Live Report: Testament a Brescia

Di Stefano Burini - 23 Agosto 2014 - 11:22
Live Report: Testament a Brescia

TESTAMENT + TRAGODIA + LEHMANN

18/08/2014 @Radio Onda D’Urto Fest 2014, Brescia (BS)
 

Location piuttosto insolita, quella scelta per l’attesissimo passaggio nel nord Italia dei thrasher californiani Testament, non tanto da un punto di vista “geografico”, quanto piuttosto da un punto di vista “contestuale”. Ad ospitare, per l’occasione, la band di Chuck Billy ed Eric Peterson è infatti la 23esima edizione della Festa di Radio Onda D’Urto «emittente radiofonica bresciana di spiccata vocazione politica», come recita la pagina Wikipedia dedicata, e i cui eventi risultano, il più delle volte, legati al mondo del reggae, dello ska, del punk e in generale del rock alternativo (come d’altronde dimostrano le presenze in cartellone di nomi quali Caparezza, 99 Posse, Lo Stato Sociale e i Tre Allegri Ragazzi Morti). Ha fatto, dunque, eccezione la serata di lunedì 18 agosto, riservata ai Testament (supportati dai bresciani Tragodia e dai bolognesi Lehmann) e al loro purissimo thrash metal, il miglior catalizzatore possibile per un orda di metallari di nero vestiti, pronti ad invadere (pacificamente, s’intende!) il piazzale dell’area feste di Via Serenissima e a scapocciare sulle note dei classici della band. Ma andiamo con ordine…

 

Ore 20 e 45: con un sempre suggestivo crepuscolo alle spalle irrompono in scena i bolognesi Lehmann. Si tratta della neonata band di un musicista polistrumentista di origini tedesche ma di nazionalità italiana (Mat Lehmann per l’appunto), giunto agli onori della cronaca in virtù del sodalizio artistico con l’ex Maiden Blaze Bailey, per conto del quale ha ricorperto il ruolo di bassista e ingegnere del suono nelle sessions di “The King Of Metal“. Il metal dei Lehmann è pesante e oscuro ma molto variegato (forse anche un po’ troppo, NdR), al punto che vi si possono riconoscere elementi ricondicubili all’heavy, al thrash/ groove metal e all’hard rock, quanto derive più barocche ed elettroniche; in ogni caso, grazie alla potenza della sezione ritmica e alla velocitá delle chitarre, l’impatto è decisamente felice fin dai primi istanti. Mat ricopre, nell’ambito di questo progetto, il ruolo di lead vocalist e, pur non potendo vantare un’ esperienza troppo consolidata nel ruolo, dimostra di sapersela cavare in maniera piuttosto disinvolta (anche spaziando tra diversi stili di canto) lungo tutto l’arco della breve esibizione. Un buon viatico in attesa dei local heroes Tragodia e delle superstar della serata.

 

Dopo i Lehmann è il turno dei Tragodia, heavy/gothic metaller bresciani attivi dalla fine degli anni ’90 e autori dei ben tre full length, tra cui l’ultimo “Mythmaker“. La band guidata da Lorenzo Marchello e dall’energico vocalist Luca Meloni si fa valere in virtù di una proposta magari non originalissima ma di buonissimo impatto scenico e sonoro, fatta di chitarre robuste, atmosfere grigie tendenti al gothic e ben guarnita da un invidiabile (e tutt’altro che scontato) senso della melodia. In rapporto a quanto proposto dai più acerbi (ma, come detto, non privi di motivi interesse) Lehmann, i Tragodia mettono sul piatto della bilancia una maggiore esperienza e una proposta certamente più codificata e consolidata, tra le cui pieghe si possono trovare canzoni anche piuttosto elaborate, assolutamente degne di un maggior grado di approfondimento da parte di tutti i presenti per i quali la band bresciana si è dimostrata una graditissima sopresa. Che dire se non che il ruolo di apripista per una leggenda come i Testament è stato onorato nel migliore dei modi?

