Heavy

Live Report: Acciaio Italiano Festival 9 @ Arcitom, Mantova, 20/4/2019

Di Stefano Ricetti - 3 Maggio 2019 - 12:58
Live Report: Acciaio Italiano Festival 9 @ Arcitom, Mantova, 20/4/2019

Guerra dei poveri: lungi da noi!

Sgombriamo sin da subito il campo da eventuali fraintendimenti: questo live report a doppia firma (Truemetal e Loud And Proud) è stato deciso in concerto fra le due realtà il giorno stesso del festival. Una volta si era soliti dire che lo spirito dell’HM albergasse sotto l’egida di una bandiera comune. Poi tutti abbiamo visto come le cose si sono poi incanalate, nel Bel Paese dell’orticello, delle logiche del Campanile e dove la sconfitta dell’avversario vale di più di una propria vittoria, se mai dovesse arrivare quest’ultima…

Noi di Truemetal.it e Loudandroud.it, in quest’occasione, abbiamo deciso di ripercorrere le vecchie, sane abitudini, all’insegna dell’unità di intenti. E dell’amicizia.

Eccovi quindi servito il live report dell’Acciaio Italiano festival 9, svoltosi lo scorso sabato 20 aprile nella cornice mantovana dell’ArciTom.

Buona lettura.

Steven Rich & Massimo Incerti Guidotti

 

ACCIAIO ITALIANO 9 DEFINITIVA

 

 

In quel di Mantova ancora una volta il bel tempo bacia le toppe borchiate e le numerose capocce – in molti casi con qualche capello in meno della passata edizione, ahinoi… – dei convenuti per godersi lo spettacolo assicurato dalle band presenti alla nona edizione dell’Acciaio Italiano Festival. Mastermind e Team Principal di questo appuntamento divenuto ormai un classico del panorama alive nazionale Antonio Keller, oltre a coloro i quali si sbattono per la riuscita della manifestazione, tutti uniti sotto lo striscione piratesco della Jolly Roger Records.

Stessa location dell’anno scorso: quell’Arci Tom eretto sopra il supermercato Famila: sotto le famiglie che fanno la spesa e sopra la “famiglia allargata” dei metallari a fare un po’ di casino. Leonardo Sciascia diceva: “A ciascuno il suo”. L’Arci Tom è una struttura che sa cavarsela bene, che punta sulla libertà di movimento e sui grandi spazi a disposizione, che sono poi quelli che fanno la differenza, in questi casi. E’ notorio, infatti, che durante un festival la gente si muova, che sia convenuta per quella o quell’altra band e che quindi l’area concerti venga utilizzata quando effettivamente vi è interesse. Il tempo viene spalmato lungo tutta la giornata in vari modi: in primis per le esibizioni live, se coinvolti dalla performance, ma anche per fare acquisti presso le varie bancarelle rifornite di vinili. Non è passata inosservata la “prima” all’Arci Tom della gloriosa Minotauro Records. Il locale, nell’area esterna, è poi l’ideale per scambiare quattro chiacchiere senza essere ammassati. Vivibilità al meglio quindi, cosa che evidentemente anche per questa nona edizione è stata apprezzata. In termini di affluenza “c’era la gente che doveva (e voleva) esserci”. In Italia, nel 2019, difficilmente ci si può attendere di più. Nel momento in cui lo spazio  preposto per i concerti risulta quasi pieno, sul finire della giornata, c’è da essere soddisfatti. Keller ha allestito un bill variegato, in grado di stuzzicare l’interesse di appassionati che spaziano fra i vari generi. Da qualche edizione manca il coup de théâtre, questo va sottolineato, ma probabilmente è molto più semplice ingaggiare band che non si fanno troppe menate di sorta che spendere energie per convincere vecchi tromboni pieni di pretese.  Certi artisti, nel loro immaginario, pensano ancora di essere nel 1985 e in grado di radunare delle folle, non rendendosi conto che nel 2019 solo pochissimi ultras ultra-imbracati nella fenomenologia heavy rock italica sanno qualcosa di loro…

 

LEGIONEM   Copia

Legionem
 

Acciaio number nine – Tygers Of Pan Tang docet! – prende il via nei tempi previsti con l’esibizione dei toscani Legionem. Bel concerto, il loro, l’unico di doom puro della giornata. Grazie anche a dei suoni equilibrati, gli autori di “Ipse Venena Bibas” sanno raccogliere di fronte a loro un buon numero di persone. In altre edizioni gli opener se la suonavano e se la cantavano da soli, indi nota di merito per il combo senese che, senza nessuna forzatura, ha anche sfoggiato il giusto look per interpretare dignitosamente la lezione della scuola catacombale italiana.

