Vario

Live Report: Breaking Sound Metal Fest V – 24 agosto 2019, Mesagne (Brindisi)

Di Giuseppe Casafina - 7 Settembre 2019 - 12:05
Live Report: Breaking Sound Metal Fest V – 24 agosto 2019, Mesagne (Brindisi)

Breaking Sound Metal Fest. Quinta edizione.

Un festival cominciato un po’ per sfida, un po’ per scherzo, ormai cinque anni fa in quel di Mesagne, da parte di alcuni ragazzi desiderosi di portare del sano movimento in una zona da anni contraddistinta unicamente da sagre, pizzica e manifestazioni religiose. Cinque anni fa ci furono i Dark Lunacy come headliner, poi i Necrodeath. Ma è nel corso della terza edizione che le cose hanno cominciato a farsi ancora più grandi: e fu così che, con grande stupore, i Sinister furono headliner dell’edizione di due anni fa. A loro, son seguiti i Rotting Christ dello scorso anno e, per questa edizione, i ragazzi hanno avuto l’occasione di ospitare addirittura i Vader.

Nelle parti più basse dei bill, tiriamo fuori nomi quali Doomraiser, Antropofagus, Novembre, Shores Of Null: mica nomi da poco. Il palco si è fatto via via sempre più imponente, con cartelloni sempre più grandi e iconici: a conti fatti, oggi il Breaking Sound Metal Fest è una realtà di pari passo ad altri importanti festival nazionali e questa edizione ne è stata la conferma.

L’edizione in oggetto è stata inizialmente a rischio causa mancanza di fondi, ma alla fine anche quest’anno i ragazzi hanno tirato fuori dal cilindro il famigerato coniglio.

La quinta edizione del Breaking Sound Metal Fest ora è realtà e adesso, noi di TrueMetal.it, siamo qui per parlarne.

Comparto scritto a cura di Giuseppe Casafina.

Comparto fotografico a cura di Daniele Parisi.

Tocca agli alternative metaller The Clips, formazione che gioca in casa, aprire la danze di questa edizione, la quale si tiene nei pressi dell’imponente Salento Fun Park di Mesagne, uno Skate Park con suolo asfaltato, perfettamente idoneo ad essere adattato come area da festival. L’imponente location, unita all’altrettanto imponente palco (mai visto uno così grande nel corso dei vari Breaking Sound Metal Fest), quest’anno crea un effetto davvero impressionante.

Ma torniamo a parlare dei The Clips. La formazione, a quanto pare di recente fondazione, sebbene autodefinitasi come Doom Metal alla fine fonda le sue basi su una versione rallentata di un sound a metà tra i Sepultura del periodo “Arise/Chaos A.D.” e certe cose dei Fear Factory prima maniera, ovviamente privi di qualunque orpello cibernetico, il tutto spruzzato di una sana attitudine sperimentale, rivista rigorosamente in chiave Alternative Metal.

La formazione ha un impatto sonoro consistente, con il batterista e cantante Danilo Mancino a svolgere egregiamente (impressionante il suo growl spontaneo e del tutto naturale mente guidava senza problemi la macchina ritmica di questa creatura) entrambi i compiti: i due restanti strumentisti, dal canto loro, rimangono impegnati tra riff selvaggi in puro stile primi anni ’90 ed alcuni momenti dalle fattezze quasi psichedeliche. I pezzi, sonicamente appunto molto coinvolgenti, perdono molto dal punto di vista live: i due strumentisti infatti, rimangono perlopiù statici sebbene molto precisi, e non basta l’eccellente performance del cantante/batterista a sorreggere il tutto. Tolta questa pecca, perdonabile data la (presumibilmente) recente formazione del trio (il cui bassista era addirittura alla sua prima prova live, essendo entrato da poco), dai The Clips può emergere qualcosa di molto, ma davvero molto interessante.

Peccato per un pubblico per nulla coinvolto (pareva di essere ad un soundcheck più che ad un concerto vero e proprio) e per un’ introduzione sul palco del tutto assente che ha penalizzato in carisma la band.

Ma alla fine ripeto, i ragazzi sono ancora agli inizi. Aspetto fiducioso ulteriori sviluppi, nell’attesa di vedere migliorata anche la presa sul palco.

Promozione senza indugi. Avanti così.

Setlist The Clips:

The Not Dead

Black Angels

The Witch

Passa poco tempo e già dei loschi individui dai visi pitturati salgono sul palco: in questa edizione i tempi vengono rispettati al minuto e i cambi di palco sono estremamente veloci e precisi. I Vajass, nome di origine dialettale che può essere tradotto come Vandalo, portano sul palco del Breaking Sound Metal Fest il loro Black Metal dalle tinte ‘folkloristiche’ (come tematiche).

