Live Report: Judas Priest al Budokan di Tokyo (17/2/2012)

Di Stefano Ricetti - 20 Maggio 2012 - 0:10
Live Report: Judas Priest al Budokan di Tokyo (17/2/2012)

Riceviamo e MOLTO volentieri pubblichiamo quanto confezionato dal sempre gradito Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli, indimenticato protagonista della prima ora di Truemetal. 

Steven Rich

 

 

Judas Priest

Nippon Budokan, Tokyo,  17.02.12

 


Overture

Due parole di introduzione : sono quasi 10 anni che ho smesso di scrivere per TrueMetal.it. Ringrazio Roberto “Keledan” Buonanno per avermi dato l’opportunita’ di omaggiare il mio gruppo preferito in occasione di evento cosi’ speciale e i colleghi della redazione.

Ogni paragrafo di questo report ha un titolo che tributa parallelamente quella che per il sottoscritto la piu’ grande Heavy Metal band che il Giappone ci abbia mai regalato. L’ho trovata una felice combinazione per elevare il tono di devozione in questa occasione. Se non li conoscete, scovateli e sfondateci cuffie, casse, timpani, muri o quel che vi ritrovate attorno!

 

Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli
 

 

Rock in the Kingdom

L’attesa dell’annuncio delle date del tour giapponese dei Judas Priest fu particolarmente lunga. In parte i ritardi furono dovuti al tragico Tsunami e crisi nucleare della primavera 2011 che oscuro’ l’imminente calendario delle date a pochi giorni dalla pubblicazione ufficiale. A maggior ragione, l’attesissima calata nelle isole della “Radice del Sole” fu accolta con grandissima gioia e soddisfazione dai fans dei JP in tutto il mondo.

Verso meta’ del freddo Febbraio 2012…il Sacerdote di Giuda ritorna su suolo nipponico ed e’ l’inizio di una Nuova Era! Ecco qui che i cinque Samurai del Metallo una volta sbarcati nella ridente Fukuoka, instaurano uno shogunato di acciaio e fiamme, concerto dopo concerto, conquistando successi attraverso le regioni di Kyushu, Kantō, Honshū, Chūbu e di nuovo Kantō con una doppia data nella Capitale Orientale, Tokyo, fatto unico nell’intero Epitaph World Tour; infatti solo il Giappone puo’ vantare la bellezza di 7 shows nazionali con il duplice appuntamento nella stessa citta’ ad addirittura 24 ore di differenza soltanto. Ci sarebbe stata pure una data del 18 Febbraio, ma non e’ mai stata ufficializzata dal management della band anche se localmente se ne parlava con insistenza.

Da sempre i Giapponesi sono stati tra i fans piu’ fedeli nei confronti di Rob & Co., tanto da aggiudicarsi anche il titolo di unico paese con ben due registrazioni di live albums dei Metal Gods. In ogni data, legioni di fans nero-chiodati si aggiravano tra le tranquille strade, facendo il pieno nelle varie concert venues. Il World Epitaph Tour si e’ confermato come l’ennesimo successo commerciale e musicale che tutti si sarebbero aspettati, segno anche della grandissima forza e resistenza della ripresa nazionale.

All’apice del ritrovato Impero del Metallo, a due passi dal Palazzo Imperiale di Tokyo, in una fredda notte di Febbraio, ecco che ci ritroviamo davanti alla celebre arena Nippon Budokan (immortalato in tantissimi live albums di bands famosissime, oltre che ritratto spesso nella serie “L’ Uomo Tigre – Il Campione”/ ndLK) ad accogliere, celebrare e salutare coloro che hanno reso grande la storia e l’immagine del movimento heavy metal nel mondo da ormai quarant’anni.

