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Shadow Gallery (Gary Wehrkamp)

Di Riccardo Angelini - 29 Ottobre 2009 - 0:16
Shadow Gallery (Gary Wehrkamp)

Chiunque mastichi un minimo di progressive sa bene che il ritorno degli Shadow Gallery è uno degli eventi più attesi della stagione. Abbiamo avuto la possibilità di commentare ‘Digital Ghosts’ in compagnia del chitarrista Gary Wehrkamp nel corso di una conversazione ampia e piacevole, nonostante l’ombra di un lutto ancora recente. Le risposte di Gary hanno toccato molti dei punti focali della recente storia della band, dall’arruolamento del nuovo cantante ai prossimi passi del combo statunitense, passando per i suoi progetti da solista e molto altro ancora. Ne sono venute fuori delle belle…

Gary, non oso pensare quanto possa essere stato difficile l’ultimo anno per te e gli altri. C’è mai stato un momento in cui avete pensato di chiudere tutto e sciogliere la band?

No, non abbiamo mai pensato di smettere. C’è stato un periodo in cui ci è passato per la mente di tutto, mentre cercavamo di superare quel momento difficile, ma si trattava di capire quale fosse il modo migliore di continuare, di rendere onore a Mike portando a termine il lavoro che avevamo iniziato.

Quindi stavate già lavorando sul nuovo album da tempo, giusto?

Esatto, abbiamo cominciato subito dopo l’uscita di ‘Room V’. Brendt ha cominciato a scrivere nuovo materiale, dal quale è uscita poi la canzone ‘Venom’. In seguito siamo stati occupati con altre cose e non ci siamo rimessi al lavoro individualmente per un anno o due. Circa un anno e mezzo fa abbiamo ricominciato a mettere insieme qualche demo.

Di certo i vostri fan sono abituati a pause piuttosto lunghe fra un’uscita e l’altra. È una decisioni specifica?

Non è di sicuro una scelta specifica. Più che altro, di solito quando finiamo un album ci dedichiamo per un po’ al privato: suonare con gli Shadow Gallery non è il nostro unico lavoro, ma soltanto una parte di quello che facciamo.

Ci sono state molte speculazioni sull’identità del nuovo cantante, alla fine la scelta è caduta su Brian Ashland, un nome totalmente nuovo per la scena metal. Poteva essere un rischio, ma alla fine mi pare che sia andata più che bene…

Ashland è un nome nuovo a tutti gli effetti. Quelli che lo hanno già sentito lo conosceranno perlopiù come compositore e chitarrista in una band chiamata Ptolemy. Credo che siano stati inattivi negli ultimi due o tre anni. Ci siamo imbattuti in lui in un modo piuttosto insolito…

Racconta, racconta!

Eheh, cercherò di essere breve. Stavo costruendo uno studio di registrazione sul terreno della mia abitazione, il responsabile delle costruzioni si chiamava Rich ed era a sua volta un musicista. Mi parlava della sua band e del suo cantante, Brian Ashland. Mi fece sentire un paio di pezzi scritti dallo stesso Brian: mi piacquero molto, così mandai a quest’ultimo una mail per chiedergli se voleva comparire come guest su un altro disco su cui stavo lavorando ai tempi, ‘Voice In The Light’ degli Amaran’s Plight. Lui rispose di essere molto interessato, anche se in quel momento aveva parecchi impegni. Ci sarebbero volute comunque alcune settimane prima che lo studio fosse pronto, quindi rimanemmo d’accordo per risentirci di lì a breve. Poi però ci furono dei problemi con la costruzione dell’edificio, i lavori rallentarono e servirono altri cinque mesi prima che tutto fosse pronto. Non ci fu tempo per chiamare gli ospiti che avrei voluto sul disco, fummo costretti a chiudere alla svelta, così mandai un’altra mail a Brian per scusarmi. Se non che il suo indirizzo nel frattempo era cambiato e io non riuscii a contattarlo. Questo succedeva circa quattro anni fa. Quando poi giunse il momento di decidere come portare avanti gli Shadow Gallery considerammo molte opzioni diverse. Potevamo cantare noi stessi, oppure chiamare un nome noto del settore. Lui fu una delle ultime persone cui pensammo, e quando provai a chiamarlo tutti i suoi riferimenti erano scomparsi. La band, il sito web, il numero di telefono, l’indirizzo: non c’era più nulla. Di fatto era come se fosse svanito dalla faccia della terra. Lo rintracciai, o credetti di averlo rintracciato in Texas, vale a dire a 1500 o 2000 miglia da dove vivo, ma alla fine anche lì non trovai nulla. Cominciai a valutare persino l’idea di mettere online una ricompensa per chi lo avesse trovato, perché nessuno sapeva che fine avesse fatto. Nella mia corrispondenza con Carl (Cadden-James, Ndr) e Brendt (Allmann, Ndr) dicevo che stavo continuando a cercare, ma senza fortuna. Poi un giorno allegai anche una sua foto che trovai per caso, visto che fra l’altro non l’avevo mai visto in faccia. Qualcosa come un minuto dopo il telefono suonò e Carl mi disse: “Conosco questo ragazzo, lavoro con lui”. Venne fuori che lavoravano nello stesso edificio, per la stessa compagnia. Così alla fine riuscimmo a contattarlo. Il finale è quello che sai.