 

 

Nella pausa successiva alla fine dello show dei Tragodia il parterre di fronte al palco va riempiendosi sempre di più, a testimonianza della grande attesa per lo show del gruppo statunitense. Il primo a mettere piede sullo stage, alle 22 e 30 in punto, è Gene Hoglan, seguito da Di Giorgio, Peterson, Scolnick e infine dal sempre più mastodontico Chuck Billy, accolto con affettuose urla e grandissimi applausi da tutti i presenti. Come da copione l’apertura è affidata a “Rise Up” (anche opening track di “Dark Roots Of Earth“, ultimo nato in casa Testament) e, nonostante una resa sonora un po’ rivedere, la grande carica dei cinque americani si riversa senza pietà sui presenti fin dai primi istanti. La formazione attuale annovera, con ogni probabilità, i migliori musicisti mai stati in forza ai Testament e, in effetti, l’esecuzione è da manuale per potenza, tiro e precisione. Alex Scolnick, acclamatissimo e in gran forma, si ritaglia fin dal principio il ruolo di protagonista grazie alle mai troppo lodate doti tecniche e ad una tenuta del palco da fuoriclasse assoluto; non da meno Chuck Billy, certamente appesantito dagli anni da un punto di vista fisico, ma vocalmente ad altissimi livelli e ancora padrone di un growl profondo e possente. La resa del quintetto a stelle e strisce non potrebbe, in ogni caso, essere la medesima senza citare il grande apporto in fase ritmica di due giganti quali Steve Di Giorgio (bassista dal groove assolutamente devastante) e Gene Hoglan (batterista dal lunghissimo curriculum, equamente diviso tra nomi quali Dark Angel, Death, Strapping Young Lad e Testament); l’unico forse un po’ in ombra (anche a causa di un suono di chitarra stridente e poco azzeccato) durante tutto l’arco dell’esibizione è stato invece Eric Peterson.

La scaletta proposta dai thrasher di San Francisco si concentra principalmente su tre album (in ordine rigorosamente cronologico: “The New Order“, “The Gathering” e “Dark Roots Of Earth“) cui si aggiungono alcune chicche estratte dai remoti “The Legacy” (presente con le mitiche “Over The Wall” e “Alone In The Dark”) e “Practice What You Preach” e un paio di estratti da “The Formation of Damnation“. Il livello dell’esibizione rimane elevato per tutta la durata del concerto (a parte un leggero calo nel finale, con la complicità di alcuni problemi tecnici e, probabilmente di una certa stanchezza accumulata durante il lungo tour, NdR) con alcune punte di intensità toccate in corrispondenza del funambolico assolo di chitarra di “The Preacher” e sui trascinanti ritornelli di hit vecchie e nuove quali “Rise Up”, “Dark Roots Of The Earth”, “Into The Pit” e “Disciples Of The Watch”. Pochissime le pause e sempre rivolte a ringraziare i presenti; le tredici canzoni che compongono la setlist “base” scorrono piuttosto velocemente, per poi lasciare spazio ad un robusto encore (ben quattro brani) particolarmente incentrato su “The Gathering”, certamente l’apice del periodo anteriore al rientro in formazione di Alex Scolnick. Chiude, tra gli applausi e le urla di sodddisfazione del pubblico, la title track del penultimo album targato Testament, “The Formation of Damnation” e, dopo quasi due ore ininterrote di concerto, giunge malauguratamente l’ora di fare ritorno a casa, con la consapevolezza di aver assistito all’ennesimo show di altissimo livello da parte di queste leggende del thrash metal a stelle e strisce.

Setlist:
01. Rise Up  (“Dark Roots Of Earth”, 2012)
02. The Preacher  (“The New Order”, 1988)
03. More Than Meets The Eye (“The Formation of Damnation”, 2008)
04. Native Blood (“Dark Roots Of Earth”, 2012)
05. True American Hate   (“Dark Roots Of Earth”, 2012)
06. Dark Roots Of Earth (“Dark Roots Of Earth”, 2012)
07. Into The Pit (“The New Order”, 1988)
08. The New Order, (“The New Order”, 1988)
09. Practice What You Preach (“Practice What You Preach”, 1989)
10. Riding The Snake (“The Gathering”, 1999)
11. Eyes Of Wrath (“The Gathering”, 1999)
12. Over The Wall (“The Legacy”, 1987)
13. Disciples Of The Watch  (“The New Order”, 1988)

Encore:
14. D.N.R. ( Do Not Resuscitate) (“The Gathering”, 1999)
15. 3 Days In Darkness (“The Gathering”, 1999)
16. Alone In The Dark (“The Legacy”, 1987)
17. The Formation Of Damnation (“The Formation of Damnation”, 2008)

Live Report a cura di Stefano Burini