Heavy

Live Report: Italian Metal Legends a Bereguardo

Di Stefano Ricetti - 29 Luglio 2012 - 16:00
Live Report: Italian Metal Legends a Bereguardo

L’ultima follia del Metallo tricolore? Potrebbe essere l’Italian Metal Legends. Già, perché l’idea di organizzare un festival di due giorni legato a band storiche dell’HM italiano in concomitanza con altri eventi importanti sempre legati al panorama hard’n’heavy, per di più nella stessa regione, vuol dire rischiare, di grosso. Certo, alla passione non c’è limite e uno come Paolo Scuri, insieme con la propria anima gemella Patrizia, di credo ne ha da vendere, a tonnellate, e tira dritto per la sua strada, inseguendo un sogno, nonostante le difficoltà oggettive e in qualche caso il mancato supporto di entità idealmente in linea con l’evento. Niente di nuovo sul fronte occidentale, quindi, neanche nel 2012.

 

italian metal legends ii

 

 

Location inusuale, per l’happening, a fianco del fiume Ticino, raggiungibile tramite un ponte costruito su delle chiatte, tanto pericolosamente scricchiolante quanto affascinante. Vivibilità assoluta all’interno dell’area Boscaccio di Bereguardo, in provincia di Pavia, immersa nel verde e con tutto al punto giusto sia per quanto riguarda il mangiare che il bere, a dei prezzi assolutamente abbordabili e onesti. Il mondo in mano a certuni metallari sarebbe decisamente migliore di quello con il quale siamo costretti a combattere ogni giorno, basti pensare alla coda ordinata, pacifica e corretta alla quale ci si doveva sottoporre se alla cassa anziché ordinare un panino “normale” si voleva quello caldo con la salsiccia alla griglia, dal momento che un solo addetto – una sorta di “Santo” con i baffi – si doveva “smazzare” tutto: taglio del pane, taglio della salsiccia, asportazione della pellicina, gestione della griglia, confezionamento panino con eventuali accessori (ketchup, maionese, salsa piccante) e consegna finale!

 

Atmosfera rilassata, tipico “scazzo alla tedesca” durante la due giorni e inizio delle danze affidato ai Myland, gruppo di Milano fondato dal batterista Paolo Morbini (ex Exilia) – uno che da lontano, dietro i tamburi, pare la fotocopia del Dan Beehler d’annata – con all’attivo tre album. Show coinvolgente, il loro, grazie alla positiva ruffianaggine del cantante Ruben Sacco, interprete di sicuro livello affiancato da due pistoni pulsanti come Hox Martino (chitarra) e Fabio Andrechen (basso). Insieme con i Cayne della domenica, i Nostri fanno parte dei gruppi fuori contesto, ovviamente se paragonati al resto della comitiva, che affonda saldamente le proprie origini negli anni Ottanta. Poco male, i Myland sanno scacciare qualsiasi dubbio da parte degli astanti grazie a una prova convincente a base di Hard’N’Aor puro, a cavallo fra Journey ed Elektradrive in quanto a feeling espresso, tanto da suscitare applausi anche da parte delle numerose chiome grigie presenti fra le prime file, con molta probabilità giunti all’evento “per gli altri”.    

 

Protagonista assoluto in termini di attesa della prima giornata il combo dei Revenge, gruppo dalle rare date live e da sempre nel cuore dei veri cultori dell’HM italiano. All’interno dell’ensemble di Pesaro, infatti, albergano tre miti dell’epopea degli anni Ottanta come Red Crotalo (chitarra), Kevin Hell Throat (voce) ed Erick Lümen (batteria). La formazione si completa con il bassista Valerio De Angelis, in arte Vallo, e lo special guest Massimo Bozzi, proveniente dai Fab Box. Una band in palla, sin dalle prime note, conferma la ritrovata amalgama in casa Revenge e sciorina tutti i pezzi che la gente si aspetta, a partire dalla mitica Angels in Leather fino ad arrivare all’immensa Home Again, passando attraverso altre cannonate HM del calibro di Don’t Play With The Fire e Hot Zone. Red Crotalo & Co. danno anche qualche assaggio di quelli che saranno i pezzi che finiranno sul nuovo album, che si prevede esca entro la fine del 2012, in linea con  l’opera di evoluzione già attuata all’interno degli inediti presenti su Archives, a oggi la loro ultima fatica, targata 2008.   