Alla faccia della storia insolita! Dimmi ancora una cosa: sento che sul nuovo album abbondano i cori; è qualcosa che avevate deciso fin dall’inizio, oppure si è trattato di una scelta successiva all’ingresso di Brian, per aiutarlo a trovare il suo posto nella band?

Bella domanda, non me l’aveva ancora chiesto nessuno. Di solito, nei cori in cui vogliamo sovrapporre molte voci cantiamo tutti, e di solito lo facevamo una volta che Mike aveva finito le sue parti, tutti insieme. Questa volta avevamo una tabella di marcia molto stretta e non c’è stato tempo di aspettare Brian, quindi abbiamo cantato i cori da soli. Di conseguenza trovi questa separazione: lui che canta sulla strofa, noi sul coro. Ma del resto non credo che ci fosse bisogno di una voce in più, avrebbe dato un tono diverso alle melodie.

Oltre a Brian, ci sono un paio di ospiti al microfono…

Sì, abbiamo Ralf Scheepers, con cui avevamo cercato di entrare in contatto già sul nostro album precedente: siamo molto contenti di esserci riusciti stavolta, lavorare con lui è stata un’esperienza grandiosa. Inoltre abbiamo Clay Barton, che canta in una band chiamata Suspire. Vive abbastanza vicino a noi: era venuto qui una volta per registrare ed è stato molto piacevole collaborare con lui. È un cantante di grandissimo talento, oltre che una gran bella persona.

C’erano state anche voci su una possibile partecipazione di DC Cooper…

Sì, avevamo pensato a lui anche prima di quel che è successo a Mike… Sai, quando cominciamo a lavorare su un album ci poniamo alcuni obbiettivi generali. Io avevo tre obbiettivi in particolare. Uno, continuare la storia di ‘Cliffhanger’, cosa che alla fine non siamo riusciti a fare. Due, quello di fare una canzone con un duetto, e DC Cooper era il nome perfetto per realizzarlo. Tre… ehm, il terzo me lo sono dimenticato! (risate, Ndr). In ogni caso, ho contattato DC, che è un amico e ha collaborato con me su altri progetti: doveva scrivere un pezzo per noi e cantare su ‘With Honour’. Purtroppo però ha avuto degli imprevisti, è stato in Europa per un certo periodo e noi abbiamo dovuto rispettare la deadline. Quando è tornato ha detto che avrebbe fatto tutto ciò che poteva, quindi ha cantato su una traccia che comparirà sul disco bonus dell’edizione giapponese.

Ecco, lo sapevo! ‘Sti giapponesi hanno sempre tutte le fortune. Li sto odiando un po’…

Non è colpa loro! (risate, Ndr)

Tornando all’album, se ‘Room V’ si avvicinava a ‘Tyranny’, ‘Digital Ghosts’ mi ha ricordato in varie parti ‘Legacy’. Il richiamo è voluto?

Non ci avevo pensato. Credo che ‘Digital Ghosts’ faccia storia a sé, ma fra le parti progressive in effetti ce ne sono alcune che mi ricordano ‘Legacy’. Mentre i pezzi di ‘Room V’ avevano una loro struttura che poteva essere basata sul piano o sulle chitarre, ‘Digital Ghosts’ e ‘Legacy’ sono più progressive, per molti versi.

