Report: Gods of Metal 08 – Day I (27/06/08)
Introduzione
(A cura di Riccardo Angelini)
L’edizione del Gods Of Metal 2008 ha offerto tre giornate molto diverse fra loro. La prima è stata dominata dall’evento Iron Maiden, per l’unica data italiana del tour che rispolvera la leggendaria scenografia del World Slavery Tour (‘84-‘85). Il loro nome da solo è bastato a richiamare masse oceaniche che, alla luce del profilo piuttosto basso del resto del bill, difficilmente si sarebbero mosse con un diverso headliner. Esattamente agli antipodi il secondo giorno, con un bill di primissima scelta fin dall’inizio, monopolizzato dal metal estremo – una sfilata di giganti che dagli Stormlord agli Slayer ha offerto qualità e quantità, con il valore aggiunto di due delle reunion più acclamate degli ultimi anni (At The Gates e Carcass). Sintesi delle precedenti, l’ultima sessione ha rimescolato le carte, suddividendo gli spazi fra estremo e classico e affidando la chiusura delle giostre ai redivivi Judas Priest. Nel complesso, una collezione di nomi storici garanzia di spettacolo, più che sufficienti a stipare la pur capiente Arena Parco Nord di Bologna.
Prima di lasciare spazio ai report delle singole band, si impongono alcune considerazioni preliminari circa l’organizzazione dell’evento e quelle che sono state, a nostro avviso, le scelte più e meno azzeccate di questo Gods Of Metal.
La location. Bologna rappresenta per molti versi il teatro ideale per un festival di queste dimensioni, soprattutto in virtù di una locazione geografica di compromesso fra nord e sud. L’Arena Parco Nord, lontana dal centro città e facile da raggiungere, deve fare del resto i conti con alcuni limiti: fra i più grossi va considerata la penuria di zone d’ombra, che condanna il pubblico ad abbrustolirsi da mane a sera al sole bolognese, quest’anno ancora più violento del solito. Il terreno polveroso davanti al palco inoltre non offre certo il più salubre degli scenari per chi voglia seguire i concerti da vicino, per tacere delle tempeste di sabbia che si sollevano a ogni minimo accenno di pogo. Si tratta di problematiche che si erano già riscontrate nelle precedenti edizioni del festival, e che in futuro l’organizzazione sarà chiamata ad affrontare con maggiore attenzione.
Gli orari. Per evitare il pericolo ritardi quest’anno si è deciso di giocare d’anticipo: i concerti sono sempre iniziati a tiro delle 11:00, appena dopo l’apertura dei cancelli, e non sono mai terminati dopo le 23:00 – per il comprensibile disappunto di chi aveva programmato il proprio arrivo sulla base dei gruppi cui era interessato. Se la chiusura anticipata ha concesso a chi era giunto in macchina un buon margine per affrontare il traffico lungo la via verso l’albergo, il lato negativo della medaglia è stato che le prime esibizioni si sono tenute nelle ore in assoluto più calde della giornata (fra le 12:00 e le 14:00), con i grossi disagi che si possono bene immaginare. La security ha fatto il possibile per spruzzare d’acqua almeno le prime file davanti al palco, ma non è bastato. Al di là degli accordi con l’amministrazione comunale, vero è che spostando i concerti in avanti di un paio d’ore si sarebbe quantomeno potuto evitare il sole a picco di mezzogiorno. E magari utilizzare il lightshow anche per i gruppi prima degli headliner, che di certo non avrebbe guastato.
I suoni. Qui il discorso si complica. Da un lato le buone indicazioni venute dalle ultimissime edizioni del festival hanno trovato seguito. Non solo gli headliner hanno avuto suoni ottimali ma anche i primissimi gruppi hanno ricevuto un trattamento di tutto rispetto. Tutto perfetto dunque? Non proprio. Due sono stati i problemi fondamentali. Innanzitutto i volumi, insolitamente bassi per quasi tutta la giornata e alzati ad hoc solo per gli headliner. In secondo luogo l’affidabilità dei suoni, altalenante, con picchi negativi a metà di sabato e preoccupanti cadute di tono anche in coincidenza delle prove di gruppi importanti. L’area ottimale per l’ascolto era quella calda (in tutti i sensi) davanti al palco, mentre per chi assisteva ai concerti dalla collina i suoni andavano e venivano continuamente. Non sappiamo se anche tali disguidi siano dovuti, in toto o in parte, a vincoli imposti dall’amministrazione comunale: fatto sta che questo Gods Of Metal è stato tutto fuorché “Louder Than Hell”.
L’igiene. Dal punto di vista pratico, gestire la calata di decine di migliaia di persone in uno spazio relativamente contenuto come l’Arena Parco Nord non è cosa facile: ciò premesso, si possono apprezzare alcuni progressi fatti in questo senso dall’organizzazione. I bagni in muratura, tradizionalmente affollatissimi, sono stati supportati dalla massiccia presenza dei wc chimici, per la felicità degli accaniti consumatori di birra. La presenza di bidoni dell’immondizia all’interno dell’arena, inoltre, ha reso possibile evitare almeno in parte l’accumularsi di quelle pile di rifiuti che dal punto di vista igienico e olfattivo in passato avevano avuto modo di farsi ricordare. Certo alla fine della giornata quasi tutti i cestini erano traboccanti di piatti e bicchieri vuoti, ma il disagio è stato affatto tollerabile.
Il catering. Tutto sommato all’altezza. Posto che l’acqua aveva sempre costi improponibili (ok i rincari, ma due euro per una bottiglietta da 33cl significa approfittarsene), conveniva spendere un euro in più per qualche bibita o puntare sulla provvidenziale combo cinque birre per sedici euro: soluzione ottima da riproporre anche in futuro. Per i meno prodighi c’era inoltre la possibilità di portarsi panini e bottigliette da casa, visto che contrariamente a quanto accaduto in alcune occasioni passate la security non si accaniva su ogni singolo incarto di tovaglioli per presunte ragioni di sicurezza. Di meglio è difficile aspettarsi.
La sicurezza. Dalle opinioni raccolte fra il pubblico, le lamentele più ricorrenti erano proprio quelle riguardanti il servizio di security. Al di là delle accuse di scarsa civiltà riecheggiate da più parti, a suscitare il malcontento comune è stata la gestione delle entrate e delle uscite. Del tutto incomprensibile e ingiustificabile è apparso in particolare il divieto di rientrare per chi lasciava l’arena dopo le sette, anche qualora fosse stato in possesso di tutti i biglietti e braccialetti necessari allo scopo. In attesa di delucidazioni in merito da parte dell’organizzazione, non si può che auspicare per il futuro a soluzioni più attente nella gestione dei rapporti pubblico/sicurezza.
DAY 1 – 27/06/2008
———————————
IRON MAIDEN
AVENGED SEVENFOLD
ROSE TATTOO
APOCALYPTICA
AIRBOURNE
LAUREN HARRIS
BLACK TIDE
KINGCROW
———————————
[Foto a cura di Nicola Furlan]
Dopo undici anni di storia, il Gods of Metal sposa la formula a tre giorni con un pacchetto di band che farà discutere, prima, durante e dopo lo svolgimento della kermesse. Di venerdì 27 giugno ricorderemo la faraonica esibizione di Iron Maiden, con tanto di ciclopico stage-set ispirato al leggendario World Slavery Tour, ma anche una bill allestita senza il favore dei fan, con artisti di dubbia collocazione (Lauren Harris, Avenged Sevenfold) e altri, loro malgrado, fuori posto (Apocalyptica). Un’edizione decollata solo in tarda serata e più appetibile, per qualità media e quantità, nelle giornate successive; anche se, per onor di cronaca, i numeri registrati con la Vergine di Ferro non si sarebbero più ripetuti. Luci e ombre, dunque, su un primo turno che ha sofferto una certa discontinuità e che per molti presenti, salvo sporadiche eccezioni, è iniziato ufficiosamente intorno alle 21:00.
Federico Mahmoud
KINGCROW
(A cura di Riccardo Angelini)
L’onore e l’onere di aprire l’edizione 2008 del Gods Of Metal tocca ai romani Kingcrow. Contrariamente a quanto era talvolta accaduto in passato, la risposta del pubblico è buona fin dal principio: una piccola folla di intrepidi mattinieri si raduna rapidamente ai piedi del palco, sfidando una temperatura da mezzogiorno di fuoco e l’umidità quasi tropicale.
Photo by Daniele Mosconi
Il combo romano ripaga tutti con un’esibizione coinvolgente e di grande personalità. Nella breve scaletta proposta spiccano paradossalmente i pezzi meno metal, parzialmente riarrangiati per una migliore resa dal vivo: “Between Now And Forever”, impreziosita da un sontuoso solo di basso, e soprattutto la solita, delirante “A Merry Go Round”. Le ritmiche incalzanti, la dinamicità delle chitarre, un giro di tastiere trascinante e un refrain ipercantabile coinvolgono il pubblico in una danza scatenata, salutata dal bonario coro “Quattro quarti! Quattro quarti!”; mentre la buona forma dei solisti viene confermata dalla puntualità delle sinergie di gruppo, tradizionalmente fra i maggiori punti di forza del combo capitolino.
Photo by Daniele Mosconi
Gli applausi del pubblico testimoniano il visibile gradimento per una proposta che sarebbe potuta apparire poco consona agli standard di un Gods Of Metal. Venerdì mattina lo stage è già caldo, e non soltanto a causa del sole.
BLACK TIDE
(A cura di Nicola Furlan)
Il secondo posto nel bill della prima giornata spetta ai floridiani Black Tide, giovanissima band (tutti minorenni) autrice di un heavy metal roccioso e ricco di groove. Forte del debutto discografico di quest’anno “Light from Above” (Interscope Records), il combo altro non aspettava che percepire quanto il pubblico avrebbe apprezzato la loro proposta musicale. La palpabile emozione di un sogno crescente che giorno dopo giorno s’avvera è stampata negli occhi dei musicisti appena saliti on-stage. Considerata l’ora e l’esigua presenza c’è da affermare che i tre si sono ben distinti per coinvolgimento, impegno ed entusiasmo. Il batterista Steven Spence, in particolare, ha pestato pelli e piatti fino al limite della rottura amplificando la potenza delle ritmiche ben eseguite dal bassista Zachary Sandler.
Promozione con lode al frontman Gabriel Garcia, autore di uno show perfetto per precisione nell’esecuzione dei soli e delle ritmiche. I suoni, ben calibrati, hanno arricchito infine la distinta prestazione live. Black Abyss, Let Me e Warriors of Time sono stati i pezzi più convincenti della rosicata setlist, ma che ha permesso a Garcia & Co. di lasciare un piccolo segno di freschezza (perlomeno musicale) nell’afosa giornata bolognese. Promossi.
LAUREN HARRIS
(A cura di Riccardo Angelini)
Il primo membro della famiglia Harris a salire sul palco è la giovane Lauren, determinata a dimostrare di non essere soltanto una figlia d’arte. Musicalmente agli antipodi rispetto ai Maiden di papà Harris, la sua proposta si estingue in un rock di stampo classico, piuttosto semplice e leggerino. I brani tratti dal recente esordio Calm Before The Storm non colpiscono certo per originalità o potenza, ma bisogna ammettere che dal vivo guadagnano qualche punto almeno in termini di vivacità ed energia. Merito soprattutto di un axeman spettacolare come Richie Faulkner e degli sforzi della stessa Lauren, che pur senza poter vantare una voce particolarmente interessante mostra di saper tenere piuttosto bene il palco. La giovane età e l’illustre ascendenza la rendono del resto un bersaglio facile per critiche impietose: meglio allora attenersi alla musica. In questo senso non si può negare che Lauren Harris abbia offerto una prova sì onesta e dignitosa, ma ancora troppo anonima, lineare e coinvolgente solo a tratti. It’s a long way to the top if you wanna rock n’ roll. [Servizio foto non concesso dall’artista]
AIRBOURNE
(A cura di Federico ‘Immanitas’ Mahmoud)
Airbourne è rock n’ roll sudato, grintoso, scoppiettante: l’antidoto vitale per le sorti di una giornata fiaccata dal caldo torrido e una scaletta discutibile. Chi riduce gli australiani a banali cloni dei padrini AC/DC si ferma alla punta dell’iceberg: c’è tanta personalità nei cavalli di battaglia del gruppo, da Too Much, Too Young, Too Fast all’anthem Runnin’ Wild, nonostante la palese (e per nulla celata) ispirazione all’opera di Angus Young e soci.
Alla base un certosino lavoro di squadra, cementato da anni di gavetta e una passione comune, quella per il rock più sanguigno, che costituisce l’ingrediente fondamentale dello show. La band dei fratelli O’Keeffe (ogni riferimento è puramente casuale) conosce i trucchi del mestiere e Ryan, frontman scatenato sin dalle prime battute, ha buon gioco nel far breccia tra i presenti: non pago di essersi arrampicato ad altezze vertiginose, con piglio da scalatore provetto, finisce per “rubare” un idrante e firmare il primo gavettone della giornata, nel tripudio collettivo. Anche questo è rock n’ roll.
Detto di una formazione compatta e applaudita da un pubblico sempre più caloroso, non resta che annotare con un pizzico di amarezza l’unica pecca del concerto: i suoni. Volumi “da oratorio” hanno accompagnato l’intera esibizione dei Nostri, di fatto contenendo il potenziale incendiario di molti brani. Una discriminazione in termini di decibel che, anno dopo anno, privilegia l’headliner a scapito dei gruppi “minori”; una legge contro cui i pur volenterosi Airbourne non hanno potuto nulla.
APOCALYPTICA
(A cura di Angelo ‘KK’ D’Acunto)
In una giornata in cui la vera e propria attrazione del festival è rappresentata dagli Iron Maiden, trovano posizione nel bill del Gods Of Metal anche gli Apocalyptica. L’esibizione comincia con ben trenta minuti d’anticipo rispetto all’ora prevista sul cartellone e viene da subito supportata a dovere da un pubblico numeroso e decisamente partecipe di fronte all’originale proposta del quintetto finlandese.
L’inizio è affidato alla cover Refuse/Resist dei Sepultura e fin da subito si nota come i quattro violoncellisti della band, nonostante l’ingombro dei loro strumenti, riescano a muoversi e a scatenarsi con furiosi headbanging dimostrando di sapere tenere benissimo il palco. Aiutati da suoni stavolta perfetti, i cinque finlandesi riescono a tirare fuori un’esibizione coinvolgente e convincente fra le immancabili cover dei grandi maestri Metallica, tra le quali una furiosa Fight Fire With Fire, Creeping Death e una sognante Nothing Else Matters, fino ad arrivare a ripescare pezzi da altri generi musicali all’infuori dell’heavy metal: prima su tutti la grandiosa reinterpretazione di Heroes di David Bowie. Inaspettatamente coinvolgenti.
ROSE TATTOO
(A cura di Federico ‘Immanitas’ Mahmoud)
Nettamente al di sopra dell’età media del festival, i veterani Rose Tattoo hanno spremuto all’osso l’ora a disposizione per ricordare a tutti, neofiti e devoti di lunga data, che l’alito del rock soffia ancora dalle parti di Sydney. Per i fan della band è un evento, considerata la lunga latitanza dai palchi nostrani e la notizia, ancora fresca, che le due date italiane in programma (Roma e Milano) non avranno luogo; per tutti gli altri, un invito a scoprire una leggenda underground che, come oggi accade ai conterranei Airbourne, ha sopportato per anni la nomea di cugini “sfigati” degli AC/DC.
Pur condividendo la medesima estrazione, i Nostri hanno soltanto intravisto il successo in anni e anni di carriera, ritornando in pista di recente con una line-up falcidiata da numerose defezioni. Angry Anderson è tuttora al suo posto, la voce segnata dal tempo ma ancora squisitamente alcolica nel timbro; la grinta è immutata, come la carica irresistibile di classici del calibro di “Rock N Roll Outlaw” o l’invocata “Nice Boys (Don’t Play Rock N Roll)”, intonati da un’ugola inconfondibile.
Lo spettacolo procede senza intoppi, il volume decolla verso vette più consone e il pubblico apprezza di gusto. D’altronde l’esperienza paga e un gruppo come Rose Tattoo, con un ricco curriculum in fatto di open air, è un jolly di sicuro investimento (Wacken insegna). Non è un caso che i contributi migliori (o, se non altro, più coinvolgenti) della giornata siano arrivati da gruppi di estrazione “classica”. Da tenere a mente per le prossime edizioni.
AVENGED SEVENFOLD
(A cura di Davide ‘Ellanimbor’ Iori)
C’è chi dice che sia stata una mossa di Live per evitare di spendere soldi nell’ingaggio di gruppi secondari nel giorno degli Iron Maiden, c’è chi sostiente che sia stata la EMI ad imporli come band di apertura in quanto se no gli Iron (sempre loro) non li avrebbe fatti suonare. Non si saprà mai come hanno fatto gli Avenged Sevenfold a finire al Gods of Metal (e sottolineiamo metal) fatto sta che subito prima dei veri dei del metallo il pubblico si è ritrovato ad ascoltare quella che forse è la band più contaminata della scena attuale, che prende davvero da ogni parte per creare la sua musica: da Phil Anselmo per il cantato, dal metalcore per i breakdown, dal power “happy” metal per alcuni ritornelli, dal thrash e dall’heavy per tutto il resto. Da tutto questo calderone musicale i nostri hanno tirato fuori una prestazione discreta da band più che rodata, che tuttavia è stata disturbata dalla solita minoranza di facinorosi ignoranti (volete che lo ripeta? Ignoranti) che altro non hanno saputo fare che tirare oggetti sul palco ed inneggiare alla vergine di ferro dopo ogni singola canzone, in barba al rispetto ed alla buona educazione. In questa maniera i furboni della situazione si sono beccati una cover di Walk tagliata (canzone che di solito gli Avanged eseguono per intero, come avevano fatto ad esempio all’Heineken Jammin festival quando avevano aperto per i Metallica) e non hanno sicuramente accorciato l’attesa per lo spettacolo che doveva seguire. La prossima volta scordate pure a casa le magliette con Eddie, ma ricordate di portare il cervello per favore.
IRON MAIDEN
(A cura di Nicola Furlan)
Quanti dei presenti alla data bolognese avevano sognato almeno una volta nella vita di vivere l’atmosfera del World Slavery Tour? Quel famigerato tour musicale ebbe inizio in Polonia nell’agosto del 1984 e si concluse nel dicembre 1985 nel londinese Marquee Club. Furono anni fantastici, ricchi dell’entusiasmo di una scena nascente che eleggeva, già al tempo, gli Iron Maiden a maestri incontrastati del genere. Doveva essere il concerto del pre-“No Prayer for the Dying” o se preferite del periodo d’oro della band. Così è stato. Fear of the Dark a parte, il combo ripropone tutto il trascorso dagli esordi. Per molti è stato di certo un grande momento: la scenografia egizia riproposta, la setlist ricca di classici, effetti scenici mozzafiato. Tutto ha richiamato al cuore una fetta di storia che ha accompagnato i sogni e le passioni di due generazioni di ascoltatori.
We shall go on to the end.
We shall fight in France,
We shall fight on the seas and oceans,
We shall fight with GROWING confidence and GROWING strength in the air.
We shall defend our island whatever the cost may be.
We shall fight on beaches, we shall fight on the landing grounds,
We shall fight in the fields and in the streets.
We shall fight in the hills,
We shall never surrender.
E lo show ha inizio. Come da copione una partenza da brividi: Aces High e 2 Minutes To Midnight. Da segnalare la solita prestazione magistrale di Bruce Dickinson, capace di scatenare fiumi di emozioni sull’esecuzione dello storico ritornello della successiva e terza proposta, Revelation:
The light of the Blind – you’ll see
The venom that tears my spine
The Eyes of the Nile are opening – you’ll see
…uno dei momenti di maggior pathos dell’intero concerto. Che questo Somewhere Back in Time fosse una versione ‘moderna’ del World Slavery Tour si sapeva fin dall’inizio. Non a torto Harris e compagni piazzano in scaletta capolavori del calibro di Moonchild e The Clairvoyant, ma anche altri masterpiece del post “Powerslave” come Heaven Can Wait e Wasted Years. Ma è sulle note di Rime Of The Ancient Mariner che Bologna si tinge di blu, quel blu antartico in cui la nave del marinaio, spintosi troppo oltre, rimane intrappolata. Così la band chiude in una morsa di profondo pathos l’intera platea che riempie l’Arena ormai calamitata dalla maestosità di questi immortali musicisti.
La folla viene ulteriormente elettrizzata dalle comparse di Eddie in versione faraone, mummia e dell’immancabile futurismo alla “Somewhere in Time”, ma anche stavolta a vincere sarà Janick Gers. A ‘modernizzare’ la setlist ci pensa l’immancabile Fear Of The Dark, obbligo scontato (e forzato) d’un concerto che ha davvero dell’inverosimile in quanto a tenuta e stato di forma del sestetto britannico. Non nascondo d’essermi commosso in più d’un occasione. Credo d’aver assistito ad un concerto indimenticabile e non credo d’esser l’unico a pensarla così. [Servizio foto non concesso dall’artista]
Setlist:
Churchill’s Speech, Aces High, 2 Minutes To Midnight, Revelations, The Trooper, Wasted Years, The Number Of The Beast, Can I Play With Madness?, Rime Of The Ancient Mariner, Powerslave, Heaven Can Wait, Run To The Hills, Fear Of The Dark, Iron Maiden, Moonchild, The Clairvoyant, Hallowed Be Thy Name
…domani la seconda giornata…