Progressive

Live Report: Queensrÿche + Methodica @ Phenomenon, Fontaneto D’Agogna 29/06/2017

Di Fabio Vellata - 4 Luglio 2017 - 11:49
Live Report: Queensrÿche + Methodica @ Phenomenon, Fontaneto D’Agogna 29/06/2017

Queensrÿche – Methodica

Setanera – Ravenscry

29/06/2017 @ Phenomenon, Fontaneto D’Agogna (No)

 

queensryche locandina

 

Live report a cura di Fabio Vellata

 

C’era tutto per l’evento memorabile.
Location pressoché perfetta, impiantistica di primissimo livello, personale preparatissimo, parecchia musica interessante ed una band di punta che, dopo una interminabile e quasi ventennale sequela di passi falsi, pare tornata agli antichi splendori, complici un paio di dischi finalmente dignitosi ed una formazione rinnovata, di sicura sostanza ed eccellente resa dal vivo.
Eppure, sembra proprio che quando c’è da trattare con i Queensrÿche, qualcosa debba sempre andare storto, minando in parte la possibile soddisfazione per uno show potenzialmente da tramandare ai posteri.
Un vero peccato: un locale come il Phenomenon di Fontaneto D’Agogna – forse la sala da concerti di medie dimensioni migliore di tutta la penisola in quanto a comfort, cortesia e funzionalità – era una cornice ideale per un concerto lungo, torrenziale, di quelli che racconti poi a figli, parenti ed amici.
E invece no: delusione totale per uno spettacolo striminzito e ridottissimo, lungo una decina di brani per un totale di un’oretta scarsa, che ha lasciato l’amaro in bocca a chiunque sia convenuto la sera dello scorso 29 giugno a Fontaneto D’Agogna (non moltissimi, per la verità) portando con se una coda infinita di polemiche e tanti punti interrogativi.
Soprattutto alla luce dell’eccellente stato di forma mostrato da Michael Wilton e compari.

 

Ravenscry / Setanera

Ad aprire la serata, si sono palesati Ravenscry e Setanera, gruppi tutto sommato simili nella forma (alternative metal darkeggiante i primi, gothic cantato in italiano i secondi, ambedue con voce femminile), giunti sul palco del Phenomenon con un buon curriculum, a dispetto però di una forte incongruenza di genere con gli headliner della serata e – per quanto al riguardo dei Setanera – la mancanza di un album in promozione uscito da pochi mesi.
Senza dubbio rodati e professionalmente ineccepibili, i due complessi tricolori mettono in scena setlist piuttosto brevi ed una prestazione decorosa che, senza suscitare particolari sussulti, si rivela gradevole pur se destinata ad intrattenere un pubblico non ancora del tutto concentrato sullo stage e molto scarso nei numeri.

 

Methodica

Decisamente più adatti e focalizzati sulla serata, sono risultati invece i Methodica, band prog metal che già nei mesi scorsi aveva avuto l’occasione di supportare i Queensrÿche durante alcune date italiane.
Prog nervoso, instabile ed acceso, quella del gruppo veronese è una proposta che talora richiede qualche ascolto per essere metabolizzata, rendendosi in tal modo meno immediata di altre sulle assi del palco.
L’impatto tuttavia non manca, così come dimostrato nel buon “The Silence of Wisdom”, cd edito nel corso del 2015 che si rivela essere la pietra angolare dell’esibizione offerta in questa data.
Arricchita da un riuscito e doveroso omaggio a Chris Cornell, ricordato con l’accenno della celebre e pluripremiata “Black Hole Sun”, l’esibizione dei Methodica scorre piuttosto bene, risultando molto gradita ai convenuti, finalmente un po’ più consistenti in termini di presenza numerica.

 

ryches logo

 

 

Non sono ancora le 22.00 – parecchio in anticipo sulla scaletta – quando una intro di grande impatto scenografico introduce in scena gli osannati Queensrÿche, giunti sul palco del Phenomenon in formazione rimaneggiata data l’assenza di Scott Rockenfield, storico batterista e fondatore, sostituito dal comunque ottimo Casey Grillo per motivi familiari (abbiamo poi appreso che il buon Scott è da poco diventato padre ed ha preferito prendere una pausa temporanea dalle attività del gruppo per meglio seguire il lieto evento).
Qualcuno ha suggerito di avere a che fare ormai con una sorta di cover band: considerando la defezione solo temporanea di Rockenfield e la costante presenza di Wilton e Jackson, ci sentiamo intimamente di dissentire.