L’album esce in Europa su InsideOut. Per qualche settimana siamo rimasti tutti col fiato sospeso circa il destino della label, visto che il fallimento di SPV rischiava di travolgerla in pieno. Voi come avete vissuto la situazione?

Non è stato un grosso problema, al di là di quale piccola preoccupazione per le sorti dell’album (risate, Ndr). Eravamo in contatto con la InsideOut e sapevamo esattamente che cosa stava succedendo con la SPV, ci hanno tenuti aggiornati durante tutto il processo di cambiamento e ci hanno spiegato le opzioni che avevamo davanti. Quello che è successo è esattamente quello che avevano detto, perciò tutto si è risolto bene. Penso che il passaggio sotto Century Media sia stato una bella mossa per tutti.

Parliamo un po’ di te: oltre agli Shadow Gallery, negli ultimi anni sei stato impegnato con altri progetti, fra cui Amaran’s Plight, Roswell Six ed Expedition Delta. Ti va di parlarmene?

Con gli Expedition Delta ho collaborato un po’ di tempo fa. Ho fatto amicizia con Srdjan Brankovic, che è stato anche ospite sul nuovo album, e ho rappresentato la sua band con la mia azienda di managment per farli firmare con Progrock Records negli Stati Uniti. La collaborazione con i Roswell Six è stata una vera rigenerazione per me. Il fatto di dover soltanto suonare la chitarra, senza tutto il lavoro di composizione e arrangiamento che devo fare con Shadow Gallery e Amaran’s Plight, è stato liberatorio. Lavorare con Erik Norlander è sempre un piacere, ha le idee molto chiare su quello che vuole fare con la sua musica ed è molto divertente suonare con lui.

E per quanto riguarda gli Amaran’s Plight?

Quello è fra i tre il progetto che mi ha coinvolto di più, visto che dovevo anche scrivere le canzoni e gestire la produzione. Si è sviluppato nel corso di sei anni, ed è stato pieno di interruzioni e ripartenze. Quando sono riuscito a finirlo ho tirato un sospirone di sollievo. Fra i dischi che ho fatto negli ultimi cinque o sei anni è l’unico che riesca ad apprezzare totalmente, sono molto legato ad alcuni di quei brani e al modo in cui sono usciti.

Possiamo quindi sperare in un seguito di quel progetto?

Ne abbiamo parlato, visto che il primo disco è stato accolto piuttosto bene. C’è molto da stabilire, riguardo a chi deve fare cosa e in quanto tempo. Non volevo farne una priorità rispetto al nuovo Shadow Gallery, cosa che di fatto stava già succedendo, visto che il completamento dei lavori per Amaran’s Plight è una delle ragioni del ritardo di ‘Digital Ghosts’. Sentivo l’esigenza di fare degli Shadow Gallery il mio focus principale, e DC Cooper probabilmente si è sentito allo stesso modo rispetto agli altri suoi progetti. Non dico che non ci siano possibilità per un nuovo disco, ma per il momento non ho piani a riguardo.

Torniamo un attimo agli Shadow Gallery, anche se questa volta vorrei farti una domanda extra-musicale. Il nome della band è tratto dalla celebre graphic novel di Alan Moor ‘V for Vendetta’. Probabilmente sarai già familiare con il fumetto, quindi mi piacerebbe sapere se ti è piaciuta la trasposizione cinematografica.

In effetti il nome lo trovò Brendt. Io sono arrivato dopo, quando la band si chiamava già così. Non ho nemmeno mai letto la graphic novel, quindi non ne so una mazza…

Ah bene! Ma almeno il film lo hai visto, sì?

Sì sì, è stato piuttosto divertente vedere il nome Shadow Gallery comparire in un film a tanti anni di distanza. (risate, Ndr) Tra l’altro non mi è sembrato fatto male, credo sia un film piuttosto godibile.

Torniamo a parlare di musica suonata. Gli Shadow Gallery non si sono mai esibiti dal vivo fino a oggi. C’è speranza di vedervi su un palco prima o poi?

La risposta migliore è: lo spero. Ma non c’è nulla di sicuro a riguardo.

Se ci fosse la chance di suonare in qualche evento particolare, anziché in un tour vero e proprio, considerereste la possibilità?

Assolutamente sì!