 

Se nell’area di Boscaccio di Bereguardo ci fosse stato qualcuno lì per caso che non avesse avuto idea di cosa fosse l’heavy metal bastava che si accomodasse fra la gente che ha assistito al concerto dei Crying Steel. I bolognesi hanno spaccato di brutto, per davvero, fornendo un’ora buona di acciaio Made In Italy con i controcolleoni, da paura. Il cantante Stefano Palmonari è oggi a livelli impressionanti, a pieno agio con l’ingombrante passato marchiato Crying Steel. Stesso discorso per Max Magagni, alla seconda chitarra. Raptor, Kill Them All, No One’s Crying scorrono senza lasciare prigionieri, la nuova Defender e la nuovissima Shut Down confermano che l’appellativo di Judas Priest italiani con il quale venivano inquadrati negli anni Ottanta non era buttato lì a caso. Chiusura affidata all’inno Thundergods, come da copione. Il prossimo capitolo discografico della premiata ditta Franchini, Nipoti e Ferri si prevede che vedrà la luce prima della fine dell’anno, orecchie dritte, quindi!    

 

Headliner per antonomasia in queste occasioni è la Strana Officina, combo da sempre benvoluto anche dai colleghi, cosa che ha dell’incredibile nell’Italia del campanile, conferma che si ha anche fra il verde di Boscaccio di Bereguardo. Tutti i presenti lì ad ammirare le gesta di Enzo Mascolo, Daniele Ancillotti, Dario Cappanera e Rolando Cappanera. Set straclassico, il Loro, all’insegna della storia, ricordando anche il triste e vicinissimo anniversario del 23 luglio 1993, quando Fabio e Roberto ci lasciarono per sempre. Mazzate HM alternate a melodia, come da tradizione “Strana”, e la solita umanità del gigantesco – anche artisticamente – Bud a catalizzare l’headbanging e l’attenzione generale. Graditissimo da parte di tutti il ritorno in prima fila del Marcone Nazionale, autore, al solito, insieme con lo stesso Bud, del siparietto del lancio della T-Shirt sul palco, durante l’esecuzione di Non Sei Normale. Beat The Hammer da Rising To The Call passa l’esame del tempo e regge il confronto con monumenti della portata di Metal Brigade, per il resto via libera alle varie The Ritual e Profumo di Puttana, solo per citarne due. Autostrada dei Sogni in accoppiata con Viaggio in Inghilterra fa calare il sipario sull’ennesimo  concerto della Strana all’altezza dei concerti della Strana.     

La notte di sabato si conclude con una simpatica jam session fra i vari componenti delle band protagoniste della giornata che eseguono brani di Van Halen, Ac/Dc, Led Zeppelin, Deep Purple e altri classici, in onore di Jon Lord, recentemente scomparso.      

 

Domenica 22 luglio 2012

 

Premesso che sono la persona meno indicata a commentare lo show dei Cayne, gruppo avulso al resto del bill della giornata sia per età anagrafica che per genere proposto, riconosco che dal vivo ci sanno fare, tanto che il pubblico non ha, come sarebbe probabilmente accaduto in altri contesti, snobbato lo show dei milanesi o peggio ancora contestato la loro esibizione, ma è rimasto di fronte al palco per capire ed assaporare, per quanto possibile, viste le oggettive inclinazioni diverse in termini di gusti musicali, le indubbie sensazioni positive che i Cayne hanno saputo profondere, fra influenze gothic, tempi spezzati e nuove varie strade della musica dura, violino elettrico incluso. Personalmente avrei sperato nella proposizione, per l’occasione, di un classico adatto all’Italian Metal Legends da parte del gruppo, una cover di quelle da braccio borchiato al cielo in versione Cayne, cosa non avvenuta, ma tant’è. Tanto di cappello comunque per aver avuto il coraggio di suonare sempre e comunque la propria musica anche di fronte a un pit di estrazione incondizionatamente tradizionalista.

Il momento clou della giornata di domenica, quantomeno in termini di attesa e di emozione era rappresentato dal ritorno sulle scene appositamente per l’evento dei R.A.F., dopo più di vent’anni di oblio. Molti dei convenuti erano lì per loro: Marco Signorini, J.L. Battaglion, Mario Riso e Renzo Sgroi. Armati da una dose da cavallo di autoironia i Nostri sciorinano uno show vecchia maniera con il sorriso sulle labbra, sorprendendo un po’ tutti per l’amalgama mostrata. Sfoderando la tanta esperienza passata, nei momenti giusti sono riusciti a mitigare qualche piccolo colpo a vuoto, peraltro sempre fra gli Osanna dei presenti. Godersi di nuovo hit della portata di Not a Number On Your List, Wise Tales, Leading The Riot, Powered By The Madness è pura goduria Hard Rock. Renzo Sgroi pare il dannato al basso di vent’anni fa: piedi nudi, smorfie, pose plastiche e continui saltelli qua e là come ai vecchi tempi. Visibilmente divertiti il dissacrante Marco Signorini e il sempre sorridente J.L. Battaglion mentre Mario Riso permane il batterista tentacolare di sempre. Grande divertimento per i quattro, in primis e altrettanto apprezzata dal pubblico la loro performance, culminata con l’orgasmo metallico Royal Air Force, durante la quale fantasmi del passato riuscivano magicamente a far materializzare di fronte al palco la folla oceanica del Monsters Of Rock dell’88, quando su invito di Signorini si scatenavano boati di rimando da paura da parte del pit: Royal Air Foooorce!

