Report – Scaligero Metal Party… la domenica
Evento: Scaligero Metal Party 2005
Report: Giorgio Vicentini
Foto: Veronica Mariani
Location: Teatro Tenda Estravagario – Verona
Entro nel teatro Estravagario con fare dubbioso per la seconda giornata dello Scaligero Metal Party. A pensarci, è strano arrivare ad un concerto metal indoor alle ore 16.30 e qualche dubbio sulle presenze effettive mi sovviene fin da subito. Conoscendo poi il metallaro italico, le sensazioni non sono del tutto positive. Comunque, è facile rendersi conto che radunare e coordinare otto gruppi con termine massimo di chiusura le 24.00, obbliga a scelte ovvie e vincolanti.
Ore 17 in punto e calcano il palco i primi della tornata: i partenopei Nameless Crime che ci accompagneranno per i canonici 30 minuti a suon di heavy metal estremamente volitivo. Buone doti tecniche, ma soprattutto un mare di voglia di divertirsi e di far partecipare il pubblico coinvolgendolo. Ammirevoli la grinta ed il sorriso genuino del singer Fabio Manda che senza soluzione di continuità sfrutterà ogni centimetro quadrato del palco alternando pose, corse da destra a sinistra, salti ed una buona tonalità vocale leggermente sporca ed adatta alle loro finalità. Band che non incontra i miei gusti, ma che mi ha saputo interessare in ogni caso con pezzi mediamente strutturati e suonati con energia ma precisione relativa (soprattutto per una delle due chitarre), riuscendo a distinguersi malgrado le condizioni tutt’altro che stimolanti. Grandissima passione.
Adorando il death metal che va a braccetto con tecnica e tradizione, non posso che gioire nel veder salire sul palco i giovani DeliriumXTremens, una delle due personalissime curiosità che cercavano soddisfazione.
Brutalizzato ma felice. Così mi sono sentito dopo lo show della cinquina bellunese, che proporrà pezzi estratti essenzialmente dal demo 2003 intitolato Cyberhuman. Death metal suonato come Dio (o Satana) comanda, brutale ed articolato, coeso e corposo, colmo di grinta e potenza. A condurre le danze il singer Alberto: biondo, quadrato e con un bel growl catarrosso e tagliente che non perderà colpi procedendo senza incertezze. A coadiuvarlo una band puntuale formata da membri capaci, con una menzione particolare per il batterista Thomas ed il chitarrista Fabio “Med”.
Potendo confrontare i due volti della band (che si è dimostrata estremamente gentile e piacevole anche fuori dal palco), noto che i brani proposti sul palco suonano ancor più potenti e d’effetto, riuscendo a superare qualche leggera carenza di “tiro” che potrebbe evidenziarsi da un ascolto in poltrona. Purtroppo, anche loro incapperanno nella sequela di intoppi tecnici inaugurata dai loro predecessori, che nel proseguo non si dimenticherà nemmeno dei colleghi più illustri. Problemi a parte, resta il fatto che i DeliriumXTremens sono una delle novità più interessanti che mi sia capitato di sentire recentemente in ambito death.
Dopo la sbronza di death metal è il turno del thrash nervoso e bellicoso dei Death Mechanism, per natura iroso ed aggressivo ma vittima, nell’occasione, di settaggi audio eccessivi a tal punto da creare vari momenti caotici ed involuti. Complice la resa sonora insoddisfacente, non riesco a valutare positivamante la prova del terzetto, che si lancia ciecamente in uno show dal baricentro spostato verso la brutalità e la violenza. Resteranno da parte manciate di precisione (necessaria vista la complessità di alcuni passaggi), prediligendo violenza e velocità di prim’ordine ma senza la giusta e costante dose di controllo. Ferraglia a profusione, volumi di chitarre e batteria a coprire per il 90% dello show la voce in puro thrash style ed una pioggia di feeling adatto al genere. Set molto energico ma poco calibrato, per una band che non si risparmia e che sotto sotto gode da pazzi suonando del sano massacro.