L’avvento de I Colonnelli, sempre sullo Stage A, è salutato da un incremento numerico dell’audience. Il loro thrash colpisce nel segno per l’immediatezza. E’ proprio l’attitudine straight in your fucking face dimostrata da Leonardo Colonnelli & Co. a catalizzare l’attenzione dei presenti, che dimostrano di apprezzare quel tipo di proposta ultra-diretta in lingua italiana. La buona stage presence di questi ragazzi, che hanno nel repertorio riffoni incisivi e ritmiche che potrebbero piacere anche a cultori di hardcore e gruppi più groovy, è un altro asso nella manica che ci fa pensare che sentiremo ancora molto parlare di loro.

 

Gunfire3

Roberto “Drake” Borrelli (Gunfire)

 

Dopo doom e thrash di casa nostra è tempo di Storia, con l’iniziale maiuscola. Sulle assi dell’Arci Tom si materializza la figura di Roberto “Drake “Borrelli, uno dei protagonisti di quel bel viaggio che ha saputo compiere l’heavy metal nel nostro Paese. Uno che ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze di quando ci si caricava di borchie e si portavano i capelli lunghi. Oggi un’affermazione del genere fa sorridere. Nei primi anni Ottanta si veniva additati e, talvolta, ghettizzati. Dimostrando un’ugola capace di resistere indenne allo scorrere del tempo, il singer dei Gunfire interpreta al meglio il proprio ruolo, sciorinando una prova degna di nota, peraltro ben coadiuvato dagli altri suoi compari, una vera e propria macchina da guerra sulle terremotanti parti ritmiche. Climax raggiunto durante la proposizione di “Hard Steel”, un brano che potrebbe essere eretto a simbolo stesso dell’edizione numero 9 dell’Acciaio Italiano. Peccato per una “Thunder Of War”, tagliata brutalmente dallo stage manager. Mannaggia a te, Guido!    (Si scherza, neh?!?)    😉      

Difficile trovare un gruppo italiano che, nel corso dell’ultimo anno, abbia ricevuto recensioni più entusiastiche di quelle che hanno arriso a “L’Incanto Dello Zero”, l’ultima fatica discografica de Il Segno Del Comando. La prog rock band genovese ha accettato di buon grado la proposta di suonare all’Acciaio Italiano e l’ha sfruttata alla grande, stregando nuovi e storici appassionati e incuriosendo una buona fetta del pubblico che ancora non li conosceva. Come? Con il proprio personale mix di sonorità che pescano a piene mani sia dalla scena prog che dal mondo delle soundtrack, in primis quelle più oscure alla Goblin. Come se questo non bastasse, Il Segno Del Comando costituisce un unicum in Italia, per aver creato un autentico gruppo di studio che ha svolto un ruolo chiave nella lavorazione del nuovo album ispirato a un libro di Cristian Raimondi, presente in sala (un po’ defilato). Brani come “l Calice Dell’Oblìo” e “Il Mio Nome E’ Menzogna” affascinano senza riserve, mentre con la più metallica “Komplott Charousek (Canzone Dell’Etisia)” le chitarre sfoderano un mix di tecnica e versatilità ricorrendo anche al tapping. Per l’occasione, il vocalist titolare, Riccardo Morello, (che è diventato padre proprio in questa giornata, felicitazioni!), è stato sostituito da Dorian Deminstrel, che ha messo in mostra una voce duttile e una stage presence memorabile. Pochi, purtroppo, i brani in scaletta ma ci consoliamo con la loro lunghezza media e con il mini-clinic personale del bassista e leader del gruppo Diego Banchero durante l’impressionante “Aseità” (qualche ragazza lo ha definito il bassista più sexy del festival ma noi non ci sbilanciamo) e con una torrenziale versione de “Il Segno Del Comando”. Siamo stati al cospetto di una grande band.