Già visti in altre occasioni, come ad esempio lo scorso anno di supporto ai Batushka (il cui cantante condivise il palco anche con l’altra sua band, vale a dire gli Ad Noctem Funeriis) presso il Demodè Club di Modugno (qui il Live report), i Vajass mantengono lo stesso impatto e la stessa attitudine sfrontata.

La formazione, sebbene a tratti rimanga molto sulle sue (il vocalist Hellhound in particolare non appare esuberante come nella precedente occasione in cui lo vidi in azione, ma nel loro caso non rappresenta assolutamente un difetto) – sebbene con rari momenti di visibile esaltazione – e costretta ad esibirsi sotto un sole cocente, è in grado di ispirare potenza e convinzione grazie ad una presa sul palco particolare e concentrata, dei riff di validissima fattura (merito del chitarrista fondatore Nijur) e delle atmosfere che non vengono minimamente scalfite dalle ancora possenti luci naturali del tardo pomeriggio estivo.

Convinti dall’inizio alla fine, l’unica pecca questa volta risiede nel pubblico, davvero poco coinvolto e molto sulle sue: ma a questo giro il punto di forza dei blackster pugliesi è stato, appunto, racchiuso nel merito di aver saputo condurre la propria macchina da guerra con serrata fierezza fino alla fine, senza sbavature. I Vajass, nel corso del breve set a loro concesso, hanno dimostrato anche in poco tempo il loro vero carisma e valore, portando l’essenza del Black Metal a vincere sulle luci del giorno e sull’indifferenza del pubblico.

Poche parole da parte mia, ma ben piazzate, alla pari di un set tanto breve quanto convincente.

Aspettiamo un po’ tutti il disco di debutto…a quando?

Setlist Vajass:

Three Nails In The Wood

II

Grief

IV

Terza band in scaletta, i death metaller romani Sudden Death sono in realtà una band piuttosto nota agli ormai numerosi frequentatori di eventi Metal pugliesi: a conti fatti, la band non è nuova nel visitare il famoso ‘Tacco dello Stivale’ e oggi, nella sua nuova calata Meridionale, pare intenta a volerci nuovamente mostrare di che pasta è fatta.

I romani hanno buona carica, in particolare Luis Maggio, frontman della formazione che in più di un’occasione ha dimostrato di voler scaldare gli animi di un pubblico tuttora stranamente gelido e poco propenso a fare casino. È la prima volta che ciò capita in occasione del Breaking Sound Metal Fest: ho avuto la fortuna di presenziare a tutte e cinque le edizioni del Festival e giuro che mai, ma mai ho visto un pubblico così mansueto accorso a questa manifestazione. Eppure molte delle facce presenti, tipicamente ‘casinare’, sono le classiche e molte di queste erano tuttora intente a girare tra gli stand, sintomo della poca partecipazione del pubblico.

I Sudden Death riescono appunto a smuovere leggermente questa situazione, se non altro quella porzione di pubblico effettivamente intenta a seguire i concerti veri e propri e nelle prime file, non perdendosi d’animo per tutta la durata del set. A volte paiono accusare il colpo del timido moshpit, ma mantengono un’integrità invidiabile: il già citato vocalist si rivela impeccabile dal punto di vista vocale (il suo growl è corposo e ricco d’impatto) mentre il resto degli strumentisti appare coinvolto quanto basta. Il batterista Andrea Pro, a quanto pare unico membro rimasto della formazione originale, offre una performance ritmica di buonissimo livello tecnico ma soprattutto di coinvolgimento: questa sera pare che i Sudden Death vogliano giocarsi il tutto e per tutto, tanto che si esaltano sul palco dell’evento mesagnese.

Il set si allunga con la richiesta di un pezzo extra, rappresentato da una cover ( – non presente nella setlist ufficiale e che nemmeno rimambro, me ne scuso…sono umano anch’io… – Nda) e dedicato a tutti i metallari stasera presenti, il che chiude nel migliore dei modi un set che ha dimostrato come i Sudden Death, oggi, su quel palco non siano secondi a nessuno.

Formazione promossa, pubblico bocciato!

Bene…è tempo di preparare tutto quanto sia possibile autografard: ora è il turno del Meet & Greet con i Vader!

Setlist udden Death:

Intro / Flood The Ground

Cancer

The Right To Kill

Bloodwings

Intro / Inhuman

Intro / Stillborn

Intro / Monolith

Intro / Dressed

Intro / Toxic

Too Dead

Una volta terminato il Meet & Greet con i deathster polacchi, le tenebre della sera calano definitivamente su Mesagne e il cielo, così facendo, ben si presta a divenire lo sfondo ideale per un imponente show Doom Metal: e così le ‘cornacchie’ (traduzione italiana del tipico appellativo ‘doomster’) romane dei Doomraiser salgono sul palco di Mesagne, sempre all’insegna del rispetto del tempistiche, precisissime, impartite dallo staff del festival (seri complimenti alla Staff tutto da questo punto di vista).

‘Age of Christ’ irrompe sui presenti dapprima con il suo arpeggio crepuscolare, per poi esplodere sul pubblico con il suo riff Sabbathiano e le sue convincenti (in puro stile ’70s) linee vocali.

Il Doom Metal dalle tinte epiche e notturne dei Doomraiser è quanto di meglio il festival potesse chiedere a quest’ora, rivelandosi una scelta del tutto azzeccata da parte degli organizzatori del festival: la setlist, che saccheggia in soli sei pezzi buona parte della discografia del combo, viene particolarmente apprezzata dai presenti che, a quanto pare, conoscono piuttosto bene il repertorio dei doom metaller nostrani.

Tra i momenti migliori della loro esibizione, lunga e faraonica come si conviene ad un set Doom Metal essendo costituito da pezzi dalla lentezza e lunghezza soffocante, l’esecuzione di ‘The Raven’ e, nella parte finale, di ‘Heavy Drunken Doom’, vero e proprio inno della formazione italiana.

Il pubblico si accalca in buona parte lungo le prime file più vicine al palco supportando fino all’ultimo secondo la performance dei Doomraiser, contraddistinta da una precisione tecnica di una certa qualità: peccato per qualche leggero ‘tintinnio’ da parte delle corde vocali del vocalist Nicola ‘Cynar’ Rossi nelle primissime fasi del set, poi perfettamente risolte già nella fase intermedia del pezzo iniziale sopra citato. La band è ben supportata dal pubblico, finalmente esultante e scapocciante ( – …sebbene a ritmi rigorosamente rallentati! – Nda ), e il succitato vocalist ringrazia tutti quanto bevendo una bottiglia di whiskey, alzandola al cielo.

“Doom Or Be Doomed” come si usa dire: bene, stasera Mesagne, seppur per alcuni brevi attimi, è stata Doom al 666%.

Setlist Doomraiser:

Age of Christ

Chimera

Another Black Day Under The Dead Sun

The Raven

Rotten River

Heavy Drunken Doom

Con la notte ormai calata sui terreni mesagnesi, l’aria del festival comincia a farsi sinistra grazie all’arrivo sul palco dei Forgotten Tomb: la formazione nostrana è una vera e propria istituzione qui nel territorio salentino (grazie anche ad una performance da loro tenuta lo scorso anno presso l’Istanbul Cafè di Squinzano) e la gente accorsa per loro è moltissima. Già visti in occasione dell’edizione 2015 dell’ Agglutination Festival, in cui i Nostri si esibirono in uno show di caratura superiore, questa sera non sono purtroppo dello stesso smalto. Forti di una formazione rinnovata, con un nuovo chitarrista (la cui identità francamente mi risulta ignota e nemmeno Metal Archives riesce a fornire una ‘toppa’ atta a colmare la mia ignoranza) in line-up al posto del precedente Andrea ‘A.’Ponzoni, il quartetto nelle fasi iniziali soffre di un Ferdinando ‘Herr Morbid’ Marchisio parzialmente svociato per i suoi standard e visibilmente poco coinvolto, atteggiamento molto contrastante con quello del suo ‘compare’ Alessandro ‘Algol’ Cimerio, perennemente in movimento e intento in pose ‘macho’ (passatemi il termine), headbanging e scorazzate continue da una parte all’altra del palco. Dietro le pelli della batteria, Gianmarco ‘Asher’ Rossi è una via di mezzo tra i due elementi della band finora citati: scatenato, ma non troppo, comunque preciso dietro le sue parti ritmiche. Di quest’ultimo ho un ricordo indelebile in occasione proprio di quell’Agglutination 2015: il batterista era così preso dalla performance da aver perso le bacchette nel bel mezzo di un brano, sintomo di una pura furia animalesca! Il nuovo arrivato, di cui ripeto purtroppo non conosco l’identità, è spesso molto sulle sue, risultando perlopiù abbastanza statico e, anche se alcuni momenti di ‘presa’ non sono mancati (come le foto del mio collega testimoniano), il risultato è sempre stato abbastanza poco coinvolgente.

La band, autrice di un set che, tolta la title-track dell’ultimo album con cui il set è iniziato predilige molto i classici dei primi album, questa sera suona nel complesso uno show sì buono, ma molto sotto i suoi standard: la sensazione, lungo tutto il set e parlando a livello strettamente scevro di qualunque tipo di presa di posizione, è stata quella di assistere ad una band di professionisti che ha eseguito uno show altrettanto da professionisti ma, che per una ragione o per un’altra, non ha mai raggiunto chissà quale picco d’intrattenimento verso il pubblico e intensità. Il buon Herr Morbid, come già detto inizialmente molto sulle sue e quasi la nemesi dell’eccentrico e scatenato Algol, si riprende man mano che il set avanza, mostrando sulle fasi finali finalmente un buon livello di presa sul pubblico e convinzione. Pubblico che, nonostante tutto, lungo le prime file ha supportato i propri beniamini incuranti della performance, sì buona ma non esattamente al top, a loro offerta. Anche nei momenti più tesi e ricolmi di ‘blast-beat’ mi è spiaciuto molto (purtroppo) notare come non si sia mai accesa la famosa scintilla: la ‘violenza di palco’, l’energia, non scaturiva mai come doveva. Scrivo ciò avendo già visto la band dal vivo e riconoscendo di cosa è capace, soprattutto a ragione della stima che i Forgotten Tomb hanno da parte del pubblico pugliese (e salentino in particolare).

I ragazzi stasera hanno fatto un lavoro discreto sul palco ma, oggettivamente, hanno saputo fare e soprattutto sanno ancora fare molto di meglio.

Curiosità che mi pare doveroso riportare: è stato bizzarro notare come, nelle ultime file, la band fosse oggetto di ampie critiche spesso anche sensate per certi versi, ma ancor più spesso davvero senza senso. Tutti segni di come i Forgotten Tomb abbiano, rispetto alle band esibitesi finora stasera, suscitato (da sempre, in realtà) pareri contrastanti.

Vi è chi li odia e chi li ama ma statene certi: Herr Morbid e compagni andranno avanti sempre e comunque, incuranti delle vostre critiche.

Setlist Forgotten Tomb:

We owe you nothing

Shutter

Daylight Obsession

Reject Existence

Steal My Corpse

Disheartenment 

Alone

E’ ora tarda. E’ ora degli headliner.

Con la ormai consueta precisione chirurgica, il breve soundcheck fa sì che i Vader comincino la loro performance nei tempi prestabiliti. Nel mentre, il chitarrista Marek ‘Spider’ Pająk fomenta il pubblico agitando le braccia: il pubblico accorre interamente nelle prime file e si percepiscee una certa tensione nell’aria.

Peter (in abiti di pelle borchiati come da tradizione) & soci nel mentre controllano che sia tutto ok. E così si parte, intonandp il riff iniziale di ‘Wings’ direttamente dal capolavoro “Litany” del 2000, forse il riff più iconico e riconoscibile della carriera dei polacchi, grazie anche al fatto che si tratta del disco che ormai 19 anni fa ebbe il merito di portarli verso la consacrazione definitiva al grande pubblico. La macchina del Metallo della Morte parte speditissima e le scatenate performance di James Stewart alla batteria (una piovra, a conti fatti), così come di Tomasz ‘Hal’ Halicki al basso, creano un grande feeling ritmico senza per questo restare immobili sul palco.

Anzi, i Vader di oggi sono in assoluto tra le formazioni più coinvolgenti e movimentate del panorama Death Metal mondiale e la performance di oggi ne è stata una ulteriore prova: personalmente, rimango basito nel notare la fluidità dei movimenti ‘scomposti’ del buon Peter, che nel non troppo lontano 2004, ai tempi del melodico “The Beast” lamentava nel corso delle varie interviste di continui problemi al collo e alla schiena, causa eccessivo headbanging sul palco. Quindi, vederlo oggi così scatenato e in forma è indubbiamente un’ enorme sorpresa, con sommo gaudio del pubblico ormai impegnato ( – …era ora, lumache! – Nda ) in un moshpit assassino che ha visto più di qualcuno coinvolto in episodi spiacevoli quali gomitate, lussazioni, lividi e ferite sanguinanti causate dallo sfregamento degli arti!

E’ tornato il fo**uto Death Metal!

ERA ORA!

Segue la storica ‘Sothis’ (direttamente dal 1994), a cui segue a sua volta la title-track di “Black to the Blind”, il cui annuncio causa un boato tra il pubblico. E’ una sana botta di vita per il nostro cuore metallico notare come ogni pezzo sia introdotto da un Peter con fare coinvolto, appassionato e quasi commosso. Lo storico leader assiste al pubblico pogante quasi in lacrime e il tutto mentre sorride, urla, suona e scapoccia da una parte all’altra del palco. Una belva.

Questo live set della sua creatura, questa notte, sembra ben più di un semplice concerto, quanto più una celebrazione della sua forsennata carriera, sempre impegnata tra nuovi album, EP e relativi concerti in tutto il Mondo. Molto probabilmente per via di questo entusiasmo, la scaletta subisce alcune variazioni rispetto a  quella ufficiale, aggiungendo pezzi da ogni dove, classici e meno classici, provenienti da ogni tassello della nutrita discografia del combo polacco.

Dopo oltre un’ora di furioso set, Peter saluta i presenti con un frettoloso ‘Grazie mille, good night!’. Sì come no, ci crediamo amico mio!

Infatti, noi tutti avevamo immediatamente capito il giochetto, dato che si trattava unicamente di una breve necessità di pausa utile a riprendere il fiato dopo una performance di siffatto livello.

Passano solo due minuti al massimo infatti, che i polacchi sono di nuovo On Stage per un lungo bis di almeno mezz’ora, focalizzato sempre tra classici e cose più recenti dell’ensemble che si conclude con un sentitissimo omaggio di Peter ai presenti, onorando l’Heavy Metal e tutti i metallari che questa sera si sono fatti in quattro per onorare la loro esibizione: parte “un brano che voi tutti credo conosciate” ( – Peter docet – Nda ), ed ecco una ‘Vaderiana’ versione di ‘Steeler’ dei Judas Priest, magistralmente interpretata dal frontman nonostante l’ovvia diversità degli stili vocali attuati dalle due formazioni.

Un finale spettacolare per quella che è stata, assieme alla prova dei Death Angel in occasione del venticinquesimo Agglutination (qui il Live Report), una delle cose migliori viste dal vivo quest’anno per il sottoscritto.

E’ tempo di tornare a casa, la stanchezza è tanta…

Setlist Vader (ufficiale, escluse modifiche):

Intro / Wings + Sothis

Black To The Blind

Triumph Of Death

Tempest

Final Massacre

Vicious Circle

Epitaph

Grand Deciever

Despair

Carnal

Intro / War

Dark Age

Cold Demons

Witcher

Steeler

Ed eccoci qui a tirare le somme.

L’organizzazione di questa quinta edizione è stata tanto imponente quanto precisa, tanto che vien da pensare al fatto che questi ragazzi potrebbero insegnare a molta altra gente come tenere su un festival rispettando perfettamente le tempistiche. Tutte le band alla fine hanno ottenuto un sound di palco dall’accettabile all’ottimo (certo la resa, sorprendente, del primo Breaking Sound Metal Fest è inarrivabile, ma quella fu una sorpresa difficilmente equiparabile) e le performance hanno seguito l’ottimo trattamento che a queste è stato dedicato.

Il pubblico, di soli 400 paganti, quindi in media con le passate edizioni, ha però quest’anno posto più di una domanda nelle menti dei presenti: dove sono alcune facce note? Alcuni immancabili dell’entroterra pugliese, dov’erano questa sera? Ho visto 16enni accompagnati dai genitori presenziare senza problemi, ma loro? Certo, sono domande che lasciano il tempo che trovano, ma alla fine di tutto ciò rimane il rammarico di vedere un’area destinata al pubblico, sì immensa, ma vuota per metà. E no, non è bastato che la gente si sparpagliasse per cercare di colmare il vuoto, perché l’illusione era palese e se l’amarezza è rimasta in gola al sottoscritto, allora figuriamoci agli organizzatori, che hanno comunque rivelato successivamente di essere perfettamente rientrati nei costi grazie al cibo, al merchandise e, perché negarlo, anche all’aumento del costo del biglietto d’ingresso (18€, un prezzo assolutamente abbordabile e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo se comparato alle band presenti e alla precisione offerta nell’evento).

Insomma, un’ edizione di alto livello purtroppo contraddistinta da una presenza di pubblico decisamente modesta ma che, nonostante tutto, ha mantenuto alta la torcia della fierezza fino all’ultimo secondo di esibizione. Ce ne fossero di ragazzi come quelli del Breaking Sound. Per il pubblico assente mi raccomando, la prossima volta lamentatevi che in Puglia non si fa mai nulla…

Alla sesta edizione! ( – sì, perché noi qui a TrueMetal ci crediamo! – Nda )