Col passare del tempo sembra che il destino dell’avvenimento sia già segnato e l’affluenza ridotta al lumicino accoglie gli heavy metallers Frozen Tears, che si dimostrano una band preparata ma non in sintonia con le mie predisposizioni, come già accaduto per i Namelss Crime. Pezzi ordinati dalle buone strutture, in qualche caso non particolarmente innovativi ma suonati con grinta, verve ed un’ammirevole pulizia esecutiva che sfortunatamente non riuscirà ad attrarmi. Ammetto di essere un totale profano in ambito heavy, pertanto non credo di poter dare giudizi che vadano oltre i miei gusti personali e mi limito a segnalare la sempre verde cover di “Creeping Death“ dei Metallica e l’ottima prova del giovane Rob Halford…, pardon, Alessio Taiti che, con un efficace “fare halfordiano”, inscena uno spettacolo piacevole e riuscito sotto tutti i punti di vista. Indubbiamente una buona band sulla quale evito ulteriori giudizi frettolosi e sicuramente superficiali.
Il giro di boa giunge con i padovani Abhor e scende il gelo nordico. Black metal furioso a tratti, ma anche rallentato ed inframezzato da break, sano debitore della tradizione consolidata e ricco di colpi scenici; una gioia (si può dire di un concerto black?) per chi si lascia alle rappresentazioni del maligno senza troppe domande superflue (originalità?). Pezzi eseguiti con coesione ed affiatamento, sonorità gelide dotate a fasi alterne di un buon dinamismo, che in alcuni casi perdono di mordente a causa di scelte compositive eccessivamente reiterate che ne minano la freschezza. Sempre d’effetto il mitico face painting accostato alle tuniche da frati neri, degno contorno alle pose da gran maestro cerimoniere dell’enorme singer Ulfhedhnir, agghiacciante nello scream e potentissimo nel growl, sputando sudore e vomitando sangue (finto) immerso nel fumo. Come capita in questi casi il commento credo sia semplice: il black metal è questo, chi lo segue può apprezzarne le sfumature ed il fascino, agli altri resteranno sulla bocca i soliti commenti.
Come annunciato dal singer degli All Souls’ Day, dalle ritmiche ultrafast del black si passa al lento incedere del classic doom ed arrivano le belle sorprese: i veronesi dipanano trame lente ed evocative oltre che efficacemente arrangiate, mostrando una band di musicisti esperti e rodati. Tra una battuta e l’altra, Alberto Caria non può esimersi del fare della triste autoironia riguardo i ritardi biblici (due anni?) sull’uscita del loro esordio (Into the Morning), mostrando quella sicurezza al microfono tipica di chi è conscio dei propri mezzi, riscontrabile anche nei suoi compagni di squadra ed in particolar modo in quel lento metronomo che porta il nome di Andrea Siliotti.
Contrariamente al lato musicale più che soddisfacente, non riesco a dirmi pago dei “costumi di scena”. Mi sarebbe piaciuta una maggiore cura del lato estetico, avrei preferito un’apparenza più omogenea e magari teatrale, in linea con la serietà e la maestosità del loro doom, oltre che più consona ad un combo tanto maturo musicalmente. In ogni caso sono commenti marginali, ascoltandoli restano sul piatto l’espressività ed il gusto per le melodie in chiaro stile Candlemass, sulle quali spicca la voce pulita e potente di Caria. D’ora in poi vi ordino di seguire con il mirino il percorso del loro esordio (sempre che non lo stiate già facendo).
“Cambio di campo” e la palla passa al primo dei due main event della serata: gli ex Krabathor (almeno per due terzi) ora Hypnos. Palate di valido brutal death deflagrante, a tratti eccessivamente monolitico ma suonato da personaggi che han saputo distinguersi nel metal estremo dell’est. Ahimè, si tratterà di una mini presenza sul palco, che sancisce il ritorno compiaciuto e partecipe di Bruno in Italia, dopo molti anni d’assenza (le loro ultime apparizioni risalivano al 2001). Pur avendo goduto di uno spettacolo squassante come un vero e proprio terremoto, devo ammettere di aver gradualmente perso interesse per il loro show, non riuscendo ad andare oltre il sadico piacere per l’effetto “demolitore” della sezione ritmica, dominata da un batterista vestito da martello pneumatico. Non posso dirmi realmente scontento della loro apparizione, ma velatamente deluso sì, attendendomi qualche pezzo in più da una ensemble di professionisti scafati che avrebbero meritato maggior spazio (la scaletta ha pescato abbondantemente dai primi lavori).