Inizio fulminante, con la torrenziale e metallica “Guardian” – tratta dal recente “Condition Human” – a rappresentare i Rÿches del nuovo corso, finalmente liberi dalle inutili deviazioni sperimentali, ridondanti e senza costrutto, che avevano caratterizzato il periodo a cavallo tra la fine degli anni novanta e il primo decennio del duemila.
Come ovvio tuttavia, i veri fan della band erano qui per fare scorpacciata di classici, nell’attesa di una setlist che, come da programma, era destinata a poggiare sui primi cinque / sei album realizzati in carriera dal gruppo di Bellevue.
Ed eccoli prontamente accontentati con una tripletta da urlo: “Operation: Mindcrime”, “I Don’t Believe In Love” ed “Empire” lanciano l’audience indietro nel tempo, riallacciando le trame con l’epoca d’oro del quintetto.
Se non sussistevano dubbi sulla possibile resa dei musicisti, davvero straordinario si è rivelato Todd LaTorre, semplicemente perfetto in ogni singola parte dei brani e dotato di quella che viene riconosciuta come un’ugola d’acciaio: molto simile al miglior Tate degli esordi, tecnicamente eccelso e di portentosa efficacia sui toni alti. Una vera magnificenza.

 

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Per chi scrive, l’amore con i Rÿches è scoccato proprio in quel fortunato biennio 1988-1990, ragion per cui il riascoltare l’ennesimo pezzo elegante e fascinoso come “Jet City Woman” non ha potuto che essere pura goduria, tanto più se proposta in modo pressoché perfetto. 
Non è mancato poi un breve excursus nei meandri ancor più remoti, ripescando in brillante doppietta le sontuose “Take Hold The Flame” (con i Methodica sul palco a far da cornice) e “Queen of the Rÿche”, primissimo successo datato 1983, seguite dalla potente “Screaming in Digital”, visionario ed allucinato estratto dall’eccellente “Rage for Order” (1986).
Ennesima prova di forza del quintetto e di La Torre, impeccabile e quasi divino.

Momento di panico: “Anarchy X”, intro dell’immenso “Operation Mindcrime” e preludio alla sconvolgente “Revolution Calling”, è qualcosa che ancor oggi ha il potere di assorbire l’audience in una follia di emozioni, trascinando l’adrenalina verso vette assolute.
Ancora tantissima sostanza ed esecuzione maniacale: non un singolo elemento che viaggia fuori fase, in un sincronismo perfetto che lascia attoniti per la perfezione con cui si palesa, offrendo poi spazio ai giochi di luce utilizzati nell’introdurre uno dei pezzi più rappresentativi dei Queensrÿche, quella “Eyes of a Stranger” che è insieme inno e portabandiera del quintetto americano.

 

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E poi…e poi stop.

Come risvegliati bruscamente da un grandioso sogno ad occhi aperti, la band si congeda in fretta e furia e freddamente se ne va, mollando sul più bello l’audience che, sbalordita, si guarda attorno sorpresa.
Sarà la solita mossa che precede gli encore, i bis di rito che ogni concerto rispettabile riserva da sempre? La frase assurda biascicata da La Torre, un presunto aereo da prendere da lì a mezz’ora per raggiungere Barcellona, non convince nessuno, forse nemmeno lo stesso frontman, che la pronuncia quasi nascondendosi dietro al microfono. Un colpo gobbo per poi offrire un finale di fuoco?
Macché: lasciando tutti con il proverbiale “palmo di naso” e dopo solo 58 minutini di spettacolo, i cinque escono davvero di scena, le luci si accendono ed il sipario si chiude, proiettando – quasi uno sfottò – la locandina della prossima esibizione di una band tributo agli 883…

Un vero delitto: ci saremmo attesi almeno ancora una cinquina di brani, ma pure le sole “Silent Lucidity”, “The Mission” e “Best I Can” ci sarebbero bastate per considerare completo e definitivo il successo dei Queensrÿche in terra novarese.

Nulla che ci abbia impedito di decretare la straordinaria forma dei Rÿches, tuttavia. Anzi proprio per questo, un rammarico ancora maggiore: considerando il livello di prestanza attuale e le rare occasioni che ci saranno in futuro per rivederli, c’è stato realmente di che mangiarsi le mani.
I motivi di quello che a molti è sembrato uno scempio li abbiamo saputi solo successivamente, a mente fredda, grazie all’illuminante intervista con il responsabile dell’agenzia che ha promosso l’evento e che vi presenteremo a breve.
Non in tempo sufficiente comunque, a non maledire ogni singola piastrella di quello che, ad ogni modo, rimane uno dei locali più belli d’Italia.

Chissà se mai ci ricapiterà di vederli ancora…

 

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Setlist:

Guardian 
Operation: Mindcrime 
I Don’t Believe In Love 
Empire 
Jet City Woman 
Take Hold Of The Flame 
Queen Of The Rÿche 
Screaming In Digital 
Anarchy-X
Revolution Calling
Eyes Of A Stranger