Report: Marshall al Krossower di Scordia (CT) 02/04

Di Redazione - 17 Aprile 2006 - 0:00
Report: Marshall al Krossower di Scordia (CT) 02/04

Live report a cura di Giuliano Latina.

Dopo quasi un anno dall’ultimo concerto di livello nazionale nella Sicilia orientale, quando ormai molti avevano perduto le speranze, il vecchio heavy metal torna a ruggire al Krossower, che riapre i battenti per ospitare una data del tour dei partenopei Marshall, sui palchi dai gloriosi anni ’80, riformatisi recentemente, dopo lo scioglimento avvenuto negli anni ’90, con una nuova formazione piena di entusiasmo.
Il nome, certo, non è tra i più conosciuti, e ciò non facilita l’afflusso dei defenders; i soliti motivi pretestuosi, come il fatto che è domenica o che il gruppo non appartiene ai settori estremi, fanno il resto. Il risultato è che il Krossower non è certo pieno, come era facilmente prevedibile, ma il centinaio di ragazzi che ha superato i pregiudizi e le scuse, tra cui anche alcuni seguaci dei settori più pesanti, che hanno partecipato in nome dell’unità del movimento heavy metal, ha assistito ad un’esibizione tecnica, professionale e di livello davvero notevole.

Aprono, dopo le 22.30, i catanesi Noble Savage: è arduo recensire seriamente la band che ti ha cambiato la vita (non è il solito buonismo, oggi tanto di moda, né una sviolinata: è la pura verità, dovuta a vicende private, che potrebbero riempire un articolo a parte), ma è giusto distaccarci dall’ambito personale ed essere il più possibile obiettivi.
Il gruppo è alfiere del class/epic metal, per usare termini purtroppo desueti, ma che, in questo caso, vanno doverosamente riscoperti, essendo riduttivo parlare soltanto di “heavy”, come molti, semplicisticamente, farebbero al giorno d’oggi.
Dopo alcuni brani nuovi, taglienti ed incisivi, si passa alla riuscita cover dei Judas Priest “Between the Hammer & the Anvil”; il delirio si raggiunge nel loro cavallo di battaglia “We’ll Never Die”, tra screaming in stile Halford/Dio, chitarre assassine e una sezione ritmica potente e precisa. Si conclude con “Heavy Metal Heroes”, dopo circa mezz’ora di buon livello, anche se qualche altro pezzo vecchio avrebbe riscaldato di più l’ambiente, un po’ distaccato, a nostro parere.

Seguono gli Orion Riders, sempre di Catania, che iniziano con un’intro acustica, tipicamente power metal, come nella loro tradizione, per poi continuare con le vecchie “Leave the Shades Behind” e “Life’s Best Days”. I brani nuovi sono lunghi, con brevi ed efficaci inserimenti di tastiere e cori. La chiusura, dopo circa quaranta minuti, è affidata a “Old Symphony”, che avanza sontuosa, maestosa, mai troppo barocca da stufare, visto il caloroso applauso che si alza.
E’ normale fare il paragone con l’ultima loro serata a cui avevamo assistito: se nella precedente esibizione la buona tecnica aveva sopperito alle lacune, dovute al cambio di formazione subìto all’epoca, stavolta la fusione di tecnica e intesa tra i componenti ha portato ad una prestazione nettamente superiore, trascinante e scaldata dal calore dei fan.

A mezzanotte e trenta salgono sul palco i Marshall, accompagnati da un’intro con voce femminile, a nostro avviso troppo vicina a “My Heart Will Go On” (bella canzone, ma adatta al film “Titanic”, non ad un concerto heavy metal). Si prosegue con “Mission: Empire”, bel brano che apre il nuovo album, con parecchi interventi di tastiere dallo stampo progressive.
Il cantante si complimenta con i  due gruppi spalla, convinto delle potenzialità dell’heavy metal nell’Italia meridionale, e critica la scena campana, dove non si suona nei locali, a meno che non si propongano musica reggae o etnica. Importante denuncia, che riscuote l’appoggio del pubblico e lo fa riflettere sulla musica monotematica con cui il sistema sociopolitico-criminale soffoca il sud per mantenerlo arretrato, boicottando solo chi dà fastidio ai moralisti, come i gruppi heavy metal.
Lasciando da parte la triste realtà in cui l’intero sud è stato immerso da decenni, si passa alla vecchia “Flying into the Void”, orecchiabile (per ciò che può voler dire questo aggettivo, se applicato al nostro movimento), con vari cambi di tempo. E’ il momento di “The Call of the Banshee”, caratterizzata da un’intro che ci ricorda la maideniana “Sign of the Cross”: ciò conferma che la definizione “power-prog” sta stretta ai Marshall, dato che la canzone si apre in momenti gotici, dove il duetto tra il cantante e la corista raggiunge un elevato picco artistico.
Un’altra variazione di tema appare nella successiva “Thermopylae”, epic metal di buon livello, a ricordo della famosa battaglia in cui morirono trecento spartani, per difendere la Grecia dai persiani. I Marshall suonano poi “Human Quest”, più vicina ai canoni power, e quindi “Knight of the Black Cross”, altra incursione nell’epic, con cori molto suggestivi. Segue un lungo brano, con inizio al pianoforte ed evoluzione in passaggi ipertecnici di ispirazione progressive, che, dopo circa dieci minuti, suscita un enorme applauso.
Il finale è prevedibilmente per “Atlantis (to Rise a Dream)”, che chiude un’ora intensa, in cui il cantante passa da tonalità basse a screaming rabbiosi, chitarrista e bassista sono molto precisi e il batterista Lino Mazzola, unico superstite della vecchia formazione, è una vera macchina da guerra. Una nota a parte è dedicata al tastierista, che, pur non convincendoci molto nelle back vocals, per noi un po’ troppo acute, è stato invece perfetto negli intermezzi e nell’uso degli effetti, mai invadenti, dosati con maestria e competenza non comuni.

La serata si conclude con l’estrazione di una maglietta, un CD e un biglietto per il Gods of Metal, messi in palio dalla Negative, che ha organizzato la serata e che ringraziamo per lo spettacolo, offerto ad un prezzo irrisorio. Ringraziamo, inoltre, il Krossower, per la concessione del locale e per la ripresa dei concerti da noi tanto attesi, visto che gli spazi per la musica in Sicilia sono notoriamente pochissimi, poiché palasport e stadi sono concessi (dallo stesso sistema di cui scritto prima) solo ad esponenti di musica leggera o, infinitamente peggio, a robaccia spacciata per “cultura”, mentre, spesso, di culturale non ha proprio nulla.
Invitiamo, infine, i defenders ad intervenire sempre alle serate, di qualunque settore siano, senza distinzioni, perché l’unità dell’heavy metal è la condizione imprescindibile per la nostra lotta musicale, condotta non per diventare merce di programmi televisivi spazzatura (dove si spacciano per “artisti” gente che non sa fare nulla e si pongono tali parassiti a modello per la gioventù), che lasciamo volentieri ad altri generi musicali, ma soltanto per avere qualche concerto in più, come avviene in tutta Europa e nel resto dell’Italia.