Report: Firehouse + Markonee – 21/10/08, Bologna

Di Redazione - 29 Ottobre 2008 - 4:06
Report: Firehouse + Markonee – 21/10/08, Bologna

C’è qualcosa nell’aria. Riapre i battenti Bologna Rock City e in terra felsinea si respira il profumo del Rock, con la R maiuscola. Firehouse è solo la prima di una serie di big band di caratura internazionale che si esibiranno al Sottotetto, covo del team di capitan Nanni e ormai seconda casa (assieme al rampante Ke Me Meo di Argelato) per tutti gli aficionados emiliani. Il treno del rock ‘n roll è partito, tenetevi forte.

A infiammare una serata che si preannuncia bollente, non solo per le temperature micidiali registrate all’interno del locale, sono i Markonee del veterano Stefano Peresson. La band non è nuova a show di alto livello e, complice un repertorio equipaggiato di tutto punto, si produce in un’esibizione che incassa applausi da neofiti e seguaci di vecchia data. L’ingresso di Gabriele Gozzi ha portato una ventata di entusiasmo in seno al gruppo: l’aitante vocalist cremonese è un talento puro, che affronta il palcoscenico senza timori reverenziali; il traffico on stage ne limita il raggio d’azione, ma il frontman sa come toccare le corde del pubblico. In scaletta fioccano le anteprime da 99, successore del fortunato The Spirit of Radio: menzione d’onore per See The Thunder, class metal dal refrain magistrale, che certifica la svolta americana del nuovo corso. Chitarre roboanti e cori magnetici preannunciano un album che, levigati gli spigoli dell’esordio, promette un consistente salto di qualità. Colors e Loved Land, anello di congiunzione con il passato, fanno centro grazie a melodie accattivanti; l’attitudine scanzonata di Marconi è un invito a nozze per tutti i presenti, che ne memorizzano in pochi istanti il ritornello. Trascinante. La formazione bolognese onora la chiamata con una prestazione esemplare per solidità: Stefano “Pera” Peresson, che negli anni ’80 inseguiva il sogno americano con i grandi Danger Zone, mette carisma e tecnica al servizio della squadra; i compagni lo assecondano in ogni movimento, confermando l’impressione di estrema affidabilità maturata nelle precedenti uscite. Escono di scena da protagonisti.

Il colpo d’occhio durante il soundcheck è motivo di soddisfazione: il piccolo Sottotetto è insolitamente gremito, senza contare la nutrita schiera di paganti che cerca all’esterno un conforto dall’arsura del locale. È la prima buona notizia della giornata. La seconda è che Firehouse, ex-eroi della ribattezzata scena hair metal, non hanno volato fino a Bologna per fare le comparse. Acclamati da un pubblico in visibilio per i propri beniamini, C.J. Snare e co. si rendono artefici di un concerto memorabile per intensità e slancio emotivo; la band è in gran forma e può contare sull’estro chitarristico di Bill Leverty, indiscusso mattatore della serata. La scaletta propone brani in massima parte estratti dai due capisaldi del gruppo: Firehouse (1990) e Hold Your Fire (1992). L’anthem Rock You Tonight paga dazio a suoni in fase di assestamento, ma la reazione della platea non si fa attendere; il ritornello è un coro unanime. Il copione si ripete all’annuncio di All She Wrote, super-classico che esplode a stretto giro di lancetta e suscita l’isteria collettiva delle prime file. Snare è un interprete tanto dotato quanto giudizioso: conosce i limiti della propria voce e sa quando rifiatare, concedendo l’onore dei riflettori ai colleghi Leverty e McKenzie; quest’ultimo è il protagonista di una divertente cover di Highway to Hell. Nel novero delle hit più applaudite vanno incluse almeno When I Look Into Eyes (con Snare impegnato alle tastiere), l’adrenalinica Shake & Tumble, Oughta Be A Law e Don’t Treat Me Bad. Leverty, superata l’iniziale impasse d’ordine tecnico, si produce in assoli folgoranti che valgono da soli il prezzo del biglietto. Michael Foster è un autentico mastro ferraio: nel repertorio del batterista non figurano solo giochi di prestigio, ma addirittura calci e pugni inferti di santa ragione a piatti e tamburi. Puro spirito rock. Helpless e una poderosa versione di Reach for the Sky, accolta da un’ovazione, cuciono la bocca ai più scettici e decretano il successo di un’esibizione che ha riscosso un consenso diffuso. Qualcuno lamenterà l’assenza di bis (Overnight Sensation?) o la relativa freddezza della band a luci spente, ma trattasi di dettagli di secondaria rilevanza. Se queste sono le premesse, al Sottotetto ci sarà da divertirsi.

Federico Mahmoud