daniels chiosa: “Pur facendo dell’ottima musica, negli anni il gruppo ha anche preso delle decisioni discutibili, e questo libro si propone di parlarne”.            
    
La storia del Sacerdote Di Giuda viene percorsa dagli inizi, negli anni Sessanta, quando suonavano uno pseudo-blues e si protrae fino alla metà 2009, era album Nostradamus. Quattro decenni segnati da cappelli Stetson e camicie increspate, poi rimpiazzate da molta pelle e tantissime borchie, a segnare un’epoca anche per via del look, in seguito divenuto quello ufficiale dei gruppi legati all’etica tradizionalista dell’Acciaio. Le vicissitudini del combo proveniente dal Black Country consegnano alla leggenda album memorabili infarciti di pietre miliari del genere ma anche uscite di discutibile qualità che però non riescono a scalfire l’aurea di mito conquistata dai Nostri a suon di concerti in tutto il mondo. La genesi della parabola del benessere, in casa Judas Priest, è vecchia maniera: fame patita, freddo, chilometri macinati nella notte su e giù per il Regno Unito, sacrifici e delusioni cocenti. Inevitabile una line-up instabile nei primi anni e la parola fine a mo’ di liberazione personale dopo il sofferto abbandono del guerriero Al Atkins. Poi la resurrezione, con l’innesto di un uomo proveniente da Walsall, nord est di Birmingham, che fornisce la sua unica voce al Sacerdote e l’inizio di una nuova storia, con altri interpreti accanto a personaggi consolidati, quelli che il 99,9% del popolo metallaro degno di tale nome conosce per nome e cognome: Ian Hill al basso, Kenneth Downing detto KK e Glenn Tipton alle chitarre, Robert Halford alla voce. Intorno a questo nucleo diversi batteristi fra i quali John Hinch, Les Binks, il famoso Simon Phillips, Dave Holland, per finire con Scott Travis. Non solo successi ma anche lacrime e sangue, come quando vengono fortemente attaccati dal comitato PMRC negli anni Ottanta dopo il suicidio di due ragazzi nel Nevada e, in tempi più recenti, nel caso della condanna a otto anni di reclusione comminata a Holland per abusi sessuali a minori. Lo stesso Rob Halford, archetipo del cantante heavy metal anche per via dell’immagine dura e pura, scuote il mondo del Metallo alle fondamenta successivamente alla rivelazione della propria omosessualità nel febbraio del 1998, dimostrando un coraggio fuor dal comune. Lascerà addirittura la sua creatura, per un periodo, venendo sostituito da Tim Owens, un singer talentuoso al quale verrà poi molto discutibilmente addossata la responsabilità del calo di interesse del mondo nei confronti dei Judas.

La forza di La Storia dei Judas Priest – Defenders Of The Faith risiede nel fatto di riportare le dichiarazioni ufficiali di quanti hanno contribuito alle vicissitudini del gruppo, estrapolandole da interviste personali piuttosto che dalle riviste e trasmissioni di riferimento. Neil Daniels si è sbattuto parecchio per ricercare personaggi che ormai da tempo immemore non fanno più parte del mondo musicale attivo, riuscendoci, nella maggioranza dei casi, rendendo in questo modo ulteriormente interessante il lavoro.

Lo stile di Daniels è obiettivo, per quanto possa essere neutrale qualsiasi racconto riguardante un band della quale si prova ammirazione. Viceversa, se La Storia dei Judas Priest avesse traguardato l’ufficialità, ben più edulcorato e smussato agli angoli sarebbe risultato il racconto, probabilmente. L’autore definisce senza mezzi termini, ad esempio, il video di Breaking The Law una porcheria a malapena guardabile così come viene riportato il pettegolezzo relativo al celeberrimo album dal vivo del 1979 Unleashed In The East, in certi ambienti ribattezzato polemicamente Unleashed In The Studio, tanto per citare due dei tanti episodi nei quali non vengono risparmiate critiche alla band e al proprio management che, in un caso successivo all’allontanamento di Owens, gli comunica, seraficamente: “Tim, dovresti dimenticarti della parentesi con i Judas Priest”.   

La lunga orbita dei Sacerdoti di Giuda ha a che fare con una miriade di altre band, ovviamente. I Nostri, da  buoni pastori, hanno officiato i battesimi, in tempi diversi, dell’intero podio della NWOBHM: Saxon, Def Leppard e Iron Maiden in veste di supporter. Sono passate alla storia, e nel libro ci sono, le provocazioni e l’arroganza di questi ultimi nei confronti dei Judas tanto che, nonostante le riappacificazioni e le successive scuse di Harris & Co. KK Downing dichiara, nel 1987: “…continuano a non piacermi, è una cosa personale… non ci hanno trattato con rispetto… hanno sempre cercato si spodestarci e ci proveranno sempre”.         
 
Più indietro nel tempo, verso la fine degli anni Sessanta, uno showcase dei Priest vede presenziare fra il pubblico anche Robert Plant dei Led Zeppelin che, secondo il chitarrista dei Judas Ernie Chataway, non doveva tirarsela proprio per niente in quanto la sua band aveva copiato il Jeff Beck Group e poi aveva goduto il successo che ne è conseguito. Sempre rimanendo nell’orbita del dirigibile, i Judas hanno fatto da supporter per il loro due ultimi concerti della storia negli Usa, quelli di Oakland del luglio 1977.

A questo proposito, va sottolineato che i Judas Priest, signorilmente, hanno sempre trattato al meglio delle proprie possibilità oggettive i gruppi che hanno fatto loro da opener, viceversa non si sono mai fatti il minimo scrupolo nel prendere le distanze da tutti gli ex-membri tramite il management, arrivando addirittura a ignorarne l’esistenza. La vicenda della dipartita di Dave Holland, come raccontato nel libro, risulta sufficientemente illuminante e vera chicca risulta essere la lettera scritta dallo stesso direttamente dalla prigione all’autore, nel novembre del 2006, riportata fedelmente alle pagine 184 e 185.

Citazioni flash: Halford si permette di coniare un nuovo aggettivo all’interno del testo della canzone Rapid Fire, nel 1988 la Loro prima calata in Italia, Mike Muir dei Suicidal Tendencies oltraggia pubblicamente il gruppo nel periodo del processo negli Usa, i Judas cedono alla discutibilissima collaborazione con i re del Pop usa e getta SAW (Mike Stock, Matt Aitken e Pete Waterman) per tre pezzi.
        
Trentadue le pagine dedicate alle foto, in bianco e nero, con primizie gentilmente estorte ad alcuni dei protagonisti degli inizi da Neil Daniels. Fra numerose appendici che faranno la gioia dei die-hard fan dei combo britannico, vi è una facciata dedicata a una lista selezionata dei gruppi di supporto ai Judas, particolarmente elettrizzante per tutti gli ultras delle altre band che hanno avuto l’opportunità di incrociare la galassia dei Metal Gods.

Come tradizione, puntigliosa e verificata la traduzione dall’inglese all’italiano effettuata da Stefania Renzetti, pochissimi i refusi a parte qualche errore di battuta classicissimo: alcuni Glenn senza la seconda “n” e l’onnipresente guru  Barton con la “u”.    
     


…I Priest sono i difensori della fede… la fede è la musica heavy metal. E la difendiamo sotto ogni punto di vista… è una dichiarazione diretta a tutti”.  Rob Halford, 1983.   
 

 


Stefano “Steven Rich” Ricetti