Live Report: Gods Of Metal 09 a Monza (Day 2)

Di Angelo D'Acunto - 15 Luglio 2009 - 8:52
Live Report: Gods Of Metal 09 a Monza (Day 2)

DAY 2 – 28/06/2009

L-STAGE
Dream Theater
Blind Guardian
Tarja
Saxon
Cynic
Black Dahlia Murder

R-STAGE
Slipknot
Carcass
Down
Mastodon
Napalm Death
Static X

Domenica. Il caldo si fa decisamente più martellante, il
pubblico decisamente più eterogeneo e si cominciano a contare i feriti di
sabato. Musicalmente è il giorno dei tanto discussi Slipknot, criticati da molti
per aver rubato temo pezioso ai più meritevoli Blind Guardian e Carcass,
spostati invece inposizioni e minutaggi da co-headliner. È anche il giorno di
Tarja solista con la sua super-band e degli attesissimi Mastodon.
Se la prima giornata era filata liscia come l’olio, domenica qualche problema
c’è: a metà pomeriggio l’acqua è clamorosamente finita, e come l’acqua anche i
braccialetti e i timbri per l’uscita. Morale della favola, la security impone un
imperativo “o dentro o fuori, se esci non rientri più” che tradotto in termini
spicci sarà un “o bevi o ti guardi i concerti sotto i 30 gradi e senza un goccio
d’acqua”. Buona lettura.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

TrueMetal.it ringrazia
Massimiliano Garlaschelli per la collaborazione nella stesura del report


THE BLACK DAHLIA MURDER
(Report a cura di Nicola Furlan)

Show decisamente breve ma comunque molto intenso quello dei The Black Dahlia
Murder, band americana dedita ad un death core che dal vivo ha ha dimostrato di
avere un notevole un certo impatto sul pubblico del Brianteo. Difatti, grazie
alla buona tenuta di palco, i presenti risultano essere piuttosto coinvolti
dall’esibizione della band statunitense, la quale non risparmia blast beat ed
accelerazioni varie, aiutati anche da una resa sonora più che buona. Pochi
minuti, dicevamo, che hanno comunque scaldato a dovere tutti i presenti, in
attesa di una lunga giornata che si concluderà con gli show di Dream Theater e
Slipknot.


STATIC X
(Parole a cura di Nicola Furlan)
(Foto a cura di Francesco Sorricaro)

Sono gli statunitensi Static X ad aprire il pogo del 28 giugno davanti al
R-Stage del Gods of Metal. Un pogo poco entusiasta in risposta ad una proposta
scialba, una sorta di industrial rock privo di personalità, ridondante di
ritmiche elementari e di melodie assai scontate. La mediocre presenza scenica
non aggiunge punti allo show. Annichiliti dalla veemenza esecutiva dalla band
precedente, i Black Dahlia Murder, letteralmente relegati nel dimenticatoio da
quella successiva, gli straordinari Cynic capitanati dai maestri Masvidal e
Reinert, gli Static X sono stati sicuramente la più grande delusione della giornata.





CYNIC
(Report a cura di Nicola Furlan)
(Foto a cura di Nicola Furlan)

Accompagnati sul palco dal bassista (Robin Zielhorst) e chitarrista (Tymon)
della prog metal band Exivious, Masvidal e Reinert, colonne portati della
storica band floridiana non hanno deluso le aspettative di coloro che nella
musica hanno sempre ricercato la raffinatezza degli arrangiamenti e la perizia
esecutiva. Diciamola tutta: questo era un concerto che non avrebbe mai
soddisfatto le aspettative del ‘defender medio’. Come sempre poi, la musica
piace o non piace, ma appare oggettivo che i Cynic siano stati e siano tuttora
un gruppo straordinario.
La setlist proposta verteva prevalentemente sull’ultimo e secondo studio album
del 2008 “Traced in Air”. Il concerto è stato ben diverso da quello che molti
avevamo visto nel 2007, anno di reunion che li vide on-stage in occasione dell’Evolution
Festival. Sebbene anche in quell’occasione ci fu la prima anteprima ancora non
pubblicata, Evolutionary Sleeper, il mood che ne emerse ebbe un’accezione
decisamente più ‘progressiva’. I brani di “Traced in Air” suonano più
emozionali, hanno più decelerazioni ritmiche, hanno più armonie, meno growl e
nel complesso inducono un ascolto più meditato (non che manchino della parte più
aggressiva), e questo è stato ben trasmesso ai presenti, letteralmente
trascinati nella dimensione Cynic. Una dimensione che dal vivo ha davvero
dell’incredibile come dell’incredibile ha la bravura di Reinert, forse il
miglior batterista che abbia calcato i palchi di questa tredicesima edizione del
Gods of Metal 2009. Un gran bel concerto.





