Live report: Nile, Grave, Belphegor – Dublino, 23 settembre 2008

Di Alberto Fittarelli - 20 Ottobre 2008 - 18:51
Live report: Nile, Grave, Belphegor – Dublino, 23 settembre 2008

23 settembre, una data decisamente strana per un concerto death metal: anche a Dublino, infatti, non è comune vedere gruppi di un certo clibro suonare il martedì sera. Ci si potrebbe aspettare un’affluenza ridotta, e invece no: il pubblico risponde alla grande e stipa all’inverosimile il non gigantesco Whelans.

– LA LOCATION:


Il Whelans è infatti sostanzialmente un pub, il pub storico del rock dublinese: ci hanno suonato in tanti, tantissimi nel corso degli anni, anche nomi che vedere oggi in un pub suonerebbe assurdo (Nick Cave?). Proprio perché è un pub, però, seppure con una sala concerti, non è il luogo migliore per seguire concerti in modo tranquillo: l’audience irlandese è nota per essere una delle più esagitate del Nord Europa, al contrario dell’aplomb britannico, e il ridottissimo spazio offre pochissime occasioni, per gli scribacchini, di poter realizzare fotografie decenti (motivo per cui vedrete allegate delle foto non esattamente professionali). Detto questo, il divertimento è assicurato.

– I GRUPPI:

Belphegor

Al contrario di quanto annunciato dai manifesti del tour, non sono gli Omnium Gatherum, autori di almeno un paio di album davvero notevoli in ambito death melodico, ad aprire la serata, ma l’austriaca compagine dedita al metal più oscuro e viscerale in circolazione attualmente: i Belphegor, in tour di supporto a quella bomba sonora di Bondage Goat Zombie, che – cosa insolita per un bill con 3 gruppi – infiammano il pubblico sin dalle prime note. Al grido di “Hail Chaos, Hail Satan, Hail Belphegor!” partono con la title-track del disco, e l’atmosfera è subito chiara. I loro pezzi, a cavallo tra il death e il black metal, con aperture melodiche che soprattutto dal vivo colgono nel segno, sono la perfetta fusione degli elementi live necessari per un gruppo che si dica “estremo”: la line-up attuale è affiatatissima, con una grande presenza scenica di tutti i membri e un session alla batteria, il famigerato Lille Gruber (!) dei Defeated Sanity, che rende alla perfezione tecnica e ferocia necessarie per la musica del combo. I pezzi sono tratti soprattutto dagli ultimi dischi, e tra le vette vanno menzionate sicuramente Lucifer Incestus (dal disco omonimo), Belphegor – Hell’s Ambassador, da Pestapokalypse VI, e soprattutto la nuova, splendida Stigma Diabolicum. I Belphegor sono uno dei gruppi più “autentici” e criminalmente sottovalutati di una scena congestionata, e dimostrano dal vivo la differenza tra chi esiste solo grazie alla tecnologia e alla comunicazione odierne, e chi invece sa fare davvero musica di qualità, e riproporla dal vivo aumentandone l’effetto. È ora di supportarli in termine di vendite, per vederli finalmente headliners.


Grave

I Grave sono un altro dei simboli della costanza di certo metal: quelli che vengono apprezzati per essere rimasti, nel bene e nel male, fedeli a se stessi costantemente nel corso degli anni. E nel loro caso, (quasi) come in quello dei Dismember, la scelta ha premiato: tra alti e bassi del passato, oggi gli svedesi sono reduci da un paio di album decisamente riusciti, con picchi di oscurità, sull’ultimo Dominion VIII, che il death metal svedese non raggiungeva dai suoi esordi. Così come in studio, anche dal vivo il gruppo ha esperienza da vendere: nonostante formazioni ripetutamente rimaneggiate negli anni, l’ensemble di Ola Lindgren mantiene quell’atmosfera, quel vibe che dal vivo piace, coinvolge e strega esattamente come 15 anni fa. Ne sono dimostrazione brani pescati da tutta la loro carriera: il sound è omogeneo, ma la gente si fa coinvolgere come se si trovasse di fronte a degli headliner, per quanto la performance dei Belphegor rimanga difficile da superare… I brani di As rapture comes e Dominion VIII fanno muovere il pit (se così possiamo chiamarlo…), ma è con la partenza di Into the Grave che il vero e proprio macello si scatena. Autentici highlanders del metal estremo, anche una volta saliti su di un palco.

Nile

Quando viene il turno dei Nile, il locale ormai scoppia di gente: difficile anche solo mantenere la stessa posizione per più di due minuti o respirare liberamente, ma siamo a un concerto death metal, non alla prima della Scala: va bene così. Il gruppo USA si presenta sul palco nella formazione a quattro, con il bassista dei Lecherous Nocturne come session, ormai consolidata da tempo: con 3 cantanti nel gruppo (anche il suddetto bassista partecipa) il posto di frontman spetta ormai a Dallas “Telespalla” Toler-Wade, carismatico quanto sarcastico (addirittura acido, in certi momenti) negli scambi col pubblico. Torneremo dopo su qualche episodio in particolare.

Ci si chiede come possa funzionare, dal vivo, un gruppo che su disco basa metà del suo effetto su atmosfere egizie, leggendarie e vagheggiate: beh, funziona benissimo. Grazie al sapiente uso della tecnologia, infatti, i Nile riescono a riprodurre fedelmente i passaggi atmosferici della loro musica, e per il resto è la loro tecnica ed esperienza a fare tutto. Un esempio? Basta sentire l’attacco dell’arcinota Sarcophagus, con le voci di Toler-Wade e Karl Sanders ad alternarsi, e il drumming di George Kollias a reggere il tutto, e vi siete rifatti del costo del biglietto. Il gruppo è evidentemente in pienissima forma, aiutato anche da suoni perfetti nonostante la location, e snocciola pezzi da tutti gli album, compresa una Black Seeds of Vengeance da brividi; ovviamente la parte del leone la fanno i brani dell’ultimo Ithyphallic, forse il punto più genuinamente “live” del gruppo insieme al precedente Annihilation of the Wicked. Divertente il siparietto dell’annuncio di Papyrus Containing The Spell To Preserve Its Possessor Against Attacks From He Who Is In The Water, titolo annunciato per intero da Dallas e brano che lascia come sempre esterrefatti per la tecnica sciorinata con disinvoltura; e interessante come sempre la versione di Barra Edinazzu, acclamatissima dal pubblico.

Inutile dire che l’avviso che vedete ritratto nella prima foto di questo report viene subito disatteso dalla folla, con buona pace della sicurezza, che dopo i primi tentativi di afferrare i responsabili decide di lasciar perdere, contenendo semplicemente il loro arrivo al palco. Lasciano un po’ perplessi, se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, alcuni comportamenti del gruppo; infastiditi da una telecamera nella galleria di fronte al palco, chiedono con una certa veemenza di toglierla di mezzo; e dopo aver ripetutamente incitato l’ “orgoglio irlandese” si inalberano quando un paio di pinte di birra, dalla bolgia sotto allo stage, finiscono sui piatti della batteria di Kollias. È chiaro che si tratta semplicemente di delirio da concerto, ma Dallas chiede al responsabile di farsi vedere se ha coraggio…

Episodi che si perdono comunque in una performance fenomenale, anche se per loro ormai standard: e la chiusura con Unas Slayer Of The Gods rischia seriamente di provocare il collasso del Whelans.

Nessuna scoperta, a conti fatti: tre nomi conosciuti, anzi, rinomati si sono dati appuntamento per sommare il loro impatto, e ci sono riusciti benissimo. Forse la relativa rarità di concerti estremi nella piccola Dublino (un paio al mese, in media) è un bene, se riesce a filtrare tanta inutilità e a far passare solo i gruppi che meritano davvero… E sfido chiunque a negare che, quella sera, non sia valso la pena di essere presenti.

Alberto Fittarelli