Giusto per dare un’idea: le vendite dei biglietti per la data del Budokan sono partite la mattina del 21 Gennaio 2012, acquistabili in comunissimi supermercati aperti 24 ore o centri specializzati. Per una serie di sfighe, sono riuscito ad accaparrarmi il biglietto verso le 23h10 dello stesso giorno e ho potuto trovare posto solo sugli spalti opposti al palco dato che il piano terra era gia’ sold-out in meno di 24 ore.  Per la cronaca, i biglietti di bands come Dream Theater, Amon Amarth e gente di questo livello si assestano piu’ o meno sui 60 euro: 92 euro per i Judas Priest, il che spiega tante cose.

 

Never Ending Darkness

A due passi dalla stazione della metro Kudanshita, bande di Judas Priest fans avanzano infreddoliti verso il mitico Budokan. Tra bagarini dell’ultim’ora, primi fiocchi di neve, ragazzine che cercano biglietti scontati, gente affamata che assalta quelle due sole aree di ristoro, bancarelle di merchandising taroccatissimo, chi ha fretta di arrivare al concerto si fa strada spedito e, superate i due imponentissimi portoni di ingresso del Nippon Budokan, ci ritroviamo 4 file e poca scelta. La prima e’ quella verso le tende dove si trova il merchandising ufficiali (per  dare un’idea: quasi 75 euro per la tshirt ufficiale del tour, 25 per il tour book e poco altro), le altre 3 sono per le aree gia’ assegnate sui biglietti, tipico del profondo senso di organizzazione squisitamenre Giapponese.

Puntuali come al solito, scoccano le 18h00 ed il servizio di sicurezza apre i cancelli. In fila ognuno prende i posti. Piano piano accorrono fans di ogni tipo di estrazione: i bikers, i simpatizzanti dell’ultim’ora, gli alternativi, gente che sembra uscita dalle copertine dei Metal Lucifer, io con la felpa dei Cirith Ungol, fans sfegatati accorsi in giacca e cravatta appena usciti dagli uffici, delle signore che a mala pena sono riuscite a fare tutte le scale, Giapponesi e Gaijin: tutti accomunati dalla voglia sfrenata di vedere per l’ultima volta in pompa magna i mitici Judas Priest!
Durante l’ora di attesa, partono a raffica alcuni pezzi storici degli AC/DC… una “Highway to Hell” dopo l’altra, il Budokan si riempie sempre piu’. Verso le 18h55 quasi l’intera arena e’ gremita da fans che siedono tutti ordinati in attesa dell’arrivo dei Monsters of Rock di Birmingham.

3/4 dell’Arena sono occupati, mentre la sezione mancante e’ presa dal palco e le zone laterali. E’ vero che alcuni posti sono liberi (anche diretti davanti al palco, e logicamente lasciati vuoti dai rispettosi spettatori Nipponici) ma ormai e’ troppo tardi: le luci si abbassano d’improvviso, tutto e’ nero pece ed il grande orologio digitale sulla destra segna le 18:59 in rosso. Non ci saranno opening acts…pochi secondi ancora e le tenebre glaciali della notte di Tokyo verranno accecate dal bagliore della metallo piu’ puro dell’universo…Metal Metaldown in comin’ to get ya!
 

Heavy Metal is Dead

Parte inaspettatamente la registrazione di “War Pigs”! Boato generale…chissa’ che succedera’! L’insperato connubbio tra Black Sabbath e Judas Priest ha avuto luogo due volte in passato…una grande sorpresa per la serata? Assolutamente no, in questo tour Nipponico, almeno, i Priest hanno scelto di iniziare proprio cosi’ ogni show (per cameratismo o tributo ai loro concittadini, o forse entrambi) e poi ancora partono le evocative note di Battle Hymn, che anche questa fa sperare inultimente in una riproposizione di “One Shot at Glory” come opener. Tutti, e dico proprio tutti, scattano in piedi e si leva in area il tradizionale “Priest! Priest!”. Contrariamente alle aspettative, tocca alla classicissima “Rapid Fire” di «abbattare il Budokan come un ariete da sfondamento». Pochi riff ed il telone nero cala rivelando i cinque in assetto di assalto pesante; appena l’icona Rob “Metal God” Halford ruggisce i primi versi, un boato spaventoso frantuma la pace della piu’ grande megalopoli al mondo. Tutto placcato di metallo, occhiali da sole ed ormai consueto sguardo sul pavimento, il maestro di tutti i metal screamers inizia a dettare legge e non ce ne e’ per nessuno. La canzone va che e’ una meraviglia e tutto il pubblico segue urlando in blocco il coro e applaudendo ritmicamente (gesto culturale gia’ noto grazie ai vari live bootlegs made in Japan).

Spiace comunque constatare che lo stage set sia ridotto proprio al minimo: toni cremisi e neri in evidenza, pareti ricoperte di catene ed uno schermo che alterna copertine di albums da cui e’ tratta la canzone di turno o animazioni frattali oggetivamente scarse (veramente un punto negativisissimo ed imbarazzante per un’occasione cosi’ speciale). Stesso discorso vale per la staticita’ di un po’ tutti i membri, ma questo punto merita un’elaborazione a parte piu’ avanti.

In tutti modi, si capisce che sara’ una serata all’insegna del British Steel piu’ puro in tutti i sensi quanto parte il capolavoro sci-fi “Metal Gods”. Ormai si respira aria di casa, e’ tutta una festa ed il pubblico contrappone un muro di applausi alla colata magmatica di note, luci e mitologia metallica che gronda dal palco.

Senza sosta si continua con la rockeggiante “Heading Out the Highway” dove l’atmosfera elettrica ed lo scambio tra band e pubblico continua sempre piu. Il pubblico Giapponese, soprattuto preso cosi’ a freddo senza gruppo di apertura (la butto li’: senza scomodare Marty Friedman che abita da quelle parti appunti, Takamiy mica avrebbe sfigurato per una mezzoretta cazzo!), inizialmente era molto algido…ma canzone dopo canzone, sia loro che Rob hanno ingrato sempre una marcia in piu’. Arrivati a questo punto, calano le tenebre di nuovo…non si vede piu’ niente…non si sente piu’ niente…il pubblico e’ paralizzato…e’ arrivato Devil Man? Peggio! Partono le note infernali di “Judas Rising”, gli Axe-Men rifanno l’ingresso sul palco, Scott Travis inizia a martellare quella povera batteria ed il riff iniziale fa deflagrare una bomba sonora tra il pubblico che accoglie Rob Halford, sempre quasi defilato, che scandisce con precisione i sacri versetti che celebrarono il ritorno del combo storico (dopo che l’Arcangelo dell’Acciaio scese sul mondo ad annunciarlo nel Luglio 2003).

Il concerto continua in un crescendo di emozioni e maggiore coinvolgimento sempre piu’ dei musicisti e del pubblico. Da notare un Rob Halford sempre piu’ protagonista in “Victim of Changes”, “Diamonds & Rust”, grande ammaliatore in “Turbo Lover”, assoluto dominatore in una “Beyond the Realms of Death” emozionantissima e “Blood Red Skies” con un finale killer.

Tuttavia e’ ora di aggiungere una piccola considerazione: tutto sommato l’operato vocale del nostro Metal God e’ stato piu’ che buono. Il leggendario screaming  dal vivo non si vede da un pezzo per una serie di ragioni (problemi alla laringe, memoria, l’eta’ che avanza, ecc…) e ci sta, sebbene la Leggenda abbia raggiunto note acutissime in “Beyond the Realms of Death” e “Blood Red Skies”. Quel che mi ha lasciato interedetto e’ stata la sua limitatissima presenza sul palco. Tanto che, durante lo stesso brano, quando non cantava, Rob si dirigeva fuori a sinistra dal palco dove aveva uno stand coperto tutto per sé (per riposarsi? Perche’ era incazzato a morte col resto del gruppo? Perche’ era stanchissimo da un tour cosi’ intenso?). Nulla di male in questo, immagino le esigenze…ma bho, le esperienze precedenti erano molto diverse e un po’ mi dispiace per lui, non tanto per lo show. Esempio migliore non c’e’: dopo il gran finale Rob si dirige nel backstage aiutato dal bastone a destra e da un tecnico che lo sorregge da un lato. L’ho visto chiaramente dalla mia posizione lontanissima dallo stage, ma abbastanza rialzata per notare tutto cio’ che accadeva attorno.

Per il resto, solita scena della reunion live: Scott Travis che suonerebbe i pezzi ad occhi chiusi (unica eccezione dove puo’ esprimersi come vorrebbe e’ il solo addizionale all’attacco di Painkiller), Ian Hill inossidabile, Glenn Tipton che continua ad essere il piu’ splendente di tutti….e la nuova aggiunta di Richie non fa altro che energizzare il tutto, conferendogli quel tono di novita’ e freschezza che altrimenti manca tantissimo nell’ensemble. Ritchie e’ il piu’ attivo sul palco e ne diventa assoluto protagonista nell’assolo di “ You’ve Got Another Thing Comin’”.

Rob si presenta sul palco tutto sacerdotizzato per interpretare “Prophecy”, ritorna borchiato ed inspiratissimo per “Night Crawler”, il finale di “The Sentinel” e’ un po’ troppo piatto ma non c’e’ tanta critica da fare:  ragazzi ci danno giu’ a martellate come se non ci fosse mai piu’ una nuova alba! Prima di attaccare con Painkiller, Scott si alza in piedi (figurarsi, dalla pedata, sul palco, con la sua altezza, sembrava enorme pure dagli spalti!) e ringrazia di cuore i fans Giapponesi essendo sempre stati tra i piu’ fedeli ed entusiasti. Finita l’apocalisse di ferro ribollente e devastazione del male sotto ruote letali, i Painkillers si inchinano davanti al loro pubblico e ringraziano i fans per la serata. Tipton e’ il piu’ commosso, scende sotto il palco e saluta stringendo la mani della prima e seconda fila da destra fino a meta’. I rodies gli devono passare due volte ulteriori plettri, perche’ Glenn non ne ha mai abbastanza. Scott lancia diverse bacchette a destra, sinistra, centro…mancava che le tirava verso gli spalti! Ian, Ritchie e Rob sono ugualmente emozionati e riverenti, ma meno attivi. Rimane comunque una bellissima immagine ed un grande esampio di cosa sia il rapporto tra fans e gruppo. Sembra comunque che il concerto sia finito…calano le tenebre…e’ forse la fine di tutto?

Heavy Metal is dead! Heavy Metal forever!
 

 

 


Fire after Fire

A quasi due ore dall’inzio dello show, la band si esibisce in diversi encores senza neanche farsi troppo pregare. Si inizia alla grandissima con Hell Bent for Leather, dove Rob Halford si presenta sul palco con la mitica Harley Davidson. Momento particolarmente emozionante e’ quando il Metal God stende a dove la bandiera nazionale Giapponese lungo la carrozzeria  della moto e la tiene li’ per tutta la parte finale del concerto. A questo punto lo show e’ ai massimi livelli: la fredda arena si e’ trasformata in una Cattedrale di Metallo che sparge fiamme e fede nella sua essenza piu’ incorruttibile all’interno del suo sacro perimetro. Quasi diecimila pugni si alzano in aria ed evocano il nome del gruppo in pelle piu’ borchiato del mondo…momento di fusione demoniaca alla Go-Nagai pienamente in atto! Gli ideali, i sogni, le icone, la passione, gli inni e l’identita’ della cosmogonia di questa band stradordinaria prendono forma e colori tra laser lights, sorrisi dal palco, pianti ra gli spalti ed un’impressionante constanza nell’esecuzione cio’ che tutti si aspettano: Classic Heavy Metal nella sua versione piu’ allucinante!


This World is Hell

Ecco la set-list di questo viaggio al centro della fucina vulcanica orchestrata dai cinque fabbri made in Birmingham.
War Pigs* (Black Sabbath)
Battle Hymn*
Rapid Fire
Metal Gods
Heading Out to the Highway
Judas Rising
Starbreaker
Victim of Changes
Never satisfied
Diamonds & Rust
Dawn of Creation*
Prophecy
Night Crawler
Turbo Lover
Beyond the Realms of Death
The Sentinel
Blood Red Skies
The Green Manalishi (With the Two Pronged Crown)
Breaking the Law
Scott Travis’s drums solo
Painkiller

Encore
The Hellion*/ Electric Eye
Hell Bent for Leather
You’ve got another thing comin’
Living after Midnight
We Are the Champions* (Queen)

I brani contrassegnati dall’asterisco (*) erano riprodotti da registrazioni e non suonati dal vivo.


Gloria Gloria

Alla fine del secondo encore, la band saluta, Rob e’ il primo a lasciare il palco, Glenn e Scott sono i piu’ vicini al pubblico e si emozionano come la maggior parte di noi. Volano plettri e bacchette griffati Judas Priest forse per l’ultima volta al Budokan. Mentre la band esce parte “We are the champions” dei Queen (giusto perche’ sono modesti, senno’ ci stava tutta “Defenders of the Faith”!!). Tanti saluti e l’incantesimo si spezza: il misticismo di questa notte stellare viene arso da bianchissime luci che sanciscono la conclusione del concerto, un’overdose di quasi 3 ore di Judas Priest heavy metal dal vivo! HELL YEAH!


Tatakau Nihonjin

Ordinatissimamente, senza lasciare una carta che sia una per terra, migliaia di fans escono senza difficolta’ dalla mitica arena per disperdersi nella cupa e gelida notte. Alcune centinaia ritornano a far la fila nel merchanding stand ufficiale (ho controllato, niente roba nuova…stessi articoli di prima). Altri rimangono a chiacchierare. All’uscita solo un tipo vende kebab con modesto successo ed in gruppi di varie dimensioni, milizie di fedeli al metallo tutto d’un pezzo, si disperdono vicino alle fermata della metro per sigillare l’ultimo atto di questa cerimonia suprema di Katane e Hamer…una bella cena post concerto!! Tra le centinaia di ristorantini compattati l’uno dentro o sotto l’altro tra le vie notturne di Tokyo, sbanca alla grande la promozione “Judas Priest concert!” con menu fisso per i partecipanti all’adunata del Budokan!!! CHE GRANDI!! Ovviamente i primi appostamenti sono tutti pieni e c’e’ la coda all’esterno..ristorante che vai, menu che trovi…dopo quasi un kilometro mi ritrovo a festeggiare la serata in una piccolissima noodle-house convertita per l’occasione in un tempio di heavy metal supremacy, con avventori di tutti i giorni che mostrano grande simpatia per il concerto anche se non sanno chi sia Rob Halford. L’ultima metro a mezzanotte mi riporta a Roppongi Hills, dove nevica senza pieta’ alcuna…ma neanche Crystal il Cigno puo’ spegnere l’Heavy Metal Fire di stormwarriorrana memoria che brucia sotto il chiodo!

La citta’ e’ piu’ sonnecchiosa adesso, sebbene ci sia sempre qualcosa che gira e mille neon che brillano…ma stanotte i Judas Priest hanno esploso una bomba di luci, emozioni e potenza che azzera anche la sconcertante visione di questa citta’ ai limiti del possibile.   
 
Concludo ringraziando e dedicando questo live report ai miei amici e colleghi che resero quest’esperienza personale/culturale cosi’ speciale (e ancor piu’ a colei che ancora continua a farlo, 私は、あなたが私の記事を言っていますね!!), oltre che a tutti coloro che in passato ho conosciuto ai concerti, su internet, tramite posta e sopratutto scambiando dischi ed idee all’insegna della ribellione musicale piu’ sincera ed intransigente.

Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli