Live Report: Wyatt E. + Ainu @ Ziggy Club, Torino – 19/10/2025

I concerti di domenica dovrebbero essere obbligatori per legge, senza se e senza ma. Non riesco ad immaginare un escamotaggio migliore per esorcizzare il terrore che i lunedì riescono ad incutere sia nei lavoratori che negli studenti…a patto che le danze incomincino ad un’ora consona. Lo Ziggy Club di Torino e l’organizzatore di eventi Zefir Live Shows ospitano in questa domenica d’autunno un concerto fuori dai soliti schemi, mostrando persino un pizzico di comprensione nei confronti di coloro che domattina dovranno puntare la sveglia alle sett’albe. Alle 21,30, infatti, prenderanno possesso del palco dello Ziggy i liguri Ainu, band che non conosco e che mi sono ben guardato dallo scoprire preventivamente. So bene quanto sia antidiluviano il mio atteggiamento, tuttavia, quando si presenta l’opportunità, preferisco scoprire gruppi nuovi conoscendoli dal vivo e approfondendone la produzione musicale grazie ai molti souvenir pescati dal banco del merch. Alla fine del loro turno i tre genovesi lasceranno i posti di combattimento ai belgi Wyatt E., già intervistati su queste pagine e alfieri di un curioso ibrido tra Metal, Drone e atmosfere orientali. Volendo storpiare un noto modo di dire: ‘non di solo Thrash Metal vive l’uomo’…d’altronde, a ben pensarci, iniziare una nuova settimana con le ossa doloranti a causa di una forsennata sessione di pogo non è proprio una mossa vincente!

Ainu
Mi avvicino agli Ainu per la prima volta…e mi trovo davanti ad una band strumentale. L’assenza di parti cantate dal vivo è la prima delle molte sorprese che il trio ha riservato stasera al pubblico torinese. Le uniche voci che accompagnano i tre musicisti vengono riprodotte dalle casse del locale: si tratta di campionamenti, ascoltabili anche nel loro primo e finora unico disco “Ainu”, estratti da film in lingua italiana e inglese. Fa eccezione la registrazione di un’angelica voce femminile nel brano “The Call of the Sea”: stando a quanto dichiarato nelle pagine del digipack del CD, questi eterei vocalizzi appartengono alla musicista romana Lili Refrain.

Non è la prima volta in cui mi imbatto in una band che ha scelto di far parlare esclusivamente gli strumenti: giocoforza l’attrezzatura a cui sono collegati basso e chitarra sembra essere un po’ più abbondante rispetto a concerti di gruppi, mi si perdoni il termine, più ‘canonici’. Gli Ainu sopperiscono alla mancanza delle voci con una pletora di artifici destinati a rendere il loro show estremamente profondo. Il pubblico vede filmati in bianco e nero che scorrono costantemente alle spalle del batterista e ascolta numerosi campionamenti: tutto questo si aggiunge ai variopinti suoni prodotti dalle ‘asce’ e dalla piccola tastiera/effettiera da 37 tasti manovrata dal chitarrista.

La particolarità dell’insieme rende molto difficile trovare un modo per battezzare lo stile del terzetto. Sludge? Stoner? Prog? Doom? Ha poi importanza, alla fine dei conti? Lo spettacolo degli Ainu risulta coinvolgente e, in qualche modo, ‘avvolgente’, a prescindere dall’inusualità della proposta. I ragazzi esplorano sonorità situate a pari distanza tanto dai Cult of Luna quanto dai Deftones, riuscendo ad alternare con il giusto equilibrio momenti riflessivi e sfuriate quasi ballabili. Sia il disco omonimo che lo spettacolo degli Ainu fanno un po’ l’effetto di certi album dei Pink Floyd, maestri capaci di creare dischi memorabili anche grazie all’abilità nel raccontare vere e proprie ‘storie in musica’.

L’ultima postilla aggiunta alla narrazione degli Ainu è rappresentata da un brano cover. Il batterista spiega agli astanti come la canzone sia stata scelta tra il repertorio di Arottenbit, al secolo Alessandro Galli, artista Techno/Metal che, quando non è impegnato a produrre dischi come nel caso degli Ainu, crea musica usando anche un…Game Boy Nintendo di trenta e più anni fa. Uno dei molti filmati alle spalle del batterista durante l’esecuzione di questo brano ben rappresenta il seducente straniamento provocato dalla musica degli Ainu applicata alla follia di Arottenbit: un astronauta in tuta spaziale vaga roteando vorticosamente nello spazio con la Luna alle sue spalle che gli si avvicina minacciosamente. Gli Ainu dimostrano di aver lavorato parecchio sia per portare la loro musica sul palco che per regalare agli astanti uno spettacolo completo e appassionante. Niente male come prima attrazione della serata…
Wyatt E.
Gli Ainu avevano molta attrezzatura sul palco? I Wyatt E. ne hanno almeno il triplo! I fonici e la band avranno bisogno di un po’ di tempo per collegare il tutto: proprio quello che mi ci vuole per scolare l’ennesima birra e prepararmi allo spettacolo del terzetto belga. Il nome e l’origine del gruppo, sia chiaro, non hanno nulla a che vedere con il noto sceriffo pistolero del far west Wyatt Earp, anzi! Il gruppo si presenta sul palco con un abbigliamento singolare, composto da barbe finte, tuniche e copricapi in antico stile mesopotamico. L’abbigliamento di scena dei Wyatt E. ben si sposa con le atmosfere orientaleggianti che animano la loro proposta e contrasta apertamente con il massiccio dispiegamento di artifici tecnologici sulle assi del palco.

Il gruppo dei tre belgi è strumentale…ma non troppo. Sia il bassista che il chitarrista hanno davanti a loro un microfono: i rari vocalizzi che emettono vengono arricchiti da una miriade di effetti, come se le voci provenissero da un’anacronistica e vagamente empia registrazione di un ancestrale rituale di evocazione. Nemmeno la batteria si salva da questa ‘iperstrumentazione’. Campane tubolari e set di mini bongo completano la vastissima gamma di suoni prodotti dal trio, rendendo praticamente impossibile catalogare o definire sinteticamente il loro stile. Già ero in difficoltà con gli Ainu, figuriamoci con i Wyatt E.! Loro stessi, nell’intervista a cui accennavo poc’anzi, si sono definiti Doom/Ambient, seppur con qualche riserva.

È pressoché impossibile dare un nome alla loro musica, anche volendo ripetere l’approccio tentato poco fa con gli Ainu. Drone? Doom? Avantgarde/Post Black Metal? Neopsichedelia? Anche in questo caso la questione ha poca importanza. Ciò che appare evidente è la volontà da parte del gruppo di creare un racconto: il concerto è un lungo medley in cui il rapporto col pubblico è ridotto all’osso per favorire il dipanarsi delle trame sonore. Consiglio per questo motivo di non limitarsi all’ascolto degli album: la dimensione live arricchisce e completa la narrazione dei Wyatt E., rendendo irrinunciabile la partecipazione ad un loro concerto. Di sicuro ci si deve armare di quella che il famoso poeta inglese Samuel Taylor Coleridge definiva ‘volontaria sospensione dell’incredulità’, ovvero quell’atteggiamento in cui ci si obbliga temporaneamente a credere anche alle cose più inverosimili pur di potersi godere opere di fantasia come film di fantascienza o videogiochi a sfondo Fantasy.

I Wyatt E. ovviamente non sono antichi babilonesi nè seguono misteriosi e ancestrali spartiti ritrovati in qualche scavo archeologico. Per farsi conquistare dal loro show è necessario pertanto scendere a qualche compromesso e accettarne in toto sia gli aspetti musicali che quelli scenografici. Gran parte del pubblico presente in sala, assorto in contemplazione come se si trovasse di fronte ad uno spettacolo teatrale, ha capito fin dai primi minuti di musica come fruire correttamente di questo concerto. Chi ha accettato le regole dei Wyatt E. si è trovato a vibrare all’unisono con le note sospese prodotte dalla band, rapito da un’esibizione che ha quasi assunto la forma di un rito propiziatorio. La musica dei Wyatt E., volendo tornare per un attimo con i piedi per terra, sembra fatta apposta per accompagnare un solenne gran finale della serie di videogiochi Assassin’s Creed. La loro commistione di Space Rock e sonorità etniche, tribali ed elettroniche, oltre ad unire in modo sorprendente antico e moderno, ben si adatterebbe alle atmosfere archeologico/fantascientifiche dell’apprezzato franchise videoludico. In ogni modo la realtà supera sempre la fantasia: nemmeno in uno dei capitoli più arditi della serie di Assassin’s Creed potremmo trovare musicisti assiro/babilonesi armati con un basso Flying V!
Le poche ore di sonno che mi attendono sono state ripagate da un’esperienza ricca e insolita: sia gli Ainu che i Wyatt E. hanno saputo ipnotizzarmi come non succedeva da parecchio. Le mie attività domenicali in questa metà di ottobre, vale a dire scoprire gli Ainu e approfondire la conoscenza della band belga, dimostrano la fenomenale capacità di rinnovamento insita nel multiforme calderone di Metal e derivati. I souvenir della serata rinnoveranno anche la mia giurassica collezione di CD, oltre a far prendere un po’ di respiro ai miei vicini di casa. Ormai si erano messi il cuore in pace arrivando quasi ad accettare il Death Metal putrido e catacombale che spesso allieta le loro mattinate…cosa gli dirò adesso, quando mi chiederanno il motivo della diminuzione di decibel e urla belluine prodotte dal mio stereo? ‘Sto entrando nella fase Drone/Metal sumero’? Se anche fosse così, vi dirò, è una fase in cui non si sta poi tanto male…approfittate dei collegamenti seguenti e date una possibilità a queste due band: allargare i propri orizzonti è sempre cosa buona e giusta. Al prossimo concerto!
Gli Ainu su Facebook: https://www.facebook.com/AinuSludge?locale=it_IT
Bandcamp: https://ainuband.bandcamp.com/album/ainu-2
I Wyatt E. su Facebook: https://www.facebook.com/Wyattdoom?locale=it_IT
Bandcamp: https://wyattdoom.bandcamp.com/