Testament: live-report Milano 11 maggio 2005
Una doverosa premessa: il report che segue è stato redatto dal sottoscritto pochi giorni dopo la calata dei Testament a Milano e arriva in colpevole ritardo a causa di problemi tecnici e logistici – quale altra definizione usare? – che hanno compromesso la pubblicazione dell’articolo. Buona lettura!
Serata all’insegna del revival l’11 maggio a Milano: al Rolling Stone sono di scena i Testament in formazione classica, un appuntamento imperdibile per chiunque si professi amante del buon vecchio thrash metal a stelle e strisce. L’evento è dato per sold-out da più di un rivenditore, sebbene qualche biglietto avanzi ancora al botteghino del locale: sono tanti gli appassionati accorsi nel capoluogo meneghino da ogni parte d’Italia, nonostante la scelta infelice di una tappa infra-settimanale per la calata del five-piece di Oakland, ritornato in pompa magna in Europa per un mini-tour celebrativo (peraltro già concluso al momento della pubblicazione). A scaldare il pubblico in attesa dell’esibizione di Peterson e soci sono chiamati ben tre gruppi: nell’ordine, Divine Empire, Demolition e Susperia. Troppa carne al fuoco? Può darsi, ma senz’altro è sembrato il metodo più semplice per colmare i tempi morti lasciati dagli headliner, alle prese con un set non troppo generoso – aspetto, a onor del vero, prevedibile se si considerano i pochi mesi dedicati dalla band alle prove in studio prima del blitz nel Vecchio Continente.
Persi per ragioni logistiche i Divine Empire, opener della serata, sono gli austriaci Demolition ad accogliere il sottoscritto nell’affollata discoteca di corso XXIII marzo, già visitata con soddisfazione in occasione del passaggio dei Kreator lo scorso febbraio. Con quasi dieci anni di storia e un’intensa attività live alle spalle, il combo viennese suona un thrash metal onesto e senza pretese, che sa scaldare le prime file pur senza far gridare al miracolo: il recente Existence (2004) è prevedibilmente il capitolo più saccheggiato dalla scaletta del giorno, con brani come Necromancer a raccogliere i primi timidi consensi tra i paganti. Il simpatico frontman Wolf intrattiene il pubblico con un mix di inglese e italiano, pur senza togliere ai compagni minuti preziosi nell’economia dell’esibizione: la band suona compatta e divertita, strappando a fine set alcuni meritati applausi, se non altro per la professionalità dimostrata sul palco.
Terminata l’esibizione dei Demolition è il momento dei Susperia, senza dubbio il gruppo di maggior richiamo tra i supporter in azione al Rolling Stone. La band norvegese, che include in line-up il rinomato batterista Tjodalv (vecchia conoscenza dei Dimmu Borgir), propone un thrash metal molto personale, con diverse contaminazioni melodico-sinfoniche che derivano inevitabilmente dal passato dei musicisti coinvolti – oltre al già citato Tjodalv ecco Memnock (già bassista negli Old Man’s Child) e Cyrus, chitarrista con alle spalle una collaborazione con i Satyricon. Detto questo, la band non è in gran serata e suoni piuttosto scarsi (inevitabile quanto ingeneroso compromesso per tutti i support-act di questo mondo), sommati ad una selezione di brani di non facile presa sull’ascoltatore, fanno il resto. Peccato, perché l’ultimo album Unlimited, uscito l’anno scorso, rischia di passare inosservato alla luce di queste esibizioni. Rimandati.
Dopo una formalità che ha complessivamente portato via un paio d’ore (non me ne vogliano i gruppi in cartellone, ma è questa l’impressione che traspare da occhiate e parole dei tanti presenti), ecco il momento tanto atteso: dopo ben tredici anni di assenza dalle scene tornano i Testament in formazione originale, quella che per i meno informati ha inciso alcune tra le pagine più belle del thrash metal tutto. Un’ovazione da stadio accoglie le note di The Preacher, e mai scelta fu più azzeccata per inaugurare una scaletta piena zeppa di classici e qualche gradita sorpresa, come si vedrà nel corso della serata. Fa tremendamente effetto rivedere la coppia d’oro Peterson-Billy assieme ai compagni di vecchie avventure: Alex Skolnick, con la sua inseparabile Ibanez rosso fuoco, Greg Christian, visibilmente dimagrito e il duo John Tempesta–Louie Clemente a spartirsi (con esiti diversi) il drumkit. L’evento ha il sapore di una grande festa, ed è tangibile l’emozione dei presenti quando lo stesso Skolnick introduce con classe inimitabile la successiva The New Order, tanto per ribadire il menu della serata. The Haunting trasforma un Rolling Stone stipato in un gigantesco mosh-pit, e solo l’approccio più meditato e orecchiabile della doppietta Electric Crown–Sins Of Omission, peraltro eseguita brillantemente, fa rifiatare per qualche minuto i presenti. Into The Pit conferma lo stato di salute del five-piece di Oakland, con Eric Peterson (prevedibilmente in ombra) a macinare riff granitici per il vocione impetuoso di Chuck Billy, apparso in piena forma per la gioia di chi, qualche anno fa, aveva temuto il peggio.
Poderose versioni di Souls Of Black e Trial By Fire, in aggiunta all’accattivante Practice What You Preach e al pathos di The Legacy (gradita chicca!), mantengono il concerto su standard davvero elevati, sebbene lo spettacolo non sia esente da pecche: prima fra tutte, la qualità non sempre eccelsa dei suoni, capace di rovinare la resa di una killer-track come Over The Wall, totalmente stravolta durante il celebre assolo di Skolnick; seconda, ma non meno importante, la prestazione incolore di Louie Clemente, uscito distrutto dal confronto con John Tempesta (impegnato nella prima metà del set), di ben altra pasta. Last but not least, una scaletta sinceramente un po’ corta, che a malapena ha superato l’ora di musica suonata e ha inspiegabilmente lasciato fuori altri brani peraltro suonati nelle date precedenti del mini-tour. Detto questo, i Testament hanno comunque offerto un concentrato di qualità e potenza difficilmente uguagliabile da molti colleghi, fugando sul campo qualsiasi dubbio riguardo alla bontà di un’operazione come questa. I più scettici sono pregati di informarsi da qualche presente: con molta probabilità, il malcapitato di turno avrà ancora Raging Waters o Disciples Of The Watch (unici encore della serata) a fischiargli nelle orecchie…
Federico ‘Immanitas’ Mahmoud