NAPALM DEATH
(Report a cura di Francesco Sorricaro)
(Foto a cura di Francesco Sorricaro
)

Prima volta in assoluto al Gods of Metal per i padrini del grindcore.
I Napalm Death, direttamente da Birmingham, sono pronti a portare sconquasso e
violenza senza compromessi anche a Monza (con gran tripudio dei teneri fili
d’erba dello stadio Brianteo) e vengono chiamati a gran voce da una folla
trepidante che li acclama come la loro storia giustamente dovrebbe sempre
pretendere.
Così, con una attitudine hardcore fino al midollo, i quattro non si fanno
pregare più di tanto e, saliti su un palco adornato solo dal proprio furore
pronto ad esplodere, imbracciano gli strumenti ed iniziano a vomitare il loro
personalissimo cocktail di death metal e marcissimo grind, facendo diventare
immediatamente l’audience un enorme ribollente mosh pit.
L’esibizione dei nostri non ammette cali di intensità perchè la band è davvero
in forma smagliante e desiderosa di onorare l’appuntamento. Tra le urla
cavernose di un “Barney” esagitato come se fosse stato morso da una tarantola,
varie amenità rivolte al nostro amato presidente del consiglio e qualche,
dobbiamo dirlo, trascurabile sbavatura del batterista Danny Herrera, viene
snocciolata una scaletta che và sì a presentare qualche nuovo brano, come
l’eccellente ‘Strong-arm’, ma soprattutto soprende con classici senza tempo come
‘From enslavement to obliteration’, l’immancabile inno dei Dead Kennedys ‘Nazi
Punks Fuck Off'(con relativo e pronto coinvolgimento vocale del pubblico) e
diversi estratti dal primo immortale capolavoro ‘Scum’ del 1987: la title track
‘Scum’, ‘Siege of Power’, “l’estenuante” ‘The Kill’.
Ottimo esordio insomma per dei Napalm Death davvero in palla e pronti per
l’ennesima calata italica in autunno. Sicuramente uno degli show più acclamati e
vigorosi della giornata.





SAXON
(Parole di Alessando ‘Zac’ Zaccarini)

I Saxon non arrivano in tempo e il loro show salta. C’è rammarico per una band
che avrebbe sicuramente lasciato un segno positivo in questa edizione. Stando a
quanto dicono le voci, la “colpa” di questa mancata esibizione è solo ed
esclusivamente della band. Peccato.


MASTODON
(Report a cura di Pier Tomasinsig)
(Foto a cura di Nicola Furlan)

Sono circa le tre meno dieci quando i Mastodon salgono sul palco del Gods Of
Metal, accolti da un pubblico che, a dispetto dell’ora e del sole cocente, è
molto più numeroso e impaziente di quanto mi aspettassi. Nonostante tutta la
meritata pubblicità ricevuta negli ultimi anni e gli ottimi responsi della
critica, era forse legittmo presumere che una proposta musicale sui generis come
quella del combo di Olympia potesse stentare a far breccia tra il pubblico metal
più ortodosso. Del resto i Mastodon sono una delle realtà più particolari e
difficili da classificare all’interno della scena rock/metal attuale, come ben
si comprende anche dall’attitudine e dal look con cui si presentano: spettinati,
barbuti, un po’ sciatti, con quello strano e indefinibile charme da “freaks” che
sembrerebbe più consono a certe realtà dei primi anni settanta.
Ad ogni modo lo show proposto quest’oggi dal combo statunitense, sin dalle prime
note di Oblivion, brano d’apertura del concerto tratto dall’ultima fatica
discografica “Crack The Skye”, ha trovato un pubblico molto partecipativo. La
resa sonora e il bilanciamento degli strumenti sulle prime lasciano un po’ a
desiderare, in particolare per quanto riguarda la voce, troppo bassa e coperta
dagli altri strumenti. La situazione tuttavia migliora sensibilmente già con il
secondo pezzo The Wolf is Loose, il cui violento riff iniziale scatena un pogo
impressionante sotto al palco. Si opta per suoni potenti e corposi, ma non
pulitissimi, a valorizzare maggiormente i riff imponenti e massicci che
costituiscono un marchio di fabbrica per i Mastodon, piuttosto che le loro
tipiche melodie liquide e psichedeliche, e il risultato finale è trascinante e
di grande impatto, pur senza obliterare totalmente l’atmosfera.
La scaletta è discretamente equilibrata (e ben pensata, considerando lo scarso
tempo a disposizione), proponendoci pezzi che coprono un po’ tutta la
discografia dei nostri, quali Cristal Skull, Blood and Thunder e The Czar. Sotto
il profilo esecutivo ci sono ben poche riserve da esprimere, eccezion fatta per
le parti in clean, soprattutto quelle cantate da Brent Hids, che non sempre sono
risultate convincenti rispetto ai miglioramenti sentiti su disco. Ad ogni modo i
Mastodon si dimostrano musicisti preparati e dal bagaglio tecnico non
indifferente, convincenti in tutti i reparti. Qualche riserva forse potrebbe
essere avanzata circa la loro capacità di intrattenere e rapportarsi con il
pubblico, laddove è solo con la conclusiva March Of The Fire Ants, tratta dal
primo full-length “Remission”, che i quattro statunitensi decidono di concedere
qualcosa di più allo spettacolo, persino il baffuto chitarrista bill Khellier,
che per il resto del concerto se n’era rimasto per lo più in disparte, a
macinare riff su riff con cipiglio burbero e concentrato. Insomma, esibizione
nel complesso più che buona, ripagata da un pubblico caloroso e molto attivo.







TARJA
(Report a cura di Andrea Loi)
(Foto a cura di Nicola Furlan)

Alle 15.45 dopo la clamorosa defezione dei Saxon, è la volta di Tarja Turunen in
arte Tarja, ex cantante dei Nightwhish e lanciatissima nella sua brillante
carriera
(tra l’altro, per fine anno è previsto il suo terzo album solista).
Molto attenta al look a partire dal microfono abbinato al body di
colore rosso, la curiosità era tanta di vederla dal vivo: volevo capire sino a
che punto la bella finlandese fosse credibile senza i blasonati Nightwhish.
Forse non adattissima per un Gods of Metal,
un’ora di tempo è sufficiente per sciogliere il dilemma e dobbiamo dire che la
bella e talentuosa finnica non delude le attese con uno show dove non si può
dire che siano mancate grinta e determinazione:
vocalmente è in ottima forma e il fatto che sia coadiuvata da una formazione
all-star formata dal chitarrista degli Angra Kiko Loureiro, dal batterista Mike Terrana
e Doug Wimbish (Living Colour), rappresenta un valore aggiunto non di poco conto.
Lo show viene aperto con la coinvolgente “Enough”, song tratta dal suo secondo
dall’album solista “My Winter Storm”, ripubblicato con una nuova track-list
all’inizio di quest’anno e che sarà ampiamente documentato nelle sue canzoni più
rappresentative durante l’ora a disposizione. Il pubblico sembra gradire (a
parte i soliti puristi e defender che vanno di buon grado ad ingrossare le fila
per la birra)
ma le maggiori ovazioni sono state per i pezzi targati Nightwhish come “Wishmaster”
e “Nemo”.
Curiosa invece, ma poco credibile, la versone di “Poison” del grande Alice
Cooper, se non altro perché lontana anni luce dalle sue doti vocali e dalla sua
musica.
Molto meglio “Over The Hills And Far Away” in chiusura, cover di Gary Moore, e
tratta dal repertorio dei tempi con i Nightwhish.
Chiude lo show “Die Alive” con Tarja che saluta il pubblico italiano, davvero
molto generoso e ben predisposto verso la sua musica e la sua persona, a pelle
molto simpatica, oltre che bella.







DOWN
(Report a cura di Francesco Sorricaro)
(Foto a cura di Francesco Sorricaro)

Rivedere Rex Brown e Phil Anselmo insieme su un palco è sempre un’emozione forte
per quanto mi riguarda.
Mentre per il primo il tempo è passato eccome: i capelli sono ormai copiosamente
listati d’argento e le rughe (non soltanto dovute all’età, a dire il vero, ndr)
gli scavano il volto accentuando la ruvidezza dei suoi tratti somatici; per
quanto riguarda il singer, il tempo sembra non solo essersi fermato, ma
addirittura tornato di molti anni indietro.
Phil si presenta con un taglio di capelli molto simile a quello che portava nei
primissimi gloriosi anni dei Pantera (cresta con ciuffo su testa rapata, ndr) il
fisico è tornato asciutto e atletico come fosse ringiovanito, e la carica messa
su palco è finalmente quella thrashy di un tempo. Sono queste le cose più
sorprendenti dello show di questo pomeriggio per i Down perchè, diciamoci la
verità, è il cantante di New Orleans a tenere le redini di ogni fangoso, ruvido
e cazzuto show della band, e non ce ne voglia il buon Peeper Keenan.
Ad ogni modo il gruppo và come un treno, suonano divertiti e divertendo i cinque
sudisti, esaltando un pubblico ben disposto anche dal fatto che il sole cocente
della mattinata stia ormai finalmente varcando la soglia della cima del palco, e
che dunque si fa volentieri invischiare nell’alcoolico sound di brani che almeno
per i 3/5 sono tratti dal primissimo lavoro del 1995 ‘NOLA’.
‘Hail the Leaf, ‘Stone the Crow’ ma anche’New Orleans is a Dying Whore’ e la
bellissima coinvolgente ‘Lysergik Funeral Procession’ smuovono il pubblico in
una grande danza coreografata dagli ubriaconi della Louisiana, che sul palco nel
frattempo non smettono di saltare qua e là, di scambiarsi occhiate di complicità
e di scherzare ad ogni occasione.
L’atmosfera è quella giusta, dunque, e Phil, da consumato maestro di cerimonie
quale è sempre stato, sa giostrare le emozioni dei presenti nel migliore dei
modi: sia quando dedica la panteriana ‘Lifer’ al suo amico fraterno Dimebag
Darrell tra gli applausi commossi della folla, sia quando crea siparietti
esilaranti come la chiamata sul palco di Fratello Metallo (cui stringe la mano
subito prima di mimargli atti osceni alle spalle tra l’ilarità generale, ndr) o
il saluto finale al pubblico del Brianteo con un coretto improvvisato su
spezzoni di ‘Whole Lotta Love’ e ‘Stairway to Heaven’.
Si chiude con la sabbathiana ‘Bury me in smoke’ lo show di una band che ormai,
dopo quasi 15 anni di vita, si è guadagnata a tutti gli effetti il suo posto nel
panorama metal, ha un suo ampio seguito di fan che conosce e canta le sue
canzoni, e con esibizioni di questo genere non può che aumentare i consensi nel
tempo. In fondo, come mi ha detto Rex quel giorno stesso: “i Pantera erano una
cosa completamente diversa, amico…”.







