Live Report: Italian Gods Of Metal a Milano
Giunto alla sua seconda edizione, l’Italian Gods Of Metal ha offerto, anche per questa occasione, uno spettacolo atto a mostrare al pubblico quello che è l’ottimo stato di salute di una scena (quella italiana) a volte anche fin troppo sottovalutata. Sui due palchi dell’Alcatraz di Milano di sono alternate formazioni storiche del calibro dei redivivi Bulldozer, Strana Officina, Skanners e Pino Scotto, realtà affermate come Infernal Poetry, Trick Or Treat e Malnatt, lasciando anche lo spazio necessario a giovani promesse come In Tormentata Quiete, Bad Bones e Atreides, questi ultimi selezionati tramite il contest organizzato dalla nostra redazione. Uno spettacolo, come dicevamo, che, nonostante un’affluenza di pubblico non propriamente da record, è riuscito a soddisfare la gran parte dei presenti, grazie anche ad una proposta musicale piuttosto eterogenea che è arrivata anche verso lidi non propriamente metal con l’esibizione della storica hardcore band Raw Power.
Buona lettura.
Angelo D’Acunto
Report a cura di Riccardo Angelini, Lucia Cal, Angelo D’Acunto, Nicola Furlan, Silvia Graziola, Stefano Vianello e Stefano “Steven Rich” Ricetti
Foto a cura di Daniele Peluso, Silvia Graziola e Steven Rich
Bad Bones
Che razza di rocker questi Bad Bones! Già il solo fatto d’esser riusciti a trascinar all’Alcatraz una quarantina di persone ben stipate sul ‘Bab Bones Bus’ è segno di attitudine street come mai ci si sarebbe attesi da una band d’apertura. E l’operato on-stage non è stato da meno! Coinvolgenti, bravi e brillanti intrattenitori: questi sono i termini che mi sono balzati in mente durante l’esibizione del terzetto piemontese. I pezzi hanno avuto un’anima rock senza pari, sono stati impreziositi da ritornelli catchy e da soli di tutto rispetto a metà strada tra lo sleazy e lo street e, non di rado, sono stati caratterizzati da un groove deflagrante in grando di lasciare un segno tangibile nelle impressioni dei presenti. Presenti che, a fine show, hanno omaggiato la band con un lungo e sentito applauso. Peccato solo qualche piccola defezione a livello di suoni che però, nel complesso, non ha inficiato una prestazione da lode.
Nicola Furlan
Atreides
Dopo l’ottima esibizione d’apertura dei Bad Bones, tocca ai piemontesi Atreides salire sul palco dell’Italian Gods Of Metal. La band, c’è da dirlo, ce la mette tutta per fare bella figura, ma viene penalizzata da suoni ancora in via di definizione e che minano non poco la loro esibizione. Difatti, al contrario di quel che è successo (anche successivamente) sul club stage (il palco secondario, per intenderci) la hall stage fatica non poco ad avere dei settaggi decenti, situazione che si risolverà completamente (o quasi) solo a partire dallo show della Strana Officina. Il roccioso heavy metal del gruppo di cuneo viene quindi fatto praticamente a fette da una resa sonora piuttosto scarsa. In ogni caso i pochi presenti dimostrano di apprezzare ugualmente la proposta musicale del gruppo, il quale ringrazia l’accoglienza, non mancando anche di dedicare il proprio show agli utenti del forum di TrueMetal.
Angelo D’Acunto
Malnatt
Un densa coltre di nebbia avvolge il palco. Un glifo illeggibile da chiunque non sia posseduto da un demone ubriaco della bassa padana troneggia sullo sfondo. Rintocchi abissali disperdono la bruma e rivelano le sagome incappucciate dei più agguerriti (et unici) adepti del Nekroporco. La folla s’aduna vociante. Qualcuno saluta l’avvento dei Malnatt con un sonorissimo moccolo, che il singer, frontman e uomo-immagine Porz accoglie con ampi cenni di approvazione. Ma subito tocca alle chitarre scacciare a pedate negli zebedei l’ignavo ottimismo benpensante, in nome dell’epos pagan-felsineo di cui i Malnatt si sono fatti augusti portabandiera sin dall’ormai lontano 2001. Quanti, fra i profani del genere, non hanno mai avuto l’onore e/o l’ardimento di assistere a una esibizione di turpitudine sonora malnetta possono immaginarsi un sepolcrale Epic-Folk-Black Metal, imparentato da vicino ma non troppo col sound di primi Primordial e Moonsorrow. Svettano nella setlist il pessimismo cosmico di ‘Fantasmi’ e la dialettica dissacrante di ‘Malleus Male Fica Rum’. Fra una colata di incandescente grasso musicale e l’altra, il carismatico Porz intrattiene il pubblico con il proverbiale repertorio aneddotico per il quale è da lustri noto nel circondario bolognese, snocciolando sordide memorie d’un rocambolesco passato e ammiccanti inviti alle pulzelle festanti fra le prime file (saranno stati raccolti? Ai posteri…), fino a svelare da ultimo le proprie forme scultoree per omaggiare il pubblico in adorazione di una gloriosa t-shirt ben imbibita di sudore pagano. È gloria e delirio all’Alcatraz di Milano.
Riccardo Angelini
Trick Or Treat
Riposano i riflettori mentre le ombre abbracciano vaghe sagome di strumenti che giacciono nel buio. Frenano gli istanti, s’arresta la platea, tintinnano passi traditi da un balenio di colori. Acclamati, attesi, approvati e suffragati, arrivano i ‘Tin Soldiers’ di Modena a squarciare il silenzio in un’esplosione di tinte fluo incollate ai loro strumenti e ai fuseaux zebrati coronati da snickears so Eighties. Il tempo di ambientarsi attraverso l’intro “A Night in the Toyshop” e la formazione Trick or Treat si presenta al completo: Alessandro Conti sfreccia di rosso vestito sfoggiando l’eloquente T-Shirt fiammante targata “Sfida”, ogni riferimento a un qualsiasi programma televisivo è puramente voluto, microfono alla mano afferra le note di “Paper Dragon” e che lo spettacolo abbia inizio. L’abilità innata che ha il quintetto di costruire un’atmosfera ‘smooth and fairy’ ad alta dose di trivialità tuttavia è scheggiata sin dai primi minuti dal pessimo settaggio sonoro, cosa che crea una spinosa incongruenza fra una resa tecnica e strumentale quasi perfetta, e l’impossibilità di goderne il risultato. Gioco di sguardi e reazione lampo da professionisti, i ragazzi sentono che qualcosa non va, la voce di Ale Conti inizialmente sommersa dagli strumenti, riprende le briglie della performance, mentre gli eroici Luca Cabri e Guido Benedetti tentano di arginare la potenza stridente delle chitarre fin troppo invadenti. Peccato non aver beneficiato in questi primi minuti della destrezza al basso di Leo Villani Conti, ma c’è tutto il tempo di rifarsi. Il pubblico comprende e non li abbandona, gli sguardi si magnetizzano on stage nella speranza che le cose possano migliorare, cosa che sembra accadere durante “Take your Chance”, ma che avviene compiutamente nel momento di un classico come “Evil Needs Candy Too”. La somiglianza tra le voci di Alessandro e l’ex Helloween Michael Kiske è a tratti incredibile, anche se la sua personalità sensazionale e sgargiante, oltre a un timbro magnifico, lo rendono oltremodo unico. I fan nelle prime file si dividono tra l’estasi dei momenti di incredibile umorismo che i modenesi sanno veicolare con un carisma intenso e costante, e la forsennata allegria infusa attraverso una performance davvero elevata. Sfoggiano orecchie da coniglietta, inondano la platea di stelle filanti, racimolano i gaudenti doni d’intimo femminile che qualche giovane procace non esita a condividere, fanno saltare ben più d’un redattore… Inutile negare, sovvertono l’ordine culturale costituito che sembra essersi fossilizzato attorno ai reality e alla sterilità mentale e massificata che impedisce l’espressione di qualsiasi forma di originalità. Playboys o players, quali siano le regole del gioco della spersonalizzazione che sovverte la distinta divisione dei nostri ruoli, che siano i Trick or Treat gli estranei in uno mondo ingrigito dalle consuetudini, o che siano la pura espressione di ciò che le genti dovrebbero riscoprire, poco importa: in quel momento di folle consapevolezza siamo finalmente noi stessi, senza vincoli, senza parti, senza finzioni. Cala il sipario raccogliendo a sé l’atmosfera euforica di uno spettacolo in crescendo, accompagnato dal refrain “It’s true, I am like Donald Duck”, altro pezzo da repertorio storico, regalato attraverso la festosa spensieratezza di sempre. Perché loro ci piacciono così come si presentano: schietti, sinceri, raggianti, tremendamente arguti e tecnicamente impeccabili. In una parola, vincenti.