Ormai provato dalla lunga permanenza sotto “il tendone”, arriva finalmente il momento dei capofila Graveworm, che dimostrano immediatamente chi comanda. Proprio riguardo al termine “leadership”, mi piace sottolineare un simpatico aneddoto che renderà divertentissimi alcuni momenti del loro set: durante l’istituzionale cover di “Fear of the Dark“, tutti potrebbero ipotizzare un nugolo di esaltati a pogare e cantare sguaiati la famosa canzone dei Maiden, alcuni saprebbero immaginare un Stefan Fiori che si abbassa verso di loro per farli cantare al microfono, altri ancora riuscirebbero a paventare che lo stesso Fiori possa cedere il microfono ad una coppia di simpatici esaltati. Quello che vi sfido a prevedere è la successiva autogestione del palco da parte dei due con tanto di cantante ufficiale seduto sulle casse a godersi la scena: una coppia di pazzi in crisi mistica a disporre a piacimento del suo gruppo. Queste sono le scene per le quali vale la pena dire “io c’ero”. Tornando seri, promuovo senza remore gli headliners, sull’onda di una riuscitissima alchimia con il pubblico a suon di sfottò calcistici e battute assecondate a più riprese, suonando aggressivi e quasi perfetti all’interno di scelte audio che prediligeranno la potenza e l’impatto. Buona l’esecuzione, sostanzialmente precisa e fedele all’originale, con qualche sbavatura più che comprensibile ed ampiamente ripagata dallo spettacolo reso da Martin Innerbichler pesante come un maniscalco e veloce come un furetto. Scaletta intelligente, che avrà accontentato i presenti restando a cavallo tra i pezzi storici di As The Angels Reach The Beauty o Scourge of Malice oltre a quelli del recente di (Nu)topia.
Anche dal vivo resto soddisfatto dei nuovi componimenti, anche se il legame con il vecchio corso lo sento duro a morire, ritenendolo più caratteristico e vero marchio di fabbrica. Speriamo che la permanenza alla Nuclear Blast possa giovar loro.
Alla fine della serata non mancano i rammarichi ed una sensazione di vaga insoddisfazione, lasciando velocemente un concerto al termine del quale non è nemmeno necessario spingere per uscire. Un peccato in senso assoluto, in quanto un happening metal che va quasi deserto in uno spazio tanto ampio, fa un’impressione ancor più triste del normale. Obbiettivamente, il menu suonava di medio richiamo ma qualche interessante spunto da sondare c’era: i cecoslovacchi Hypnos, le giovani realtà nostrane, i Graveworm ed il buon lavoro dei fonici (ovviamente non preventivabile a priori). Purtroppo, lo Scaligero Metal Party (almeno per la seconda giornata alla quale ho assistito) ha sofferto di varie problematiche ormai croniche per il metal italico (affluenza), oltre ad alcune beghe e noie tecniche che hanno assalito ed assillato quasi tutte le band: addetti impegnati in incursioni lampo sul palco per assicurare i microfoni della batteria, chitarre e bassi che si zittivano di colpo ed a più riprese. Ho avuto l’impressione di una riuscita relativa dell’evento, indipendentemente dalla risposta del pubblico (valoroso) e dall’impegno dell’organizzazione. Quando si dice che “piove sul bagnato…”.
Concludo aggiungendo che potrebbe trattarsi dell’ultimo concerto dell’Estravagario così come lo conosciamo, visti i rumors sul suo prossimo futuro ampiamente confermati dagli enormi cartelloni edilizi che parlano di bonifica dell’area (oggettivamente da recuperare). Sinceramente mi auguro che dai lavori in programma possa trovare vita un nuovo Teatro Tenda, perché di grandi spazi per la diffusione della cultura c’è sempre bisogno, sperando che la prossima volta qualche unità in più preferisca perdersi le partite di calcio della domenica a favore del metallo tanto amato ma facilmente tradito.