Live Report: Rhapsody Of Fire a Treviso (New Age Club)

Di Stefano Vianello - 23 Aprile 2012 - 11:30
Live Report: Rhapsody Of Fire a Treviso (New Age Club)

E dopo la fantastica data di Trezzo, abbiamo seguito i Rhapsody Of Fire anche Treviso. Ecco il report della serata al New Age Club.

Report a cura di Filippo “Ov Fire” Blasetti
Foto a cura di Daniele Peluso

 

Arrivo insieme ai miei compagni di avventura al New Age intorno alle 18.30 e la prima cosa che salta all’occhio è la presenza di un manipolo di ragazzi già pronti davanti all’ingresso. Questo mi rende molto felice e mi fa pregustare un concerto per affezionati, per lo “zoccolo duro” di supporters della celebre band che ha mosso i suoi primi passi proprio in queste zone.
Dopo circa un’oretta il New Age è già affollato pronto ad accogliere con calore i Bejelit, rispondendo bene ai ragazzi di Arona che si danno un bel da fare sul palco. Nota negativa del combo sono però i suoni poco esaltanti, soprattutto per quanto riguarda la sezione ritmica, in particolare della batteria, sporca e abbastanza “pentolosa”. Il chitarrista Marco Pastorino mostra un’ottima padronanza dello strumento condita anche da quel pizzico di spavalderia che occorre per aprire il concerto di un gruppo come i Rhapsody of Fire, ovvero un’occasione da non sprecare e in cui bisogna dare il massimo. I ragazzi ce la mettono tutta: bellissima voce e grande controllo per Privitera, sebbene si abbia un po’ la sensazione di “già sentito” in alcuni frangenti, manca talvolta l’originalità che si spera di sentire in un gruppo “nuovo”. Ottimi gregari, perfetti per riscaldare ulteriormente un pubblico già pronto da ore ad affrontare avventure e brandire “Spade di smeraldo”.

Con l’ingresso sul palco dei Kaledon emerge subito una grossa differenza con i Bejelit che li hanno preceduti: i suoni sono nettamente migliori e il combo romano trae vantaggio da un mix molto più accattivante, nonostante i brani proposti siano strutturalmente più semplici e meno intriganti rispetto a quelli dei Bejelit. Va però dato atto ai Kaledon di sfoggiare una buona presenza scenica che fa sì che si instauri un buon rapporto con il pubblico, che mostra di conoscere già le canzoni proposte dal gruppo.
Nel complesso i romani offrono una buona e gradevole performance, sebbene non si tratti di un concerto fuori dal comune.

Intorno alle 23 arriva il piatto forte della serata: i Rhapsody entrano in scena con Ad Infinitum che sembra fatta apposta per dar fuoco alle polveri mentre le luci sono ancora spente. Quando il palcoscenico viene illuminato il pubblico esplode dando il benvenuto ai suoi beniamini con ovazioni che li accomagneranno fino al termine dell’esibizione. È un vero peccato che la chitarra di Tom Hess si senta veramente poco, problema a cui non viene posto subito rimedio e che si ripresenterà ciclicamente durante la serata.
Il pubblico è innamorato della band e la sostituzione di Luca Turilli con l’ottimo De Micheli non fa sorgere il minimo dubbio sulla scelta operata: l’esperienza accumulata in questi anni ha permesso ai musicisti di superare alla perfezione anche questo ostacolo. Nonostante sia la sua prima esperienza in un complesso di questo calibro, De Micheli pare essersi ambientato alla perfezione: l’intesa con gli altri componenti e con il pubblico che lo ha accolto magnificamente è perfetta. Il tutto suona come un motore calibrato alla perfezione e che quindi può solo dare grandi soddisfazioni. I suoni sono perfettamente amalgamati, a parte il suddetto problema di Hess, e i ragazzi sul palco non sembrano voler risparmiarsi: il pubblico se ne accorge tributando al gruppo applausi a scena aperta. È quasi commovente il momento in cui Tom Hess quasi non riesce più a suonare nella celeberrima Dawn of Victory a causa del numero enorme di mani adoranti tese verso di lui che puntualmente stringe; in questo bellissimo gesto si vede quanto i Rhapsody Of Fire siano amati dai fan e come ricambino l’affetto.
Fabio Lione dà vita a una performance strabiliante, nonostante avesse accennato di non essere vocalmente al top. Staropoli e i fratelli Holzwarth sono fantastici tecnicamente e l’assolo di batteria con una “Painkiller” appena accennata e quello di basso (Toccata e Fuga in Re minore di Bach) sono momenti epici di grande musica: la loro energia si fonde a quella di Lione, Hess e De Micheli per una serata che è valsa il prezzo del biglietto. L’ultimo bis composto da Epicus Furor ed Emerald Sword è un trionfo assoluto, il pubblico è estasiato e io stesso mi ritrovo a cantare a squarciagola una canzone che non cantavo da quando avevo 15 anni, e che mi ha riportato in mente ricordi fantastici e un’energia senza paragoni: guardando i volti soddisfatti della gente attorno a me non ero assolutamente l’unico e questo mi fa dire solo una cosa: Rhapsody of Fire missione compiuta, grazie a tutti.


Filippo “Ov Fire” Blasetti