BLIND GUARDIAN
(Report a cura di Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
(Foto a cura di Nicola Furlan)

Reduci dallo show da healiner del giorno prima al Bang Your Head, qui relegati a
75 strettissimi minuti, i Blind Guardian salgono sul palco acclamati e attesi,
come sempre. Sarà una giornata piena di sorprese, a partire dal nuovo look di
Hansi Kursch, che sfoggia i capelli corti. All’intro War of Wrath, usuale
tappeto rosso per ‘Into the Storm’, segue invece ‘Time Stands Still (At the Iron
Hill)’. Non è la primissima volta che capita: l’accoppiata fu sperimentata la
seconda sera del Blind Guardian Open Air e riproposta al Summerday in Hell di
Bologna qualche settimana più tardi, nel lontano 2003. Segue la tirata ‘This
Will Never End’ e il sublime capolavoro chiamato ‘Nightfall’. L’impatto del
trittico di apertura è travolgente ma si sente subito che nel suono delle
chitarre qualcosa non va: Marcus Siepen è quasi inesistente e la chitarra
solista di Andrè Olbrich finisce oltre i livelli ogni volta che il chitarrista
di Düsseldorf utilizza il wah-wah durante gli assoli.
Un peccato perchè il concerto è davvero di livello e prevede diverse canzoni che
non sarà troppo facile ritrovare in futuro. È il caso, per esempio, di tutti e
cinque i brani che compongono la parte centrale della scaletta: ‘Traveler in
Time’ e ‘Turn the Page’, per gli amanti del power epicheggiante; ‘Sacred’, forse
la sorpresa più grande; ‘Goodbye my Friend’, perla power-speed di inizio anni
’90. Infine, quella che il buon Hansi annuncia come “un brano particolarmente
triste e drammatico”: una ritrovata ‘Blood Tears’, vecchia conoscenza che non
faceva capolino nelle setlist dei bardi dal tour di Nightfall in Middle-Earth.

Il tempo vola e siamo già quasi in chiusura. La band è in buona forma, Hansi ha
qualche problema nella seconda parte di ‘Turn the Page’ ma la prestazione della
band è più che positiva. Si entra nelle fasi finali dello show e le assi del
palco tremano sotto i colpi di ‘Valhalla’, il più anziano dei brani in scaletta,
direttamente da ‘Follow the Blind’, 1989. Segue la divina ‘Imaginations from the
Other Side’ (priva della primissima parte, causa minutaggio tiranno) oggi unico
estratto dell’omonimo disco che da sempre, insieme a Nighfall in Middle-Earth,
compone buona parte dello scheletro delle scalette dei nostri.
Uno dei tecnici della band sale sul palco e depenna qualcosa dalle scalette –
scene che non vorresti mai vedere – come se già non bastassero un minutaggio
particolarmente limitato e la solita tediosa sceneggiata di Padre Metallo prima
dello show, a limare il tempo concesso ai bardi. Arrivano sul palco anche le
chitarre acustiche, per il magico rituale chiamato The Bard’s Song (in the
Forest). Hansi è costretto a tagliare corto e gli arpeggi partono quasi
immediatamente. Momento da brividi che lascia spazio al gran finale con ‘Mirror
Mirror’ quarto e ultimo estratto da ‘Nightfall in Middle-Earth’, oggi, complice
la “giornata di riposo” per ‘Imaginations from the Other Side’, il più
rappresentato in scaletta.
Show come sempre carico di carisma e classe, peccato per i suoni non all’altezza
e una posizione in scaletta che ha mutilato lo show, costringendo la band a
correre e interrompere i cori dei fan più di una volta. Questa è una band che
nei festival è abituata a suonare 16-18 pezzi per quasi due ore di musica, in
una cornice ben diversa, con luci, effetti e la magia della notte. Per la
cronaca, rispetto al giorno precedente i tagli sono stati i seguenti: Another
Holy War, The Script for my Requiem, Time What is Time, Punishment Divine, Lord
of the Rings. Fate voi…







CARCASS
(Report a cura di Pier Tomasinsig)
(Foto a cura di Nicola Furlan)

Un anno è trascorso da quando i Carcass, per la prima volta dopo quasi tre
lustri di assenza dai nostri palchi, sono tornati a calcare il suolo italico,
proprio in occasione della precedente edizione del Gods Of Metal. Ai tempi il
senso di attesa e le aspettative da parte dei molti fan vecchi e nuovi della
storica band inglese erano state, comprensibilmente, alle stelle. Venuto meno
“l’effetto novità” per la reunion ci si sarebbe forse potuti aspettare un minor
interessamento da parte del pubblico per l’esibizione di oggi: al contrario,
l’accoglienza che i numerosi presenti hanno riservato ai quattro di Liverpool è
stata entusiastica, peraltro ripagata da uno show praticamente perfetto.
Se all’esibizione del Gods Of Metal 2008, così come quella tenuta al Metalcamp
lo scorso anno, i Carcass, pur tecnicamente impeccabili, potevano apparire un
po’ freddi e distaccati agli occhi dei più, la grinta e l’aggressività
dimostrate quest’anno sin dai primi pezzi in scaletta hanno rappresentato una
sorpresa più che gradita. Sia chiaro: i Carcass non rinunciano di certo alla
tipica flemma che li contraddistingue, una sorta di ironica indifferenza molto “english”,
ma l’impatto e il rapporto col pubblico questa volta sono stati molto più
soddisfacenti. Si parte senza alcuna esitazione, sulle consuete note di Corporal
Jigsore Quandary, e le coordinate su cui si muoverà lo show di stasera appaiono
chiare: concretezza, tecnica esecutiva di prim’ordine e grande affiatamento,
qualità supportate da suoni e volumi più che adeguati a valorizzare l’ottima
performance dei nostri.
La prestazione collettiva è ai limiti della perfezione. Jeff Walker appare in
buona forma dietro al microfono, anche se inizialmente la voce risulta un po’
coperta dagli altri strumenti (ma è solo questione di qualche aggiustamento); la
sezione ritmica è al contempo chirurgica e devastante, tra il basso martellante
di Jeff, ben in evidenza a conferire profondità e impatto al tutto, e il
drumming preciso e potente della talentuosa new entry Daniel Erlansson; Ammot,
forse l’unico dei quattro che appare ancora molto impostato, inanella
cionondimeno con assoluta perizia riff contorti e abrasivi, sferzanti come carta
di vetro. Bill Steer, dal canto suo, è come sempre impressionante per la
disinvoltura con cui esegue passaggi di notevole complessità e i suoi soli
malati, eseguiti come e meglio che su disco, rappresentano uno dei momenti più
attesi dello show.
La scaletta è un susseguirsi di pezzi che hanno fatto -scusate la banalità- la
storia del metal estremo, da Buried Dreams, passando per Incarnated Solvent
Abuse, no Love Lost, Carnal Forge, il medley Ruptured in Purulence/Death
Certificate, This Mortal Coil, fino a classici del death/grind come Reek of
Putrefaction e Rotten to The Gore. Verso la fine del concerto Walker finalmente
si concede un po’ al dialogo con il pubblico, esponendo la sua teoria circa “le
due prove che Dio non esiste”: la prima, sarcasticamente, consisterebbe nel
fatto che nella prima giornata del Gods Of Metal i Motley Crue abbiano suonato
dopo gli Heaven and Hell; la seconda prova riguarda la malattia che ha colpito
lo storico batterista della band Ken Owen costringendolo ad abbandonare le
pelli. Ken a questo punto sale sul palco, tra l’incitamento generale, per
sedersi dietro alla batteria ed eseguire un solo certamente molto elementare, ma
al contempo per ovvie ragioni commovente. Si va a chiudere, con la provocatoria
ed anthemica Keep on Rotting in The Free World e l’attesissima quanto strepitosa
Heartwork, quella che, ad avviso di chi scrive, è stata una delle migliori
esibizioni in assoluto in questa edizione del Gods Of Metal.







DREAM THEATER
(Report a cura di Francesco Sorricaro)
(Foto a cura di Francesco Sorricaro)

Sta tramontando il sole sullo Stadio Brianteo quando risuonano dalle parti del
L-Stage le note dell’Intro ‘Also Sprach Zarathustra’che ha dato inizio a tutto
il Chaos in Motion Tour.
E’ il segnale che sul palco stanno per salire i Dream Theater.
Mi precipito al mio posto d’osservazione di una delle esibizioni più attese
della giornata, e la gran folla di fan che li chiamano a gran voce indossando
centinaia di magliette marchiate con il “Majesty Logo” sembra confermarlo
appieno.
In fondo i Theater sono sempre stati una delle metal band più amate dagli
Italiani e comunque i loro live show generano sempre curiosità anche in chi
magari non ama molto il loro genere di proposta musicale.
Come di consueto, soprattutto nei festival, la scenografia è costituita dalla
sola strumentazione della band e tuttavia, quando viene scoperta alla fine dell’intro
il gigantesco Mirage Monster (l’imponente drum set di Mike Portnoy utilizzato
per l’ultimo tour della band, ndr) tra gli “ooooooooooh” del pubblico, si
capisce che sono queste cose uniche ad esser diventate il vero simbolo della
band newyorkese, senza bisogno di altri fronzoli.
I cinque partono subito a spronbattuto; li aspetta solo un’ora e mezzo di
spettacolo, un tempo brevissimo per loro (chi è avvezzo ai loro live set lo sa
bene) e quindi partono subito sparati con ‘In the presence of enemy Part I’, uno
dei migliori brani tratti da Systematic Chaos, con ritmiche serrate e veloci
cambi di tempo: una partenza col botto.
“Ci vuole un fisico bestiale” direbbe qualcuno, ed infatti John Petrucci si
presenta pompato come l’omino di una nota marca di pneumatici (John, qualsiasi
cosa tu stia prendendo…smettila!!!, ndr). Il gruppo è in forma e anche James
LaBrie sembra in serata sì quando intona le note di ‘Beyond this life’ tratto
dal capolavoro Scenes from a Memory.
Ancora un pezzo da Gods of Metal come la terremotante ‘Constant Motion’ ci
ricorda che Portnoy sa rendere la sua creatura un camaleonte pronto ad ogni
occasione e dunque nulla sembra far presagire una setlist fiacca o noiosa.
L’unica concessione al nuovissimo disco in uscita Black Clouds & Silver Linings
è il singolo ‘Rite of Passage’, il quale sembra migliorare molto il suo appeal
dal vivo; ma dopo una ‘Hollow Years’ da accendino acceso cantata in coro da
tutta la platea, finalmente arriva la vera sorpresa.
I cinque ci portano alla mente che sono passati 15 anni dalla pubblicazione di
Awake e, come per l’edizione del 2007 dove celebrarono Images and Words, qui
offrono un piccolo tributo all’oscuro album del 1994 suonando di seguito ‘Caught
in a web’, ‘Erotomania’ e la splendida ‘Voices’: brani che da tempo non
comparivano nelle loro scalette e che vengono riproposti fedelmente e senza
sconvolgimenti di sorta, quasi a volerli rispolverare per i loro fan più giovani
accorsi a vederli.
Dopo gli applausi di rito per questo bellissimo regalo ci si accorge che, data
anche la consueta lunghezza dei pezzi proposti, si è già agli sgoccioli della
serata: è quindi il momento per l’immancabile inno ‘Pull me under’, anche questo
fatto cantare a squarciagola da una band sugli scudi che non ha sbagliato quasi
niente fino a questo momento e alla fine di questo si prende un brevissimo
momento di pausa.
I Dream Theater non si sono mai fatti pregare troppo per un bis, ed infatti
anche questa volta rientrano per suonare ancora un altro pezzo, e che pezzo!
L’intro è di quelli più noti in assoluto della loro discografia: si tratta di ‘Metropolis
Part I’. Il monumentale brano tratto da Images and Words viene eseguito con
maestria quasi scolastica, con Portnoy che durante l’esibizione esegue i
consueti numeri da giocoliere con le sue bacchette, John Myung che si prende i
suoi 10 secondi di visibilità con il suo arcinoto tapping sul basso e Jordan
Rudess che, imbracciato il suo Zen Riffer (una tastiera verticale trasportabile,
ndr), ingaggia un duello a colpi di note con John Petrucci durante la parte
strumentale.
Con James LaBrie che completa la sua ottima prestazione andando a prendere anche
le note più alte sul finale del brano, si conclude il concerto del Teatro: una
esibizione come al solito al limite della perfezione per quanto riguarda
l’esecuzione, forse un po’ freddina a livello di coinvolgimento emotivo (il
breve tempo a disposizione e la lunghezza dei brani può essere solo una parziale
giustificazione, ndr) ma comunque arricchita dalla scelta della scaletta,
davvero azzeccata.

