Live report: Volbeat + Airbourne + Kvelertak a Milano (MI)

Di Paolo Redaelli - 11 Luglio 2014 - 9:00
Live report: Volbeat + Airbourne + Kvelertak a Milano (MI)

VOLBEAT + AIRBOURNE + KVELERTAK
02/07/2014 @Ippodromo del Galoppo, Milano (MI)

 

 

Serata di grande musica (e non solo) con tre delle migliori band del momento. I danesi Volbeat e gli australiani Airbourne, accompagnati dai Kvelertak, una delle band rivelazione degli ultimi anni, hanno regalato al pubblico dell’Ippodromo il Galoppo di Milano tre show che rimarranno certamente impressi nella loro memoria. Ma entriamo un po’ più nel dettaglio.

 

Lessi per la prima volta il nome “Kvelertak” circa un anno fa in un articolo su di un loro concerto tenutosi a San Francisco. Tra il pubblico spiccavano due personaggi illustri: James Hetfield dei Metallica e Robb Flynn dei Machine Head: due star di questo calibro di certo non si scomodano per nulla. La curiosità di vedere all’opera i Kvelertak era dunque tanta, soprattutto con dei supporter di questo livello, ed è stata ampiamente ripagata. Dopo una lunga attesa davanti ai cancelli dell’Ippodromo, il pubblico inizia ad entrare praticamente in contemporanea con l’inizio del concerto dei norvegesi. I sei ci regalano una ventina di minuti di puro e sano rock n’ roll: nessuna pausa, solo sudore, musica e tanto divertimento. Il tatuato Erlend Hjelvik (voce) si presenta a petto nudo e con energia da vendere e neanche il rovinoso scivolone di cui si è reso protagonista riesce a frenare il suo entusiasmo. Il breve set termina con il cantante che sventola una bandiera nera con una “K” bianca al centro. Applausi meritatissimi per una band ancora giovane, ma già capace di farsi valere di fianco a gruppi più navigati. Continuate così!!!

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Carichi come non mai, i Nostri  salgono sul palco con alle spalle un telo raffigurante la copertina della loro ultima fatica discografica, l’ottimo “Black Dog Barking”. Si parte subito con “Ready to Rock” e nel parterre è già festa; c’è chi canta, chi alza le mani al cielo, chi salta e balla…nessuno, insomma, riesce a star fermo. Si continua con “Too Much, Too Young Too Fast”, sulle cui note gli Airbourne mostrano la grande differenza tra il semplice “suonare” e il rendere il pubblico il vero protagonista della serata. Joel O’Keefe (chitarra e voce) durante lo show corre da una parte all’altra del palco,  apre lattine di birra con la testa e si agita come un ossesso ma l’episodio certamente più curioso rimane il coreografico assolo di chitarra, eseguito usando solo la mano sinistra e scolando una bottiglia di vino con l’altra sulle note di “Cheap Wine & Cheaper Women”. Lo show si conclude con l’ormai celeberrima “Runnin’ Wild” arricchita da un omaggio a Black Sabbath, con l’inserimento della parte introduttiva di “Paranoid”. Essendo la mia prima volta con i quattro australiani non sapevo cosa aspettarmi e, pur predeiligendo una maggiore quantità di canzoni in scaletta in luogo delle troppe chiacchiere, devo riconoscere che gli Airbourne ci hanno regalato un’ottima ora di rock n’ roll condita da grande simpatia. Sicuramente i presenti (me compreso) non si sono annoiati e hanno apprezzato lo show offerto. Le influenze da parte degli AC/DC sono innegabili, ma gli Airbourne ormai sono una band matura, con un’identità propria, che non ha nulla da invidiare al gruppo dei fratelli Young. Bravi, divertenti, ma da rivedere durante uno show da headliner. 

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Poco dopo le 21:00 parte “Born To Raise Hell” dei Motorhead come intro e i presenti iniziano a scaldarsi. Davanti a noi solo un telo nero che cela ciò che sta avvenendo sul palco. Al centro del telo c’è il “teschio alato”, simbolo della band, con indosso un cappello da cowboy e una bandana con i colori del tricolore italiano. Dopo l’intro il telo cade, partono in cielo diversi fuochi d’artificio ed entrano in scena i Volbeat. La scenografia è a dir poco strepitosa e catapulta il gruppo e il pubblico in un cimitero del Far West: oltre al classico telone sullo sfondo, sul palco sono presenti cancellate, una croce sulla destra e una lapide con il semplice epitaffio “RIP LOLA MONTEZ” sulla sinistra. Anche l’impianto luci non è da meno: degni di nota i tre scudi luminosi che imperano nella parte superiore del palco.
 

Le premesse sono ottime così come i due pezzi di apertura; bastano “Doc Holiday” e “Hallelujah Goat” per far esultare i presenti. Michael Poulsen (chitarra e voce) lascia gli abiti rockabilly-style indossati a Trezzo sull’Adda, per indossare t-shirt e gillet ricoperto di toppe. Il nostro “Danish Elvis” ormai è un frontman affermato: scherza e interagisce moltissimo con le prime file e bastano pochi pezzi per spettinarsi a suon di headbanging (con tanto di rituale del pettine, estratto dalla tasca del pantaloni e usato per sistemare la sua pettinatura pompadour). Rob Caggiano (chitarra) è in ottima forma e, come il resto della band, corre da un lato all’altro del palco regalandoci ottimi esempi di virtuosismo chitarristico; è innegabile quanto il suo arrivo nel gruppo abbia influito sulla musica del Volbeat. Il premio simpatia va, tuttavia e senza ombra di dubbio, a Anders Kjølholm (basso) che continua ad ammiccare e a regalare sorrisi e plettri ai fan in delirio. La setlist scelta dai Volbeat pesca in modo omogeneo da tutto il loro repertorio e fa piacere vedere come pezzi nuovi  quali “Lola Montez” siano accolti con lo stesso calore con cui vengono cantati i grandi classici come “Fallen”, “Radio Girl” o la ormai celeberrima “Sad Man’s Tougue”, introdotta come da consuetudine da “Ring of Fire” di Johnny Cash. Il vero colpo di scena arriva con “Dead But Rising”: il telo sullo sfondo cade mostrando un teschio alato rockabilly e, mentre i Volbeat suonano, i presenti assistono a coreografici giochi di fuoco che ricordano quelli già visti durante gli show di Metallica e Iron Maiden. Con la celeberrima “Still Counting”, cantata a gran voce dal pubblico, i nostri escono di scena per poi rientrare in grande stile con “Pool of Booze, Booze, Booza” accompagnati da fiammate a tempo di musica e giochi di luci a go go. “Guitar Gangsters & Cadillac Blood” e “The Mirror and the Ripper” sono, infine, i pezzi scelti dai Volbeat per concludere un’ora e mezza di show che i presenti ricorderanno per molto tempo e che gli assenti rimpiangeranno di aver perso. Lo show dei danesi all’Ippodromo il Galoppo di Milano è stato qualcosa di memorabile, rovinato solamente dalla scarsa affluenza. Sicuramente la concomitanza di eventi come il Sonisphere a Roma (durante il quale hanno presenziato anche i Volbeat) e il concerto dei Soundgarden a Villafranca di Verona lo stesso giorno non hanno aiutato, ma una serata come questa avrebbe meritato un maggior riscontro.

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Setlist:
01. Doc Holliday
02. Hallelujah Goat
03. Boa [JDM]
04. Lola Montez
05. Sad Man’s Tongue
07.
08. 16 Dollars
09. Dead But Rising
10. Fallen
11. Radio Girl
12. The Nameless One
13. Ecotone
14. Maybellene I Hofteholder
15. Still Counting

Encore:
16. Pool of Booze, Booze, Booza
17. The Hangman’s Body Count
18. Guitar Gangsters & Cadillac Blood
19. The Mirror and the Ripper

Live Report a cura di Paolo Redaelli