 

IN SI DIA4

In.Si.Dia

 

Dopo un set più atmosferico si torna a viaggiare alle alte velocità con il thrash impegnato degli IN.SI.DIA, band particolarmente rispettata anche per i testi personali cantati in modo assai sentito dal bassista Fabio Lorini. La nuova line-up ha ormai trovato una sua quadratura con il nuovo drummer e la formazione piace sia per l’impianto ritmico che per l’attitudine live che, con questi testi, a tratti sfocia in quella hardcore, elemento che deriva anche dal fatto di aver scelto di proseguire l’avventura con le peculiari vocals di Fabio. E’ raro trovare un frontman tanto umile e disponibile, prodigo di ringraziamenti in ogni occasione. L’audience, soprattutto sui brani storici dei primi due album, non si fa di certo pregare, e fornisce un supporto vocale notevole che rende ancora più piacevole l’ascolto di schegge come “Grido” e “Terzo Millennio” Nella seconda parte del set c’è un po’ di spazio per la melodia con la cantatissima “Il Tempo” ma dietro l’angolo c’è ancora il thrash con gli attributi, quando Merigo & co. si lanciano a capofitto in versioni furenti di “Parla… Parla”, “Sulla Mia Strada” e nell’atteso gran finale di “Tutti Pazzi” (dei Negazione). E noi lo siamo. E senza vergogna.

 

Witchwood1

Witchwood

 

Quello italiano è sempre stato un pubblico molto esterofilo e quando tendi a copiare quello che arriva dai paesi stranieri i tuoi connazionali ti snobbano, anche se sei meglio di molti inglesi e tedeschi. Ma esiste un ambito del rock in cui l’Italia ha innovato ed ottenuto grandi riconoscimenti, sia all’estero che in Italia. Questo genere si chiama prog rock e i Witchwood sono ormai, da diversi anni, dei degni eredi di quelle storiche formazioni ma in una chiave un po’ più heavy. Per correttezza d’informazione, anche i Witchwood hanno guardato, e molto, all’Inghilterra, e una prova ne è la classica cover “Gipsy” eseguita spesso dal vivo dalla band faentina. Chiunque sia in grado di comporre brani del calibro di “Liar”, “A Place For the Sun” e “Rainbow Highway”, eseguiti durante questo coinvolgimente set, si merita l’opportunità di farsi sentire in giro per il mondo. La versione del brano degli Urian Heep, per far capire quanto il gruppo romagnolo sia “commerciale”, è qui presentata dall’ottimo vocalist Ricky Dal Pane nella sua versione breve da 10 minuti, cosa che ci consente di sentire nel finale, la stratosferica “Handful Of Stars”, un pezzo incredibile, in cui l’heavy rock settantiano a tinte prog del gruppo si sposa con la psichedelia pura e stacchi doomy che lo rendono ancora più solenne, emozionante  e “da viaggio”. I Witchwood suonano in modo magistrale ma senza mai diventare delle macchine. La componente umana, resta sempre presente nella musica della band, sia nelle eccezionali parti ritmiche che nelle atmosfere costruite dalle tastiere e dal flauto che negli intrecci chitarristici (una menzione, oltre a Ricky, la merita anche Antonino “Woody” Stella) che offrono sempre moltelici soluzioni compositive alla band. Ora c’è solo da sperare che il gruppo ottenga tutto l’appoggio che merita con il prossimo e decisivo album. E una volta per tutte sapremo se il mondo è davvero fottuto o se c’è ancora una speranza. Nel primo caso, almeno, ci resta sempre il “crostino felice”. I Witchwood fanno sembrare facile le cose più difficili. Stay witchy prog rockers!

 

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Flegias, Necrodeath

 

Parlare della performance di un gruppo come i Necrodeath non richiede fiumi di parole. Loro non sono i Jalisse, questi fanno male sul serio. Avete presente tutte quelle truci tipiche espressioni da “recensione metal” che si usano sempre per descrivere le formazioni che dal vivo suonano concerti dirompenti? Scioriniamo un “podio” di queste frasi, perché se c’è un gruppo metal che, nel nostro paese, se le merita, questo sono proprio i Necrodeath: 1)Non fanno prigionieri; 2) Picchiano come fabbri; 3)Spaccano il culo! E’ tutto vero. Ogni tanto assistiamo a concerti metal nei quali è evidente la buona volontà della formazione ma in cui non c’è alcun rapporto di proporzionalità diretta tra l’energia profusa dalla band e la terremotante (ecco un’altra) efficacia dal vivo del gruppo. I Necrodeath sono invece il classico gruppo che dà un senso a queste colorite immagini che ormai sono diventate di uso comune, dei veri e propri metallici clichè. I Necrodeath sono un po’ dei nostri piccoli Slayer con un po’ della malvagità dei Venom e noi ce li teniamo ben stretti. Attivi dal 1985, con Flegias che si conferma Sempre (la maiuscola è d’obbligo) un frontman più unico che raro e con un drummer di “peso” specifico eccezionale. Sì, lo so, è la sagra del luogocomune ma con questa band anche quello è vero, e Pier Gonella è uno dei chitarristi più interessanti e talentuosi del genere, ed il fatto che provenga da un background più melodico gli conferisce solo uno spettro sonoro più ampio. E il resto lo fanno i pezzi: “Hate And Scorn”, “At The Roots Of Evil”,  “Triumph Of Pain”, “Fragments Of insanity”… E la chiusura con l’omaggio a Jeff Hanneman di “The Antichrist”. L’ispettore Coliandro avrebbe esclamato: “Bestiali!”