E allora speriamo che qualche organizzatore europeo di buona volontà sia in ascolto, magari in previsione dei festival della prossima estate… Nel frattempo, quali sono i tuoi piani per il futuro imminente?

Innanzitutto promuovere il nuovo album in ogni modo possibile. Visto che non abbiamo ancora organizzato un tour, dobbiamo fare di tutto perché il disco raggiunga le persone. Il prossimo mese gireremo anche un video…

Ah, questa è una notizia. È il vostro primo video, no?

Esatto. Oltre a questo, per quanto mi riguarda, ho portato a termine da poco una collaborazione con un artista di nome Doug Rausch. È stato un lavoro molto interessante, che ha coinvolto anche il nostro batterista, Joe Nevolo. L’album dovrebbe uscire a breve, anche se non so esattamente quando. Sono molto curioso di sentire la versione finale missata e masterizzata.

Facciamo un passo indietro. Anzi, facciamone cinque: il primo album degli Shadow Gallery è ormai una reliquia del progressive metal. All’epoca il disco fu pubblicato in tutta fretta, con una drum machine programmata per gran parte dei brani e una qualità audio scadente.  Avete mai pensato a pubblicarne una versione rimasterizzata?

Innanzitutto ti dirò che sono davvero stupito di sentirmi rivolgere così spesso questa domanda (risate, Ndr). In secondo luogo, non credo che rimasterizzarlo sarebbe una buona idea. Il problema di quell’album non è il mastering, è la limitatezza dei mezzi nell’intero processo di registrazione. Gli Shadow Gallery allora erano un gruppo di ragazzi che non avevano altro equipaggiamento se non un microfono, un amplificatore e un piccolo otto tracce. Eccettuate poche parti vocali registrate in un altro studio, venne realizzato interamente in una cantina. La maggior parte dell’album voleva essere soltanto un demo realizzato con molta cura, uno schizzo di quello che avrebbe dovuto diventare il progetto finito l’anno dopo. Ma non ci fu la possibilità di realizzarlo. Probabilmente al tempo la band e la label ritennero che in quel sound ci fosse abbastanza magia per pubblicarlo così com’era. Quando poi si presentò la possiblità di rifarlo, la band non lo ritenne necessario e procedette oltre registrando nuovo materiale, in una direzione differente. Io all’epoca non c’ero, quindi penso di essere quello più interessato a riregistrare una ‘Say Goodbye To The Morning’ per farne una versione più moderna. Si tratterebbe di rifarla ex novo. Ma non credo che nessuno nella band abbia intenzione di tornare indietro fino a quel punto.

Allora ti affido il compito di persuaderli a farlo.

Beh, in effetti c’è un’altra opzione. C’è una canzone che avrebbe dovuto essere inclusa su quel disco e gli si avvicina molto nelle atmosfere. A mio avviso è un pezzo spettacolare, avevo anche pensato di includerla su questo album, ma alla fine non se ne è fatto nulla. In futuro però potremmo ripensarci…

Forse non te ne rendi conto, ma hai appena creato una piccola leggenda metropolitana. Ora molti, a partire dal sottoscritto, peneranno all’infinito chiedendosi come sia quel pezzo… Se non altro, dalle tue parole capisco che le voci secondo le quali ‘Digital Ghosts’ sarebbe stato l’ultimo disco degli Shadow Gallery non hanno fondamento…

Non ho la sfera di cristallo e non posso prevedere il futuro, ma se dipende da me ‘Digital Ghosts’ è ben lungi dall’essere l’ultimo album degli Shadow Gallery.

Mi fa molto piacere sentirti dire questo Gary. Credo di interpretare un sentimento comune se ti dico che tutti speriamo che tu voglia continuare a suonare la grande musica che hai portato avanti negli anni. Gli Shadow Gallery sono qualcosa che il mondo della musica non può e non deve perdere.

Grazie a te Riccardo. Noi siamo molto felici di poter suonare quello che ci piace senza imposizioni né vincoli commerciali. Il fatto che ci siano persone ancora interessate a questo tipo di musica è fantastico, e ci permette di avere la soddisfazione di dedicarle la nostra vita. Credo che ogni fan sia parte integrante dell’equazione che ci permette di andare avanti. Quindi non posso fare altro che dire un grande grazie generale a tutti voi.

Riccardo Angelini