 

Forse non tutti sanno che in Italia abbiamo un Signor cantante che risponde al nome di Giacomo Gigantelli, detto Giga. Ebbene, sulle assi dell’Italian Metal Legends il Nostro ha suggellato il concerto dei Danger Zone con una prestazione impressionante, sia per potenza che per regale impostazione. Uomo della vecchia guardia dotato di ugola d’acciaio, così come l’altro pilastro alla chitarra che risponde al nome di Roberto Priori, senza dimenticare Paolo Palmieri (batteria), Giga ha ricordato il concerto di Cava Manara (Mn) con i suoi Spitfire, quando condivise il palco con i Vanadium di Pino Scotto. Children Of The Revolution è molto più di una cover, la versione dangerzonizzata rappresenta un inno Hard Rock di notevole spessore che, secondo lo scriba, meriterebbe di essere proposto in tutte le posizioni della scaletta ma di sicuro non all’inizio di un concerto, come sono usi fare i bolognesi. Avendo in cantiere il rilascio del nuovo album, i Danger Zone propongono l’inedita Goin’ On, mid tempo pesantissimo che fuga ogni dubbio su eventuali variazioni inaspettate. Nel setlist, ovviamente, non mancano classiconi come Fingers, Let Me Rock, The Hunger e Line Of Fire. A sorpresa i Nostri eseguono Fire Fire degli Ezo e l’accoppiata Love Still Finds The Way (So far Away)/Social Climber  direttamente da vecchi demo tape. Il concerto dei Danger Zone all’Italian Metal Legends verrà ricordato negli annali per la potenza alle casse devastante e la perizia di esecuzione dei cinque sul palco. Oltre ai tre di cui sopra impossibile non menzionare anche Roberto Galli al basso e Antonio Capolupo alla seconda chitarra. 

 

 
A chiudere il festival Pino Scotto e la sua band, formata da ottimi musicisti quali Marco Di Salvia alla batteria, Steve Volta alla chitarra e un ulteriore funambolo al basso. Nell’immaginario collettivo dell’Italian Metal Legends sarebbe stato un miracolo rivedere sul palco i Vanadium ma, si sa, i sogni poi finiscono e si torna alla realtà delle cose. Realtà che però regala da parte di Pino&Co. due mazzate anni Ottanta del livello di Get Up Shake Up e On Fire che riscuotono, al solito, i favori dei numerosi convenuti legati alla tradizione hard’N’heavy tricolore. Pino, armato di bottiglia di Jack Daniel’s nella mano sinistra e di microfono sulla destra, spara a zero dove deve sparare, al solito, ma nello stesso tempo non perde un colpo dal punto di vista vocale. Certo, pezzi tipo Come Noi, Signora del Voodoo e Meno Male che Adesso non c’è Nerone molto probabilmente non entreranno mai nel cuore dei metaller più ortodossi, viceversa perle come Piazza San Rock e Il Grido Disperato di Mille Band non lasciano di certo indifferenti, anche per la carica che il buon vecchio Giuseppe Scotto di Carlo sa trasmettere direttamente dal cuore. Finale fra Long Live Rock’N’Roll e Rock And Roll (intesa come la canzone dei Led Zeppelin) con tutto il pubblico a braccia levate. Sudore, Jack Daniel’s, Lucky Strike e sangue, questo il Pino Scotto 2012, ieri come ora e sempre. Un uomo che non si nasconde. 

 

Si chiude così l’edizione dell’Italian Metal Legends, festival ottimamente riuscito in virtù di suoni mediamente ben bilanciati, una location particolare dimostratasi all’altezza dell’evento e, last but not least, zanzare e tempo atmosferico clementi. Evidentemente gli dei del Metallo Italiano hanno spiato giù e intercesso nelle zone limitrofe le sponde del Ticino. A livello personale l’IML resterà per sempre un ricordo bellissimo, immortalato dagli occhi umidi di un commosso Paolo Scuri nei dintorni del cancello dell’uscita,  domenica notte verso l’1 e 30, a siglare la fine di due giornate di diritto già nella storia del rock italiano.

 

 

Testo e foto di Stefano “Steven Rich” Ricetti