Lucia Cal
In Tormentata Quiete
Il quinto gruppo a salire sul palco sono gli In Tormentata Quiete, vincitori del contest Italian Metal Awards per la sezione “Dark”. Sin dalle prime note la band bolognese mette in mostra il motivo di una sua vittoria così schiacciante: l’esecuzione strumentale è impeccabile e lo spettacolo messo in scena sul palco uno dei migliori della serata.
Lo show inizia con la stessa introduzione dell’ultimo album pubblicato, Teatroelementale, ovvero Discorso Sul Teatro Drammatico, a cui si aggancia il primo brano vero e proprio, L’Alchimista. Gran parte dell’attenzione viene catalizzata dai due cantanti al centro del palco e dal loro modo di interpretare e, soprattutto recitare le canzoni: Giovanni Notarangelo, voce pulita, riflessivo e fermo nei movimenti e Marco Vitale, voce scream, violento e irrequieto amalgamano in modo sublime voci e gesti. La fortuna nell’assegnazione del palco dà un ulteriore aiuto al gruppo, grazie ai suoni decisamente migliori del Club Stage su cui si esibisce, nettamente migliori di quelli del palco più grande. L’esibizione prosegue con La Danza Del Fuoco e Il Pianto della Terra, estratti anch’essi dall’ultimo album della band, seguiti da una rapida incursione nell’omonimo disco di esordio con il brano L’Albero, per poi finire l’esibizione con Del Mare Alla Luna. Un lungo applauso accompagna il congedo degli In Tormentata Quiete che, nonostante la loro musica raffinata e ricercata necessiti un po’ di tempo in più per essere assimilata, riesce a conquistare molti dei presenti, affascinati da questa piacevole novità.
Silvia Graziola
Strana Officina
Brani del nuovissimo album Rising To The Call presentati in anteprima assoluta e vecchi cavalli di battaglia hanno contraddistinto la breve esibizione della Strana Officina, relegata in una posizione anomala all’interno del bill dell’I-Gom. In questi casi quello che fa la differenza è la professionalità che dimostra una band dando comunque il meglio per rispetto nei confronti dei fan. Performance al calor bianco, quella dei toscani, addirittura toccante più di altre volte quando il singer ha evocato la presenza di Marcellino Masi, Fabio e Roberto Cappanera, immancabili protagonisti da lassù in tutti i concerti di questo gruppo leggendario. Night Flyer, Boogeyman, Pyramid, ma fra le new entry ha colpito la potenza devastante di un probabile hit del prossimo futuro come Beat The Hammer. Tagliata mentalmente per problemi di tempo l’evergreen Metal Brigade – così, almeno, presumo -, il climax si è raggiunto durante Autostrada Dei Sogni e Viaggio In Inghilterra, degnamente supportate dalle precedenti Profumo di Puttana e Sole, Mare, Cuore. Chiusura con la versione “Judaspriestiana” di Non Sei Normale, dove si è ripetuto il simpatico siparietto costituito dal lancio della maglietta, con il titolo della canzone in bella vista, da parte del Marcone nazionale, uno fra i fan più fedeli e antichi della Strana Officina, giustamente omaggiato da Bud al microfono. Gli Italian Gods Of Metal della giornata sono stati Loro? Per molti dei presenti si, considerando anche gli Osanna ricevuti dal gruppo durante il meet’n’greet presso lo stand della My Graveyard Productions. Amore e rispetto, ecco quello che sa scatenare la Strana Officina… patrimonio di pochi.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Infernal Poetry