Inchino, saluti ed arrivederci in autunno per il Progressive Nation Tour. Un
altro mattone è stato posto per la crescita dell’apprezzamento e della notorietà
dei Dream Theater in Italia, se mai ce ne fosse stato bisogno.











SLIPKNOT
(Report a cura di Pier Tomasinsig)
(Foto a cura di Tommaso Pastori)

A chiudere la giornata, dopo l’ottimo show dei Dream Theater, ci pensa la follia
degli Slipknot, tornati sul palco del Gods Of Metal dopo l’edizione del 2000
(sempre a Monza). Considerevole su quasi tutti i punti di vista, come sempre,
l’esibizione dei nove mascherati e, anzi, migliorata ancor di più con il passare
degli anni, garantendo sempre il solito spettacolo ad alto tasso energetico.
Escluse alcune piccole imprecisioni a livello ritmico e le troppe pause fra un
brano e l’altro, il set della band può comunque essere considerato come buono.
Fra i momenti migliori ci sono sicuramente da citare gli innesti in setlist di
pezzi del calibro di “Eyeless”, “Wait in bleed”, “Get this”, “Surfacing” ed una
“Spit it out” cantata a squarciagola da tutti i presenti. Non da meno le
esecuzioni di “Disasterpiece” (da Iowa), “Left behind” e l’ormai grande classico
“People=shit”, tutti pezzi suonati con l’energia tipica che contraddistingue i
live show della band. Degna chiusura di questo Gods Of Metal 2009 quindi, con una
prestazione tanto attesa e che, sicuramente, è riuscita a ripagare nel migliore
dei modi tutte quelle che erano le attese del pubblico presente al Brianteo.











CONCLUSIONI
(A cura di tutto lo staff presente al festival)

Come sostengo da sempre, l’importante è non tornare nel forno di Bologna sede
secondo me inadatta e ideale solo come forma di tortura per gli sventurati
avventori.
Lo stadio Brianteo si è rivelato quindi un buon impianto anche perchè
-fondamentale – in questo tipo di strutture esistono i bagni cosa non da poco…
e sono state allestite delle docce sugli spalti vera manna dal cielo ( io avrò
bagnato la mia bandana un centinaio di volte…)
Non male la disposizione degli stand e del mercatino dei cd posto in un punto
nevralgico che collegava il palco agli stand stessi. Si terminava di guardare un
gruppo e nel cammino ti fermavi a frugare fra i cd con calma senza l’assillo
della calura opprimente. Grossi passi in avanti quindi da quando vidi il mio
primo Gods nel 2005, che dal punto di vista dell’organizzazione fu un po’
lacunoso. Non siamo a livelli dell’ Arrows in Olanda, del Wacken o di altri
concerti in giro per l’ Europa ma è proprio una questione di cultura e noi
italiani forse dovremmo rassegnarci sempre a stare un gradino sotto.
Ok, non è per niente facile organizzare un evento del genere, tra mille
problematiche e poi ripeto: sono stati fatti grandi miglioramenti e lo sforzo si
è percepito; l’anno prossimo sarà ancora meglio, sono convinto.