 

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Marco Gilardoni, storica ascia dei The Wild Child

 

Da rimarcare anche la prova di tutti i gruppi che si sono esibiti in successione  sul piccolo stage di fianco al bar: impegno e concretezza da parte di tutti con menzione particolare per l’attitudine dimostrata. Davanti al palco secondario abbiamo ascoltato classic metal, hard rock, hair metal, epic metal e un pizzico di alternative rock. Dall’alto in basso: Chrysarmonia, Stray Bullets, Serial Vice, The Wild Child, File Not Found, Tempesta e Kamion.  Per farvi un esempio di come per ognuna di queste band questo show sia stato una piccola ma significativa avventura, pensate che il frontman degli interessanti The Wild Child, che vive a Londra,  per partecipare ha dovuto prenotare all’ultimo minuto il viaggio dall’Inghilterra, con il ritorno oltre la manica la mattinata seguente allo show. Ma ne è valsa la pena. Per tutti.

 

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Daniele “Bud” Ancillotti, Strana Officina

 

Mi sento fortunato ad essere ormai arrivato alla doppia cifra in materia di concerti della Strana Officina. In ambito classic metal, a mio personalissimo avviso (ndMax), non esiste in Italia un’altra band in grado di generare lo stesso livello di intensità durante i picchi emotivi dello show. E’ un mistero come mai qualcuno non abbia mai investito in modo più considerevole su una formazione che vanta nel repertorio brani catchy e incisivi come l’iniziale “King Troll”, la chiamata alle armi del più carismatico frontman metal italiano di sempre: Daniele Ancillotti, per tutti “il Bud”. Lo show diventa infuocato già con la successiva “Profumo Di Puttana”, un brano diretto come un cazzotto che ci colpisce in pieno volto e figlio legittimo della NWOIHM perchè a noi piace mettere una bella “I” al posto della ben più quotata “B”. ‘Sole Mare Cuore’ (la versione in italiano di “Rock’n’Roll Prisoners”) ci ricorda come la band sia riuscita ad ampliare il proprio spettro sonoro passando dal classic metal tiratissimo degli esordi a un più melodico heavy rock figlio del rock’n’roll, che Bud esalta con la sua capacità incredibile di coinvolgere l’audience. C’è spazio per un paio di estratti dal nuovissimo “The Law Of The Jungle” e la scelta cade sulla melodica “Endless Highway” e sulla selvaggia titletrack. Ancora emozioni con l’accoppiata “Unknown Soldier/Falling Star” prima di tornare a sconquassare le prime file con una “Non Sei Normale” (era lo stesso concetto espresso dagli IN.SI.DIA con “Tutti Pazzi”) che mette a dura prova uno straordinario Rolando Cappanera, autentico fenomeno dietro le pelli. “Luna Nera/Piccolo Uccello Bianco” è un’altra doppia tappa quasi obbligata di un set che assume sempre di più i contorni del rituale mistico. “Metal Brigade” vede un Dario Cappanera in versione “shredding machine” ma in ogni show della Strana c’è sempre anche il momento per le lacrime. E chi non si commuove durante l’esecuzione di “Autostrada Dei Sogni” è un insensibile (come direbbe anche Buffon). ”Viaggio In Inghilterra” è un pezzo sulle nostre radici musicali e “Officina” ci ricorda che la pagnotta è dura per tutti e che bisogna sudarsela. Ma le soddisfazioni che ti regala il metallo ITALIANO quando trascorri un sabato così sono ancora senza prezzo. Anche se tutto è cambiato. Anche se è meglio non guardare indietro. Farebbe solo male. Meglio quindi pensare che l’anno prossimo ci sarà la decima edizione dell’Acciaio Italiano, e noi, come avrete intuito, ci saremo ancora.

 

Steven Rich & Massimo Incerti Guidotti

 

PS: si ringrazia di cuore Sabina Baron per la fornitura di molte delle foto utilizzate nel live report

 

 

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