Daniele Galassi e compagni spaccano di brutto. Lo si sapeva già ma, a differenza d’altre occasioni, all’Italian Gods of Metal hanno fatto anche meglio. La classe e la particolare proposta che ne caratterizza lo stile, hanno certificato quanto gli Infernal Poetry si collochino di fatto in quella schiera di band dedite al death metal di qualità superiore. Vuoi l’abilità d’esser riusciti, nel corso di carriera, ad affrontare vari stili come il melodic death piuttostio che il technical death, vuoi l’indubbia capacità tecnica che permette la composizione di brani di tutto rispetto, ma questi ragazzi ci sanno fare. Al lato pratico ci sanno fare per davvero! Interessanti anche le nuove canzoni che aprono interessanti spiragli sulla qualità del nuovo studio album. Bravi.
Nicola Furlan
Labyrinth
Arriva il momento per i Labyrinth. Il gruppo sale sul palco con una formazione diversa da quella del disco che li ha consacrati nel mondo del metal italiano, Return To Heaven Denied, ma di tutto rispetto: Roberto Tiranti alla voce, Olaf Thorsen e Andrea Cantarelli alle chitarre, Andrea De Paoli alle tastiere, Sergio Pagnacco al basso e Alessandro Bissa alla batteria. Dopo una breve introduzione strumentale, viene proposto uno dei brani più rappresentativi della band, Moonlight. Come capita in tutte le manifestazioni musicali in cui il palcoscenico è condiviso da più gruppi, i suoni purtroppo non pagano: almeno per buona parte della canzone i nostri devono convivere con effetti gracchianti e impastati e volumi degli strumenti non perfettamente calibrati. Tralasciando questi problemi tecnici, è emozionante rivedere lo scambio di assoli tra Thorsen e Cantarelli che, nonostante i molti anni trascorsi senza più suonare assieme, dimostrano di essere ancora affiatati come un tempo. A seguire, la scaletta propone In The Shade, tratta dal disco di esordio No Limits, cantata da un Tiranti in splendida forma che sembra non avvertire la minima fatica nel passare da acuti altissimi a momenti più melodici e calmi. Vengono proposti quindi altri due estratti da Return To Heaven Denied, una splendida Lady Lost in Time introdotta dal pianoforte di Andrea De Paoli, che per l’occasione sfoggiava due particolari lenti a contatto color ghiaccio, e una State Of Grace di impatto suonata anche qui con un’ottima maestria da tutto il gruppo. A questo punto Roberto introduce un brano inedito che andrà a far parte del nuovo disco in uscita a giugno, “Return To Heaven Denied Pt.2 – A Midnight Autumn’s Dream”, il cui titolo dovrebbe essere A Chance. Si tratta di una traccia in stile tipicamente “Labyrinth”, con parti lente e melodiche e accelerazioni potenti e graffianti, decisamente un buon biglietto da visita per quello che si prospetta essere un album pieno di sorprese. Ci si avvicina alla parte conclusiva dell’esibizione e la canzone proposta ora è Piece of Time, estratta dal primo disco che fa da antipasto alla conclusiva Thunder. Dopo i disguidi sonori all’inizio della performance, i tecnici audio sono riusciti a raggiungere il giusto equilibrio tra i vari strumenti, dando la possibilità al brano conclusivo di avere finalmente abbastanza potenza da rappresentare al meglio la band. In definitiva è stata una prestazione notevole, nonostante un pubblico relativamente tiepido come reattività e supporto. Ogni musicista ha dato il massimo e un encomio particolare va fatto a Sergio e Alessandro che in breve tempo sono riusciti a integrarsi perfettamente all’interno della nuova formazione.
Stefano Vianello
Raw Power
Vera e propria mosca bianca all’interno di un billing dedicato più o meno a tutte le sfaccettature del metal, i Raw Power. al contrario delle aspettative, riescono a far radunare una modesta schiera di pubblico dalle parti del club stage dell’Alcatraz, sfoderando una prestazione letteralmente distruttiva, forse anche troppo. Pochissime sono infatti le pause fra un pezzo e l’altro, a favore di quella violenza inaudita che la band porta on-stage da circa trent’anni, il tutto sotto le sembianze di brani pescati un po’ da tutta la discografia, più un’anteprima tratta da Resuscitate, il nuovo album di prossima pubblicazione. In primo piano, come sempre, i latrati del frontman Mauro Codeluppi, il quale non manca di lanciare anche qualche frecciatina nei confronti degli organizzatori… e proprio in questo caso qualcuno potrebbe etichettare tale gesto come irrispettoso e menefreghista. Ma che dire? è semplicemente una questione d’attitudine (quella punk-hardcore, in questo caso).
Angelo D’Acunto
Sadist
Poco da dire. I Sadist sono una band straordinaria. Questi ragazzi liguri hanno da sempre idee raffinate e tanta attitudine live nonché annoverano al microfono un pazzo frontman di nome Trevor che, con il suo carisma, da sempre riesce a coinvolgere i ragazzi accorsi sotto il palco. Personalmente ho visto la band all’azione parecchie volte e devo dire che mai sono stato smentito nelle aspettative. Sempre precisi, verrebbe da dire ‘chirurgici’ nell’esecuzioni di pezzi le cui complessità esecutive non sono poi così scontate. Si pensi ai pezzi estratti da “Tribe” piuttosto che da “Crust” da cui è stata estratta l’immancabile Christmas Beat. Passando per le chicche di “Above The Lights”, hanno trovato spazio anche i pezzi del nuovo disco “Season In Silence”. Insomma i conti tornano e i Sadist, ancora una volta, hanno fatto il loro grande show per l’occasione suggellato dall’imprescindibile Sometimes They Come Back. Una certezza.
Nicola Furlan
Skanners
Da troppo tempo assenti dagli importanti palchi meneghini i bolzanini Skanners hanno vomitato sul pubblico tutta la rabbia accumulata in questi ultimi lustri, grazie a un set generoso in termini di tempo in virtù dell’ottima posizione in scaletta dell’I-Gom. Fatto che sicuramente li ripaga di molti sacrifici, in primis quello di non mollare durante i durissimi anni della Grunge-mania, quando capitava Loro anche di suonare di fronte ai classici quattro gatti. L’innesto dello storico e simpatico bassista Dino Lucchi porta ulteriore energia e colore a un combo che non hai mai difettato nell’interazione con l’audience, grazie al funambolico singer Claudio Pisoni, un entusiasta dell’HM insieme con il fido compare Fabio Tenca. Tv Shock, Metal Party, Starlight, Rock City sono cannonate che non lasciano prigionieri e infatti il pit si lascia coinvolgere alla grande da codeste dosi da cavallo di heavy metal classico. Dopo la terremotante – e dedicata – Welcome To Hell lo show si chiude con la nuovissima e inedita Hard and Pure, dal sano gusto retro’ siderurgico all’inglese, quello che ancora oggi fa venire la pelle d’oca proprio perché evocante l’inizio del tutto. Pezzo beneaugurante, senza dubbio, che contribuisce a far crescere l’attesa per il prossimo album Factory Of Steel, annunciato per giugno 2010. Di fatto l’unica big band di classic HM della rassegna i Nostri hanno tenuto altro l’onore del genere metallico più ortodosso, cavandosi la soddisfazione di ricevere di ritorno dal pubblico buona parte dal calore emanato on stage.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Bulldozer
Alzi la mano chi non era presente principalmente per loro. Dire che l’esibizione dei Bulldozer è stata una delle apoteosi della giornata, suona quasi come riduttivo. La band, infatti, ha dato prova di essere tutt’altro che arrugginita, sfoderando una prestazione assolutamente devastante e che sarà veramente difficile da dimenticare. La formazione a sei elementi (compreso il figlio di Alberto alle tastiere), lo si sapeva già, rende in ottimo modo, e riesce a riprodurre fedelmente la violenza che contraddistingue tutte le release in studio della band. In primo piano ci sono soprattutto la voce cavernosa di un A.C. Wild in grande spolvero e il riffing tritaossa che fuoriesce dalla chitarra di Andy Panigada, entrambi coadiuvati a dovere da nuovi e ottimi innesti come Manu alla batteria (assolutamente devastante) ed un axe-killer come “Ghiulz” Borroni alla chitarra, precisissimo in fase solistica. La partenza è affidata alla title-track di Neurodeliri (mai suonata dal vivo prima d’ora, a detta di Alberto), dal quale vengono estratte anche le varie We Are F… Italian, Impotence e Minkions. Non mancano nemmeno gli altri cavalli di battaglia del calibro di Ilona The Very Best, The Derby, e nemmeno gli estratti dall’ultimo Unexpected Fate (Aces Of Blasphemy, Bastards, Use Your Brain e Micro V.I.P.); tutti pezzi paragonabili ad una sfilza di pugni nello stomaco interrotti solamente dalle introduzioni di Alberto, e da una piccola “pausa” che vede salire sul palco il cantante/chitarrista dei Death Mechanism per l’esecuzione di Mass Slavery (pezzo tratto dall’ultimo demo della band). Insomma, i Bulldozer non hanno tradito certamente le aspettative, mettendosi un gradino sopra le sempre e comunque ottime esibizioni di Strana Officina e Skanners. Immortali.
Angelo D’Acunto
Pino Scotto
Il buon vecchio Pino ha fornito l’usuale dose di sano “Jack Daniels’ Hard’n’Rock’n’Roll” alternando i soliti proclami a dosi da cavallo di musica proveniente dal cuore e dalle viscere. Buono il compromesso fra i nuovi brani tratti dall’imminente album Buena Suerte e i classiconi di Vanadium (Get Up Shake Up, On Fire, Run Too Fast), Fire Trails (Spaces and Sleeping Stones, Fighter) e i Suoi da solista (Piazza San Rock, Come Noi). Compatta la band, che oltre a Scotto vede Steve Volta alla chitarra, Frank “Kopo” Coppolino al Basso e Marco Di Salvia alla batteria. Probabilmente, complice il fatto che la Pino Scotto Band ha suonato negli ultimi anni davvero in tutti i buchi disponibili d’Italia e detiene già un tour fissato per le prossime settimane, l’audience non è proprio quella alla quale si era usi assistere durante le esibizioni di Skanners e Bulldozer. Evidentemente un ruolo importante lo gioca anche la stanchezza fisica dei presenti, dopo una giornata di siffatta intensità metallica. Molti dei convenuti, infatti, hanno chiuso baracca prima del previsto in quanto va ricordato che il giorno successivo al Festival è pur sempre un lunedì, decretando quindi l’inizio delle incombenze lavorative e/o scolastiche. In ogni caso Pino, da grande rocker di razza qual è, non si è di certo limitato, spremendo fino all’ultima goccia di sudore in corpo per le gante che era lì ad assistere al suo show, purtroppo minato da dei suoni esagerati, davvero troppo alti e fastidiosi per gustare appieno la sua performance. Nonostante gli stravizi, va doverosamente sottolineato che la voce di Pino resiste pressoché intatta allo scorrere del tempo, così come la sua rabbia verso il sistema. Alcune perle? Le bordate su Marco Carta, le perplessità nei confronti dei fan del Depressive Black Metal e la condanna allo yacht di Vasco Rossi. Così è Pino, se vi pare.
Stefano “Steven Rich” Ricetti