Assurda la decisione di impedire l’uscita fuori dallo stadio alla gente prima di
una certa ora. Penso fosse una questione commerciale dovuta al fatto che si
doveva stare dentro per… spendere dentro.
Prezzi nella norma (ormai ci siamo abituati all’Euro con buona pace di tutti…)
ma la fila per la pizza era davvero estenuante e io nell’attesa sono persino
riuscito a fare amicizia con una tipa molto carina e gentile che poi si è
offerta
di prendere la pizza pure per me… (grazie mille!)
Ancora: poca, pochissima ombra ( sotto questo aspetto l’ Idroscalo è davvero la
miglior location possibile) ma tutto non si può avere.
Più che buoni i suoni per quasi tutti i gruppi ( diversamente era colpa di
qualcuno che non sapeva evidentemente suonare :). Bella l’idea dei due palchi
anche se volendo seguire il gruppo successivo nelle prime file gli spostamenti
diventavano impossibili con l’handicap che perdevi pure la tua posizione…
La giornata di Domenica l’avrei vista diversamente; ma qui è una questione di
gusti. Ma gli Slipknot proprio no…

Promossi a pieni voti: Tesla e Heaven and Hell, Marty Friedman
Promossi: Epica, Queensryche, Blind Guardian, Tarja, Carcass (!), Cynic
Non mi hanno del tutto convinto: Edguy ( un pò noisosi…) e Voivod (pecccato…),
Dream Theater ( si complicano la vita, eppure La Brie è in forma) e Lita ford (
molti pezzi li conoscevo e sono venuti bene ma quante note sbagliate quanti
errori!!!!)
Bocciati: Motley Crue
Non pervenuti: Slipknot ( della serie a casa per dare tregua alla schiena),
Mastodon, Napalm Death, e i Down dei quali ho sentito 3-4 canzoni e non mi son
sembrati male.

Andrea Loi

Probabilmente non sono la persona più adatta per dare un giudizio su un
grande festival, perché non amo particolarmente questo tipo di eventi, se non per
l’occasione di incontrare amici vecchi e nuovi. Ad ogni modo ritengo che, per
quanto concerne quest’edizione del Gods Of Metal, la bilancia tra pregi e
difetti penda sensibilmente a favore dei primi. L’idea del doppio palco mi è
piaciuta, ha permesso di limitare i tempi morti e di contenere, se non
eliminare, i ritardi. La sede prescelta, lo stadio Brianteo di Monza, non sarà
forse il luogo “perfetto” per molti versi, ma lo considero un notevole passo in
avanti rispetto al Parco Nord di Bologna, letteralmente invivibile per il caldo
e l’inevitabile polverone che sale sempre dal manto terroso. La bill offerta
quest’anno è stata molto eterogenea, come del resto avviene in molti fetival
all’estero, andando a coprire molti generi diversi (a parte l’inspiegabile
mancanza di gruppi thrash, che il sottoscritto provvederà a compensare
ampiamente al Metalcamp) e i grandi nomi, almeno sulla carta, non sono mancati.
Tra i miglioramenti che ho riscontrato al Gods Of Metal quest’anno annovererei
anche la resa sonora e i volumi molto più adeguati che in passato:
l’organizzazione sembra finalmente essersi dotata di un impianto all’altezza
della situazione, anche se non tutte le band (mi vengono in mente i Blind
Guardian in particolare) hanno saputo o potuto sfruttarlo al meglio. Preziosa
anche la possibilità di concedersi un po’ d’ombra sotto le gradinate, da dove
comunque era possibile seguire bene il concerto, con l’ovvia precisazione che
l’acustica là sotto non poteva certo essere ottimale, soprattutto quando tirava
il vento. Tra i difetti segnalerei soprattutto un servizio di ristorazione
inadeguato, troppo lento nel servizio (io stesso ho provato l’ebbrezza di
quarantacinque minuti di coda sotto al sole per mangiare uno striminzito panino)
e poco fornito (in un festival del genere esaurire l’acqua così presto è un
errore grave), nonché soprattutto i costanti problemi ad uscire dall’area
concerto, perchè non erano disponibili i braccialetti o perché “era finito
l’inchiostro dei timbri” (sic.). Sul servizio pulmann, riguardo al quale ho
sentito dire peste e corna, ovviamente non mi pronuncio, non avendone usufruito.
Non si tratta, ad ogni modo, di voler trovare il proverbiale “pelo nell’uovo”;
semplicemente, in un’ ottica in cui la volontà di miglioramento da parte degli
organizzatori appare evidente -ed alcuni miglioramenti effettivamente si sono
riscontrati-, mi sembra auspicabile che si faccia tesoro degli inconvenienti che
ancora si sono verificati e delle conseguenti opinioni (anche critiche se del
caso) dell’utenza per migliorare ancora: anche perché, se si vuole superare
certo nostro provincialismo “all’italiana” e giocarcela alla pari (anche sul
piano organizzativo oltre che per i gruppi proposti) con i più importanti
festival europei questa è la strada obbligata.
Da ultimo, un saluto e un caloroso ringraziamento a tutti quelli che sono
passati a trovarci allo stand di TrueMetal e agli amici di Metalitalia con cui
abbiamo condiviso il suddetto stand, per la disponibilità dimostrata in ogni
occasione.

Pier Tomasinsig

Credo che l’annata 2009 sia stata una buona edizione, nonostante la presenza
degli Slipknot che per il sottoscritto (=opinione personale=gusti) sono il
manifesto di tutto quello da evitare oggigiorno. Rimane il grande rammarico per
i Blind Guardian relegati ancora una volta a poco più di un’ora di show nel
tardo pomeriggio e dei Motley Crue, in forma tutt’altro che smagliante, incapaci
invece – nonostante i 90 minuti disponibili – di andare oltre un’ora di musica.
Insieme alla volontà di essere presente al festival italiano numero 1 e alla
voglia di rivedere colleghi e utenti di TrueMetal, queste due band erano i due
motivi principali per cui ho deciso di affrontare 8000 km di aereo in poco più
di 48 ore, e le considerazioni precedenti non possono che lasciarmi un po’ di
amaro in bocca. C’è ancora qualche pecca nell’organizzazione (non si può finire
l’acqua a metà pomeriggio e vietare ai ragazzi di uscire perché anche
braccialetti e timbri sono esauriti) ma il più delle cose sono filate liscie e
credo molti siano andati a casa soddisfatti dalla scaletta a sorpresa dei Blind
Guardian, dalla classe degli Heaven & Hell guidati dal sempreverde, divino
Ronnie James Dio, o dalla visione dei Carcass dal vivo, dopo anni di attesa.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

La prima giornata, l’unica che mi ha visto presente, ha emesso tre sentenze
inappellabili:
1 – gli Heaven & Hell sono stati i veri headliner
2 – i Motley Crue sono una band tenuta insieme solo per business che ha perso
definitivamente la magia dei bei tempi nelle performance dal vivo
3 – Monza è la location migliore per questo tipo di kermesse
Fine.

Stefano Ricetti

Di cosa non ho avvertito la mancanza, quest’anno, al Gods? Della polvere e del
fango. Di quell’afa e quel caldo soffocante, al punto da desiderare di essere
annaffiati dagli idranti. Del pogo forsennato. Dei tempi morti e delle code alle
latrine da campo (che sia stato solo fortunato?)…
Cosa mi rimarrà nella memoria? Il pressing asfissiante dei bagarini. L’odore
dell’erba fresca del campo di calcio, le code durante la distribuzione dei
braccialetti rossi (per uscire dallo stadio), un cielo gonfio di pioggia, gli
incontri con gli amici, ma soprattutto Heaven and Hell con la loro
indimenticabile, penetrante lezione di Storia, il sentirsi parte della leggenda,
il sentirsi ancora lì in piedi con loro, vivi e incazzati più che mai,
nonostante il passare degli anni e le spinte modaiole sempre più invadenti. La
figura barcollante di Mick Mars, grigio e allucinato, alla fine del concerto,
nel backstage. E, dopo un indimenticabile after-show con il mio idolo di sempre,
tutto il mare di immondizia che macchiava di bianco il verde del prato.

Marcello Catozzi

Un gran bel Gods of Metal. Tutto è funzionato alla grande, sopratutto se
rapportato alla scorsa edizione bolognese: location, suoni, prezzi, tempistiche
e servizi vari. Nota dolente la gestione braccialetti entrate/uscite: non siamo
mica in una galera! Tirando le somme, per quanto mi riguarda devo riconoscere la
piena riuscita della manifestazione augurandomi nel contempo un bis nel 2010.
Band 10 e lode: Cynic, Voivod, Tesla ed Extrema
Piacevoli sorprese: Freedman ed Epica
Delusione: Queensryche
Colgo l’occasione per ringraziare i colleghi di MetalItalia con cui abbiamo
condiviso lo stand: ragazzi davvero conrdiali, simpatici, competenti,
disponibili, ma sopratutto ‘veri’, componente umana sempre più rara in un mondo
come quello d’oggi.

Nicola Furlan

Riguardo al Gods di quest’anno le cose che mi vengono in mente per prime come
ricordi positivi sono due.
La prima è il pubblico. Un pubblico che raramente ho visto così educato e
proiettato solo al divertimento invece che al disfattismo. Sarà stata l’azzeccatissima
soluzione dei due palchi ma comunque, nonostante un bill abbastanza vario, non
mi è sembrato di veder volare una sola bottiglietta all’indirizzo di nessuno, nè
alcuna protesta sopra le righe, neanche quando è saltata l’esibizione dei Saxon,
che comunque era attesa da molti. Che stiano cominciando a migliorare le cose?
La seconda cosa che mi ha fatto piacere e che mi continua a colpire ogni volta è
constatare l’estrema umiltà e tranquillità di gente come i Voivod, o come i
Cynic: musicisti che hanno fatto la storia della musica che amiamo e che invece
di tirarsela come potrebbero benissimo fare, non si fanno alcun problema a
scendere dal loro piedistallo e a passeggiare tranquillamente tra i fan,
fermandosi a chiacchierare o a firmare autografi a qualsiasi richiesta, sempre
con il sorriso e senza guardare continuamente l’orologio. Questa lezione
dovrebbe servire per tante giovani e anche meno giovani realtà musicali, di cui
non voglio fare i nomi, che invece pensano che sia molto più rock ‘n’ roll
rimanere nella propria aurea divina, e sviluppano quasi un terrore recondito
anche per solo una decina di terribili “mostri” armati di pennarello e digitale
che magari hanno fatto centinaia e centinaia di km sperando di portare a casa
almeno una foto in compagnia del proprio beniamino.
La delusione può portare all’abbandono.
Meditate….meditate…..

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro