Live Report: Paradise Lost a Milano e Roma
Live Report Paradise Lost
08/10/2012 @ Alcatraz – Milano
Report a cura di Luca Cardani
Foto a cura di Michele Aldeghi
L’Alcatraz di Milano ha il piacere di ospitare la prima delle due tappe italiane del nuovo tour dei Paradise Lost, pronti a far riecheggiare nelle orecchie del pubblico i brani migliori del loro repertorio, oltre a quelli estratti dalla loro ultima fatica “Tragic Idol”. Ad accompagnarli per l’occasione, un gruppo che si è rivelato una piacevolissima scoperta della serata, i Soen.
Soen
Martin Lopez (ex Opeth) alla batteria, Steve Di Giorgio (ex Testament, Death) al basso, Joel Ekelof (Willowtree) alla voce e Kim Platbarzdis alla chitarra, sono i componenti di questo “supergruppo”. Lentamente fanno la loro comparsa sul palco, un rapido saluto al pubblico, che finalmente incomincia a ingrossare le sue fila, ed è tempo di lasciare spazio alla musica con le note di “Fraccions”. Già da questo primo brano la forte impronta progressive, imposta dal duo più blasonato, si mischia alle atmosfere dark, retaggio della voce calda e malinconica del cantante. Curiosa la prestazione proprio di Ekelof che, pur rimanendo fermo per quasi tutta la durata dell’esibizione, dà, con la sua gestualità, la sua particolare e sofferta interpretazione dei testi. Il pubblico, dopo un momento iniziale di disorientamento, inizia ad apprezzare la proposta musicale offerta, anche se le affinità con i Tool, pur con alcuni distinguo, sono molto difficili da ignorare.
La statiticità del cantante, la concentrazione assoluta del bassista, che per tutta l’esibizione non ha mai alzato la testa dal suo basso, e l’ovvia impossibilità di muovesi del batterista, lasciano libero sfogo al chitarrista. Platbarzdis, quindi, oltre ad alternare riff taglienti e spunti melodici, si propone come vero frontman dei Soen, incitando il pubblico in tutti i modi possibili. Rendendosi anche protagonista, suo malgrado, di uno sfortunato evento dovuto alla rottura di una corda della chitarra durante l’esecuzione di “Oscillation”. Incidente vissuto con estrema professionalità dagli altri componenti, che hanno continuato lo show come se non fosse successo nulla, aspettando il suo ritorno per la conclusione del brano. Seppur penalizzati da un suono non eccellente, i Soen si sono lasciati dietro, al termine di questa serata, una prova convincente, trasformando l’iniziale perplessità del pubblico in una cascata di applausi d’approvazione. Complimenti!
1) Fraccions
2) Delenda
3) Oscillation
4) Canvas
5) Last Light
7) Slitherting
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Paradise Lost
Il tempo di smontare la batteria dei Soen, cambiare la scenografia (costituita da un telo gigante raffigurante la copertina di “Tragic Idol” e due pannelli poggiati sul palco che riconducono ai disegni della medesima), ed è il tempo di headliner. Accompagnati dall’intro “Desolate”, i Paradise Lost prendono le loro rispettive posizioni sul palco e, con la successiva “Widow”, scaldano il pubblico, che non smette per un attimo di saltare e scapocciare per l’intero brano. Divertente l’effetto anni ‘80 prodotto dalla macchina del vento, sulla lunga e fluente capigliatura di un Greg Mackintosh. Un professionista assoluto che, per tutto il concerto, non ha sbagliato un colpo, assoli precisi e puliti come da manuale, insomma una macchina perfetta. La voce bassa e pulita di Nick Holmes snocciola uno dietro l’altro i pezzi della setlist, fermandosi solo un paio di volte per scambiare qualche battuta col pubblico in puro “english style”. Nonché per sorseggiare una birra in bottiglia che, a giudicare dalla sua espressione, non reputa particolarmente soddisfacente. Si passa, così, velocemente dall’elettronica “Erased”, con tanto di voce femminile registrata, a “Enchantment”, unico brano estratto dal quel gran capolavoro che rimane “Draconian Times”, pezzo che fa letteralmente esplodere il locale e cantare i presenti al massimo delle proprie possibilità. “Soul Courageous”, “In This We Dwell”, “Pity the Sadness”, l’immancabile “As I Die” (cantata troppo pulita e con poca grinta), vengono sparate a raffica su un pubblico mai sazio e coinvolto al massimo dallo spettacolo. “The Enemy”, chiude la prima parte del concerto, ma bastano pochi cori per rivedere sul palco il combo inglese che, con “Embers Fire” cantata in maniera eccellente da un Holmes forse più riposato, riaccende una fiamma che nel locale non si è mai spenta. “Faith Divide Us – Death Unite Us”, che divide il pubblico tra perplessi e soddisfatti, e “Say Just Words”, segnano la fine dell’esibizione dei Paradise Lost.
Seppur il concerto sia durato un’ora e venti minuti, la scaletta proposta dai nostri è di sicuro equilibrata: si spazia dal doom dei primi album, alla deriva elettronica più recente, fino a solo quattro brani proposti dall’ultimo lavoro. Forse la presenza di una tastiera in sessione live gioverebbe non poco alla scena, invece di vedere Holmes regolare i volumi degli effetti elettronici, unica minima pecca della serata. A parte questo bisogna sottolineare come i Paradise Lost abbiano regalato ai duecento presenti uno spettacolo privo di insoddisfazioni, cosa non di poco conto ai giorni nostri.
1) Desolate
2) Widow
3) Honesty In Death
4) Erased
5) Enchantment
6) Soul Courageous
7) In This We Dwell
8) Praise Lamented Shade
9) Pity The Sadness
10) As I Die
11) One Second
12) Tragic Idol
13) The Enemy
Encore:
14) Embers Fire
15) Fear Of The Impeding Hell
16) Faith Divide Us- Death Unite Us
17) Say Just Words
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Report Paradise Lost + Soen
09/10/12 @ Orion – Roma
Report a cura di Damiano Fiamin
Foto a cura di Francesco Sorricaro
Seconda data italiana per gli araldi del gothic metal britannico. I Paradise Lost tornano nella Capitale o, almeno, nei suoi pressi. La location prescelta per l’esibizione è, infatti, l’Orion di Ciampino, locale che, da qualche tempo, catalizza la quasi totalità dei concerti “di peso” a Roma.
Soen
Ad aprire la serata, in perfetto orario, ci pensato gli statunitensi Soen. Nonostante la band abbia un solo disco all’attivo, non è certo composta da sprovveduti alle prime armi. La mente dietro al progetto, infatti, è quella dell’ex batterista degli Opeth, Martin Lopez; per gli appassionati, una garanzia. Per gli altri, la certezza, almeno, di non avere davanti l’ultimo arrivato sulla scena.
La platea non è certo gremita, non scordiamoci che è martedì, ma il centinaio di persone che si accalca davanti al palco è piuttosto coinvolto e accompagna i musicisti per tutta la durata dello spettacolo. I brani proposti dalla band sono interessanti, sebbene qualche problema di acustica funesti saltuariamente l’esecuzione dei pezzi: attingendo a piene mani da gruppi come Tool o, per l’appunto, Opeth, Lopez e soci riescono a tirare fuori una mezzora abbondante di buona musica. Peccato per la presenza scenica del gruppo o, sarebbe meglio dire, la completa mancanza della stessa. Il quintetto si muove a malapena sul posto e dialoga con il pubblico lo stretto necessario per instaurare un rapporto. In ogni caso, un’esibizione più che discreta.
La band che potrebbe avere buone carte da giocare in futuro; teniamoli d’occhio.
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Paradise Lost
Dopo essersi scaldato con le armonie dei Soen, il pubblico è pronto ad accogliere come si deve il piatto forte della serata. Direttamente dal Regno Unito, con vent’anni di carriera alle spalle, fanno la loro comparsa sul palco i Paradise Lost. La produzione musicale della band è stata decisamente variegata durante il corso della loro esistenza e ha riscosso alterne fortune tra i fan. La scaletta, coraggiosamente, ripercorre le diverse incarnazioni del gruppo, evitando di limitarsi ai soli classici; liberarsi dalla consuetudine di effettuare i soli colpi a effetto sicuro è sicuramente una scelta valida, ma non paga sempre. In questo caso, però, possiamo ritenerci soddisfatti di quanto ascoltato. Holmes e compagni hanno attinto al loro vasto repertorio, profondendosi in un’esibizione tiratissima, un vero concentrato di musica. Pensate che, in poco più di un’ora e un quarto, sono riusciti a incastrare la bellezza di sedici pezzi. Inutile dire, però, che tanta varietà ha necessariamente avuto uno scotto da pagare; in questo caso, a pagare il prezzo più alto è la comunicazione. L’interazione tra pubblico e band è stata ridotta all’osso, i cinque si sono limitati a presentare i brani e a fare un paio di battute squisitamente british. Anche la presenza sul palco è stata veramente minimale: con l’eccezione dei due chitarristi, i componenti del gruppo parevano imbalsamati e depositati sul palco. Ovviamente, non mi aspettavo la focosa esuberanza di un gruppo hardcore, ma in questo caso, non mi pare che Holmes e soci abbiano cercato di spingersi oltre il minimo sindacale. Uniche eccezioni i due chitarristi: in particolare, vittima di un impeto iper-compensativo, Aedy non è stato fermo un istante, saltellando e contorcendosi su sé stesso come una molla.
Un’altra nota dolente riguarda la voce di Holmes; non mi azzardo a dare un giudizio sulla qualità della sua esecuzione per il semplice motivo che…non si sentiva. Per tutta la durata del concerto, allontanarsi dalla prima fila equivaleva a perdere i fonemi espressi da cantante in un buco nero. Bizzarro, visto che i suoi compagni di avventure erano ben settati. Un disguido tecnico che, comunque, non ha impedito al pubblico di divertirsi. È stata questa, probabilmente, la cosa più bella dell’intero concerto: a dispetto di tutto, spettatori appartenenti alle più varie fasce d’età, si sono scatenati per tutta la durata dell’esibizione, hanno cantato, hanno accompagnato la band e, soprattutto, se la sono goduta.
Tirare un bilancio della serata non è facile; il concerto è stato piuttosto breve e ci sono stati problemi di varia natura durante l’esibizione dei due gruppi. Nonostante tutto, entrambi gli spettacoli sono stati di buon livello, almeno dal punto di vista dell’esecuzione. Visto il calibro degli artisti coinvolti, era lecito aspettarsi qualcosa di più. In ogni caso, i rimpianti non sono così tanti da rovinare il ricordo della serata.
1. Widow
2. Honesty in Death
3. Erased
4. Enchantment
5. Soul Courageous
6. In This We Dwell
7. Praise Lamented Shade
8. Pity the Sadness
9. As I Die
10. One Second
11. Tragic Idol
12. The Enemy
Bis:
13. Embers Fire
14. Fear of Impending Hell
15. Faith Divides Us – Death Unites Us
16. Say Just Words
Nick Holmes – Vocals
Greg Mackintosh – Lead Guitar
Aaron Aedy – Rhythm Guitar
Steve Edmondson – Bass
Adrian Erlandsson – Drums
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